Freccero: «Siamo in una politica spettacolo, ha vinto chi ha fatto lo show»

Freccero: «Siamo in una politica spettacolo, ha vinto chi ha fatto lo show»

Claudio Staiti

Freccero: «Siamo in una politica spettacolo, ha vinto chi ha fatto lo show»

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giovedì 28 Febbraio 2013 - 19:48

Abbiamo intervistato il direttore di RAI 4 ed esperto di comunicazione presente a Messina per una due giorni all’Università. Con lui abbiamo discusso delle dinamiche mediatiche delle recenti elezioni, della televisione commerciale e del servizio pubblico. E sul giornalismo on-line dice «più libero di quello cartaceo».

Si è concluso ieri, 28 Febbraio, con una lezione nell’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Cognitive della Formazione e degli Studi Culturali, la duegiorni a Messina di Carlo Freccero, direttore di Rai 4 ed esperto di comunicazione. Ad introdurlo il professore Pietro Perconti. Il seminario si è articolato anche in altri due appuntamenti nella giornata di mercoledì 27: un incontro tenuto nell’Aula Magna del Rettorato, con l’introduzione a cura del professore Dario Tomasello e, più tardi, nei locali della libreria la Feltrinelli, la presentazione del suo nuovo libro, “Televisione” (Bollati Boringhieri, 2013), con l’introduzione del giornalista Fabio Longo. A margine dell’ultimo dibattito, Tempostretto.it ha incontrato Freccero per porgergli qualche domanda.

Sono passati solo pochi giorni dal voto. Nessuna campagna elettorale sinora era stata caratterizzata da un uso così massiccio del mezzo televisivo. Pensa che questo abbia avvantaggiato i politici dei partiti tradizionali?

Ci sono due vincitori di queste elezioni, dal punto di vista mediatico. Uno è Silvio Berlusconi perché è il re della TV generalista e conosce meglio i suoi meccanismi. Sa che in TV occorre fare spettacolo, che occorre essere star. L’altro è Beppe Grillo che ha saputo costruire una controprogrammazione a Berlusconi, in un modo semplice e cioè lavorando sulla rete, vampirizzando la tematica della casta. E poi, soprattutto, attraverso la sua assenza-presenza ossessiva in TV. Bersani, che era il favorito secondo i sondaggi, non ha creduto nella comunicazione e, in campagna elettorale, chi non crede nella comunicazione perde dei punti…

Una delle sorprese di queste elezioni è stata appunto la riaffermazione di Silvio Berlusconi. Ciò colpisce ancora di più se pensiamo che la sua “riabilitazione” non è derivata da un cambio di strategia comunicativa e mediatica ma dalle stesse “performance” a cui eravamo abituati in precedenza. Come spiegarlo?

È vero, Berlusconi è stato ritenuto spacciato, anche perché il suo successo è andato sempre di pari passo alla storia dei consumi, che negli ultimi tempi sono invece calati. La crisi economica ha bruscamente interrotto la fiction e portato in evidenza la realtà. È arrivato Monti che ha imposto il suo sapere economico a tutti, ha dato i voti. Ma, una volta sceso in campo, il professore, si è lasciato condizionare dall’agenda di Berlusconi, si veda quanto dichiarato sull’Imu e sulla sua graduale riduzione, e influenzare dalla sua estetica propagandista, pensiamo alla tecnica del sorriso e dell’affabilità, con la comparsa anche del cagnetto. Senza parlare dell’assenza sulla scena di Bersani che si è guardato dal fare promesse convincendo così –è vero– i suoi elettori ma lasciando fuori tutti gli indecisi. Berlusconi in sostanza ha saputo ricostituire i suoi spazi. Facendo credere che si potesse tornare agli anni della ricchezza, del guadagno, creando nuovamente un clima di fiction. La TV generalista –suo campo prediletto– è tornata ad essere centrale e lui il suo deus ex machina.

Lei scrive che oggi «il politico si trova a svolgere un ruolo di star, condiviso con altri figuranti del mondo dello spettacolo», in quanto «alla politica non si chiede di governare, ma di intrattenere il suo pubblico, di esibire il suo privato»…

Dagli anni ’80 ad oggi è cambiato molto: le grandi distinzioni sono venute meno, con il crollo del muro di Berlino è finita un’epoca. Si afferma un pensiero unico. La differenza sta solo negli attori che recitano quella parte. Il partito diventa il partito del leader, il suo nome sovrasta il nome del partito. Siamo in una politica-spettacolo e chi è più capace a creare empatia con il pubblico è favorito. Ma l’empatia non è mica un ragionamento rigoroso, un appello alla logica! Perfino il web, che è libero, ha bisogno di portavoci. Grillo non sarà un leader ma è comunque un portavoce…

La televisione delle origini, lei scrive, era la continuazione della pubblica istruzione, proponeva un «pedagogismo autoritario, per cui il sapere è calato dall’alto» Ci dica un merito della televisione commerciale per decifrarne la nascita…

La TV segue la storia: la subisce e la fa. Ad ogni frattura, il medium televisivo diventa un altro medium: accanto al servizio pubblico, che proponeva un palinsesto simile ad un orario scolastico (per esempio, il Venerdì era il giorno dell’informazione, il Sabato dello spettacolo), era inevitabile che arrivasse la TV commerciale, e che arrivasse proprio quando si affermava la società dei consumi, negli anni ’80. Cambia la TV e cambia anche il dispositivo della società. Qual è il pregio, che però è anche il difetto? Il fatto che mette al centro di tutto lo spettatore. Diventa lui il protagonista e detta il palinsesto. Io spesso uso questa metafora: il centro di una città è pieno di luci, lì si costruiscono la moda, le tendenze, le idee; quando ti allontani da questo centro però, e vai in periferia, domina una sola luce, un po’ azzurrognola, che è quella della TV. Questa luce è l’unico conforto che ha questo pubblico. Un’audience profonda che non ha alcun riferimento culturale e identitario, che trova, nella televisione commerciale, la sua piena identificazione. Si perde il NOI collettivo che era proprio delle grandi narrazioni e si passa ad un IO minuscolo, quello delle piccole cose. Regna il privato. Ed è qui che nasce il reality: la mia realtà è l’unica cosa che conta.

A proposito, lei scrive che il reality «crea le sue star dal nulla e le seleziona non in base a dati di eccellenza (bellezza, intelligenza, abilità) ma in base a criteri di assoluta normalità, partendo dai quali, ogni differenza, ogni pregio, rappresenta un limite per l’identificazione del pubblico». Come spiegarsi il calo di ascolti di quello che è stato il primo di questo format in Italia, il Grande Fratello?

Il motivo è semplice: il Grande Fratello non è più in sintonia con questo mondo. La TV cambia continuamente e ha anche la funzione di esplicare il comune sentire delle persone: oggi un programma del genere è dissonante rispetto alla realtà che invece è molto triste e difficile da combattere.

Per quale prodotto ancora adesso la TV è interessante e cosa riuscirà a renderla anche in futuro appetibile?

La TV generalista, per contrastare la TV a pagamento, tende ad eventizzare tutto. Solo i grandi eventi producono condivisione e grandi ascolti. Perché questi non si rivelino dei flop, occorre che essi riescano ad afferrare lo spirito del tempo. Qui Fabio Fazio è molto bravo, penso al suo programma Vieni via con me, che era molto in sintonia col comune sentire. Altro elemento interessante è la fiction. La fiction svela sempre l’inconscio del nostro essere. Per funzionare bene deve essere una psicanalisi in diretta, esprimere le nostre inquietudini, le nostre angosce, le nostre paure. Pensiamo a cosa sia la fiction americana, che oggi ha sostituito il cinema d’autore.

Lei individua negli anni ’80 il momento in cui si passa dal principio della classe ad una dittatura della maggioranza per cui una cosa è vera se è tale per la maggior parte delle persone. L’oggi, invece, sarebbe caratterizzato dal criterio della moltitudine, sviluppatosi soprattutto sulla rete, in cui ciascuno vale uno e non intende «delegare il potere ad un unico “unto del Signore”» e «non ha bisogno che qualcuno scenda in campo perché è attiva e presente». In questo quadro, che peso attribuire al giornalismo on-line?

Se la maggioranza è una somma di uguali, cioè è conformismo, la moltitudine è una somma di differenze ed esprime, a differenza del concetto di massa, un valore positivo. Tra giornalismo cartaceo e giornalismo on-line c’è una differenza abissale: è molto più libero il giornalismo on-line. Per esempio, nella versione on-line del giornale più autorevole, il Corriere della Sera, scrive la Gabanelli, nel cartaceo no. Ancora: nel giornalismo on-line, la storia del Monte dei Paschi circolava già da mesi, nel cartaceo no. Lì le notizie circolano più liberamente e senza censura…

(CLAUDIO STAITI)

Carlo Freccero (Savona, 5 agosto 1947) è Direttore di «RAI 4». Nel corso della sua esperienza professionale ha attraversato tutte le fasi della televisione: dalla tv commerciale, con «Canale 5», «Rete 4», «La Cinq» e «Italia 1», al servizio pubblico, con «France 2», «France 3» e «Rai 2», alla tv satellitare, con «Rai Sat», per approdare infine alla tv digitale. Autore di numerosi saggi, ha pubblicato nel Febbraio 2013 “Televisione” (Bollati Boringhieri). Questo libro è il frutto della sua esperienza professionale e dei corsi tenuti alle università di Roma Tre e di Genova, dove è docente di Linguaggio televisivo e comunicazione, oltre che dei suoi numerosi interventi su riviste specializzate, come «Link».

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