Sonia Consolo Giaccotto: «L'uomo è un animale sociale eppure oggi siamo sempre più soli»

Sonia Consolo Giaccotto: «L’uomo è un animale sociale eppure oggi siamo sempre più soli»

francesco musolino

Sonia Consolo Giaccotto: «L’uomo è un animale sociale eppure oggi siamo sempre più soli»

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giovedì 30 Maggio 2013 - 07:20

A tu per tu con la scrittrice messinese Sonia Consolo Giaccotto - premiata a Roma nel concorso letterario "L'Incontro di ieri e oggi" - per parlare del suo secondo romanzo

Fra i tanti temi affrontati nelle opere letterarie, la condizione umana è certamente il filone più intenso ed importante. Così ne “L’Incontro nel silenzio”, secondo romanzo della scrittrice messinese Sonia Consolo Giaccotto, i due protagonisti, Akel e Ivano, si confrontano e si incontrano fra le pagine, sino ad un finale inatteso. In questa lunga intervista concessa in esclusiva, Sonia Consolo Giaccotto parla del suo personale rapporto con la scrittura a tutto tondo, dalla poesia alla prosa, annunciando il suo terzo romanzo di prossima uscita. L’incontro nel silenzio è un romanzo snello e agile che punta dritto al cuore ma anche al cervello del lettore. Se l’uomo è un animale sociale, si domanda fra le righe la Consolo Giaccotto, cosa accade quando ci chiudiamo in noi stessi, quando ergiamo un muro e comunichiamo soltanto tramite social network e mezzi affini? Inoltre portando in pagina Akel, la Consolo affronta un tema marcatamente sociale ovvero il dramma delle esistenze negate, la condizione dell’immigrazione clandestina, confrontandola con l’esistenza piatta di Ivano, deciso ad auto-recludersi per non soffrire più…

Ivano e Akel, due uomini così diversi perché hai scelto loro?

«Ivano e Akel, protagonisti di questo incontro, sono due personaggi molto diversi. Per origine, tradizioni, cultura, religione, stato e condizione. Ma soprattutto sono due uomini soli. Proprio la solitudine è il leit motiv di questo romanzo. Ho voluto sperimentare, raccontando questa storia, come due personaggi, molto diversi tra loro, si trovino a fronteggiare questa loro solitudine. Come la sopportano e come si “curano”. Per vivere o semplicemente sopravvivere. L’uomo per sua natura è un animale di gruppo, la solitudine – normalmente – è una situazione amorfa, eppure oggi si sta sempre più soli».

Quale ruolo ha la tecnologia in questo stato di cose?

«La tecnologia, anche nel lavoro, mette sempre più spesso a contatto l’uomo con la macchina. E anche nel tempo libero videogiochi, cellulari, gli stessi social network, nati per avvicinare le persone, di fatto allontanano il rapporto umano, più che consolidarlo. Se quindi, da una parte, questo sviluppo del mondo occidentale ci ha di sicuro reso la vita più agiata e – nonostante la crisi odierna- certamente più ricca e benestante rispetto al passato, dall’altra ha impoverito il rapporto umano e la nostra umanità. Nel romanzo, Akel, extracomunitario mutilato, non ha niente oltre che questa sua solitudine. Neanche un’integrità corporale. E’ solo anima, fede e speranza. Eppure, nonostante tutto, riesce a vivere – almeno nello spirito – al di là di una semplice sopravvivenza, rispetto ad Ivano. Tra i due, paradossalmente, è proprio Akel, che – sicuramente e obiettivamente – si trova in una situazione molto più estrema di Ivano, ad essere più forte. Più reattivo. Più positivo. E qui vorrei fare una riflessione. Il benessere, la ricchezza indeboliscono? Come mai sarà proprio un uomo disperato come Akel a salvare la vita ad Ivano, mentre sarebbe prevedibile esattamente il contrario?»

La storia di Akel dall’Africa all’Italia, fra povertà e miseria, indifferenza e ingiustizia ma anche speranza: perché hai voluto narrare questa esistenza?

«Akel, nel mio romanzo, è l’emblema della solitudine del “diverso”.

Di tutto ciò che è diverso. Con il consequenziale problema dell’emarginazione, tutt’altro che superato.

Ci troviamo a vivere in una realtà sociale che, da una parte, spinge in maniera ossessiva verso una visione cosmopolita del mondo. Dall’altra però, retaggi storico-culturali ancora molto presenti nella nostra educazione e formazione, ci rendono molto titubanti di fronte a tutto ciò che e’ diverso. Per colore, religione o cultura.

Akel è il nostro mondo visto dall’altra parte della barricata. Un ragazzino pieno di sogni che cerca di cambiare la sua vita. Fatta di fame e stenti. E che imparerà quanto ciò sia impossibile. Come se la povertà facesse parte dei geni del suo Dna. E il suo sogno diventerà un incubo».

Ivano è un uomo come tanti che porta dentro un grande dolore eppure sembra destinato al lieto fine fin quando il Fato si abbatte di nuovo su lui. Com’è nato Ivano?

«Ivano rappresenta la solitudine nella nostra società. La solitudine in mezzo ad una folla, così comune ai nostri tempi. In un primo momento, per Ivano – e diversamente da Akel – allontanarsi dal mondo è quasi una scelta. Disilluso dalla vita, la sua solitudine è una forma di protezione dal dolore. Ivano resta nel suo quotidiano, ma in modo meccanico. Vive la sua ordinarietà – lavora, ha una casa, apparentemente svolge una vita normalissima- ma ha come staccato la mente dalle emozioni, per non provare dolore. Per bypassare la perdita di una famiglia, che, per due volte, un destino crudele e capriccioso gli ha negato. L’anima non c’è più. Riemerge saltuariamente nelle sue letture. E questa suo isolamento ci restituisce un personaggio non ordinario. Sarà questa sua diversità a far scattare l’emarginazione verso Ivano. La stessa emarginazione di Akel. Ivano è evitato a dovere, persino alla mensa o alla macchinetta del caffè. Tutti hanno qualcosa da dirsi fin tanto che ci si muove sui gradini della apparente normalità. E’ un po’ il tema portato avanti nel mio primo romanzo “L’ombrello”: la mancanza di un rapporto interpersonale autentico, capace di superare le distanze di un’apparente diversità, che spesso maschera solo un grande dolore».

Nonostante tutto, Akel non perde la pazienza, la fiducia nel domani. Il tema religioso è sempre spinoso in pagina e allora ti chiedo: perché hai voluto affrontarlo in modo diretto?

«In realtà non ho voluto affrontare il tema religioso, in sé e per sé considerato. Proprio perché attiene la sfera personale e intima di ciascuno di noi. Semplicemente, la religione rappresenta un ulteriore elemento distintivo tra i due protagonisti. Akel non possiede nulla, se non la sua anima, la fede e la una grande speranza. Quest’ultima direttamente collegata al suo profondo credo religioso. Sembra quasi che nel romanzo ci sia un’atmosfera di attesa di un imminente crollo emotivo e psicologico di questo personaggio. Ad ogni colpo, sempre più pesante, sferrato dal destino. Ma questo crollo non ci sarà. Per via di questa grande speranza che Akel ha nella vita, che rispetta – in ogni caso e nonostante tutto -come un dono prezioso. Ivano, ha un atteggiamento molto più distaccato e direi anche più critico verso l’elemento religioso. Mi spingerei a dire anche in linea con la visione occidentale in genere. Laddove se la religione è da una parte fortemente sentita ed accompagna la nostra stessa formazione culturale, dall’altra, sembra che questo credo sia meno cieco e più critico. E con ciò, la fiducia di Akel nella salvezza, non intende essere una lezione etica della vittoria del bene – inteso da un punto di vista religioso – sul male. Ma semplicemente un messaggio positivo, proveniente da parte di chi – apparentemente meno forte, perché niente ha, nemmeno un corpo – e nonostante ciò crede, crede e ancora crede nella possibilità di salvezza».

Il tuo concetto di fede è più prossimo alla fiducia incondizionata di Akel o al dubbio razionale di Ivano?

«Personalmente mi sento vicina a entrambi i protagonisti. Credo fortemente nell’idea che qualsiasi religione debba necessariamente spogliarsi da investiture inutili, per recuperare lo slancio della semplicità. Tornando all’origine del pensiero. Per cui, nel momento in cui considero il mio slancio verso la fede mi sento più vicina ad Akel. Ma nutro il dubbio di Ivano, di fronte all’architettura complessa di investiture e potere che l’organizzazione religiosa si è data».

Sei al tuo secondo romanzo. Hai deciso cosa farai da grande?

Sono quasi terzo romanzo, poiché sta per uscire il mio ultimo lavoro “Con tutti i sensi”. Ogni mia opera rappresenta un piccolo scalino verso la mia crescita non solo letteraria e artistica, ma anche personale. Credo che da “grande” continuerò a scrivere. Spero sempre con una maggiore maturità e con lo stesso entusiasmo».

La poesia è la tua prima passione. Cosa ti dà di più rispetto alla prosa?

«Per me sono due amori diversi e complementari. La poesia

e’ l’immediatezza di un emozione che scava l’anima e arriva alle parole. Scarna. Vera. Decisa. Puntuale. Immediata. Introspettiva.

Il romanzo fa esattamente il contrario. Parte dalla parola per arrivare all’emozione. Semplicemente, sento la poesia in modo più intimo».

L’autrice

Nata nel 1969 a Messina. Laureata in giurisprudenza con 110 e lode. Scrivere, sia in prosa che in versi, ha rappresentato per l’autrice un modo per guardarsi dentro, nelle pieghe più profonde dell’anima.

È stata invitata a partecipare alla redazione di un’antologia poetica dei migliori poeti italiani contemporanei, ottenendo il riconoscimento “Perle poetiche” da parte dell’Associazione teatro-cultura “Beniamino Joppolo”con la poesia “Mia figlia” e alla redazione di un’antologia poetica “Lacrime e sangue – diversamente alluvionati” con la poesia “Pioggia assassina”. A gennaio 2012 esordisce con “L’ombrello” edito da Rupe Mutevole cui segue la silloge “Tra cuore ed eros”.

Francesco Musolino®

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