Filippo Gorini - un giovane pianista di sorprendente maturità interpretativa

Filippo Gorini – un giovane pianista di sorprendente maturità interpretativa

giovanni francio

Filippo Gorini – un giovane pianista di sorprendente maturità interpretativa

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martedì 29 Gennaio 2019 - 18:01

L’ultimo Beethoven accostato alla musica del Novecento

L’ultimo Beethoven accostato alla musica del Novecento Domenica u.s. al Palacultura, per la stagione musicale della Filarmonica Laudamo, si è esibito il giovanissimo pianista Filippo Gorini, che a dispetto della sua giovane età, ha proposto un programma assai impegnativo non solo sotto il profilo tecnico, ma soprattutto interpretativo. Infatti, oltre a due brani novecenteschi, la Sonata Sz 80 di Bela Bartok e il Klavierstuck IX di Karlheinz Stockhausen, Goretti ha proposto due monumenti della musica pianistica di tutti i tempi, le ultime Sonate di Ludwig Van Beethoven: la n. 31 in la bem. Maggiore Op. 110 e la n. 32 in do Minore Op. 111. Gorini ha anche sapientemente introdotto i brani che avrebbe eseguito, ponendo l’accento sulla modernità assoluta delle ultime Sonate di Beethoven, molto più vicine alla musica del novecento che a quella romantica, e per dimostrare tale assunto ha alternato l’esecuzione della Sonata op. 110 con quella di Bartok, e il Klavierstuck di Stockhausen con la Sonata op. 111, quest’ultima addirittura senza soluzione di continuità col brano precedente, come si trattasse di un identico genere musicale. La Sonata op. 110 rappresenta un po’ la seconda semplicità del grande musicista tedesco, che ormai domina alla perfezione la forma, e può permettersi di lasciarsi andare, in particolare nel primo movimento, ad una leggiadra e meravigliosa melodia “Moderato cantabile, molto espressivo”, un canto limpido e purissimo, senza grandi contrasti. Dopo un “Allegro molto”, uno Scherzo dal carattere impetuoso e brillante, ecco il misterioso recitativo “Adagio, ma non troppo”, che culmina in una ripetizione di una nota (la) per quindici volte, che introduce un canto triste e rassegnato – “Arioso dolente” – una delle melodie più intense e sofferte create da Beethoven, che ci fa sprofondare nell’abisso dell’animo, per poi risorgere però nella straordinaria Fuga finale “Allegro ma non troppo”, ove la forza della ragione trionfa sull’oscurità delle passioni, anche se per un momento, commovente e di eccezionale suggestione e intensità, il lamento dell’Arioso ricompare, per cedere infine il passo al sicuro incedere in contrappunto della fuga. La Sonata Sz 80 di Bela Bartok presenta ovviamente tutt’altre caratteristiche, qui l’elemento melodico e praticamente assente, e prevale l’energia di un ritmo forsennato, trascinante, basato, come sempre nel compositore ungherese, sulla rielaborazione e trasfigurazione di temi popolari, ove il trattamento del pianoforte diventa percussivo e quasi violento, ricordando certo pianismo di Prokofiev. Il Klavierstuck IX che ha aperto la seconda parte del concerto è uno dei brani più eseguiti di Stockhausen. Strutturato sulla base di rigorose formule matematiche, è una composizione abbastanza singolare, in quanto, pur trattandosi di musica seriale dodecafonica, almeno nel suo incipit ne è allo stesso tempo la negazione, presentando un accordo ripetuto per ben 142 volte, e poi altre 87 volte. Senza soluzione di continuità, il pianista ha attaccato il misterioso e quasi sinistro “Maestoso” dell’Op. 111 beethoveniana. Pubblicata nel 1823, in soli due movimenti di eccezionale intensità, la Sonata costituisce uno dei sommi capolavori dell’intera letteratura pianistica. Dopo il breve Maestoso, il primo movimento – Allegro con brio ed appassionato – esplode letteralmente, caratterizzato da tumultuose frasi eseguite all’unisono dalle due mani. È un brano quasi monotematico, tutto intriso di un clima di concitata tensione, con difficili elaborazioni contrappuntistiche, una prerogativa dell’ultimo Beethoven. A tale tempestosa atmosfera segue per contrasto il dolcissimo e meraviglioso Adagio denominato “Arietta: Adagio molto semplice e cantabile” (mai fu dato un titolo così modesto ad un capolavoro di siffatte dimensioni!). Il dolcissimo tema, tenero e profondo, è prima variato magistralmente, nelle prime due variazioni, viene poi stravolto nella terza, fortemente ritmata, strabiliante e talmente fuori da ogni schema conosciuto che alcuni contemporanei, che difficilmente potevano capire un musicista visionario che precorreva i tempi di quasi un secolo, parlarono di demenza del genio. Dopo la terza variazione il tema praticamente si dissolve in una serie di fantastiche divagazioni di una bellezza commovente e struggente, una delizia per l’ascolto, fino ad arrivare al momento culminante, in cui il ritorno del tema subisce una piccola alterazione, che produce un effetto la cui bellezza è impossibile da descrivere, se non con le parole di Thomas Mann nel suo Doktor Faustus: “questo do diesis aggiunto è l’atto più commovente, più consolatore, più malinconico e conciliante che si possa dare. È come una carezza dolorosamente amorosa sui capelli, su una guancia, un ultimo sguardo negli occhi, quieto e profondo. È la benedizione dell’oggetto, è la frase terribilmente inseguita e umanizzata in modo che travolge e scende nel cuore di chi ascolta come un addio per sempre, così dolce che gli occhi si empiono di lacrime”. Davvero eccellente l’interpretazione di Filippo Gorini: grande compostezza nei movimenti, attenzione ad ogni sfumatura, particolarmente bravo ad eseguire il “pianissimo”, ma soprattutto a conferire unitarietà all’interpretazione, fatto che, per un pianista così giovane, desta grande ammirazione. Tutte queste qualità sono state ovviamente colte dal folto pubblico, che ha tributato fragorosi applausi, ricompensati da due splendidi bis concessi dal giovane pianista: l’Improvviso n. 1 in do min dall’Op. 90 di Schubert e il Capriccio in sol min. da “Fantasie” Op. 116 di Brahms, due gioielli, il primo dal carattere malinconico e rassegnato, impetuoso e passionale il secondo, con i quali Filippo Gorini si è congedato dal pubblico, ma speriamo davvero di rivederlo presto.

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