La più celebre delle operette chiude la stagione musicale del Vittorio Emanuele

La più celebre delle operette chiude la stagione musicale del Vittorio Emanuele

giovanni francio

La più celebre delle operette chiude la stagione musicale del Vittorio Emanuele

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domenica 02 Giugno 2019 - 09:10

La stagione musicale del Teatro Vittorio Emanuele si è conclusa venerdì, u.s., con repliche domenica e martedì, con l’operetta per antonomasia “La Vedova Allegra”, sicuramente quella ancora più rappresentata in tutto il mondo. Composta dal musicista ungherese Franz Lehar, su libretto di Victor Léon e Leo Stein, la Vedova allegra, in tre atti, è tratta dalla commedia “L’Attacché d’ambassade” di Henri Meilhac, e racconta la nota vicenda di Hanna Glavary, ricca vedova di un banchiere, che vive a Parigi, la quale viene individuata dal barone Zeta come l’unica possibilità di salvezza per evitare la bancarotta del suo paese Pontevedro. Infatti, se la vedova si risposasse con un connazionale, si scongiurerebbe il trasferimento all’estero del suo cospicuo patrimonio. Viene scelto come candidato a queste nozze combinate il conte Danilo, “Attachè dell’ambasciata”, tramite un fastoso ricevimento per far conoscere i due. Ma i due si conoscevano già, Danilo avrebbe voluto sposare in passato Anna, ma fu minacciato dalla famiglia di essere diseredato, e così Hanna sposò il ricco banchiere; ora però Danilo non la sposerebbe mai per denaro, mentre si scopre che Hanna lo ama ancora. Attraverso un’altra vicenda amorosa clandestina, che intercorre fra Camillo de Rosillon e la moglie del barone, Hanna, per salvare quest’ultima, in procinto di essere scoperta, finge di essere lei l’amante di Camillo, e ciò provoca la gelosia di Danilo. Finalmente Hanna confessa a Danilo che, in caso di nuove nozze, perderà tutto il suo patrimonio, e così lo convince a sposarla, salvo rivelargli poi che avrebbe sì perso il patrimonio, ma perché il legittimo proprietario sarebbe divenuto il nuovo marito: morale: l’amore prevale sugli interessi economici, sul “vil denaro”. L’operetta, come è noto, differisce dall’opera lirica per la mancanza di recitativi accompagnati, essendo strutturata invece in un’alternanza di brani musicali e prosa, quest’ultima spesso predominante. Antesignano del genere è il singspiel tedesco, che ha nel Flauto magico di Mozart il suo più fulgido esempio. Inoltre il genere presenta un carattere più leggero, spesso comico, ove una parte preponderante è riservata alla danza. Nata nella seconda metà dell’800, con Offenbach e Strauss, questo genere musicale può risultare ormai un po’ datato e con difficoltà riesce ad inserirsi nei cartelloni teatrali, in quanto rappresentativo di un momento storico contingente, la spensieratezza di fine secolo della società parigina e austriaca che è assai difficile da attualizzare, anche per lo spessore musicale troppo leggero dell’operetta stessa, una musica fatta di facili melodie orecchiabili, gradevoli all’ascolto ma destinate ad un irreversibile tramonto a causa della loro debolezza strutturale armonica. La sua rappresentazione tuttavia può destare ancora oggi un certo interesse, anche in qualità di documento storico di un’epoca ormai perduta, il mondo spensierato e dorato della fine del diciannovesimo secolo, la “Belle Epoque”, quel paradiso perduto, fatto di fasti, sontuose feste danzanti da “Che Maxim’s”, champagne, pura allegria… il canto del cigno di un mondo che sarebbe stato spazzato via per sempre dalla grande guerra, alla fine della quale nulla sarebbe stato più come prima. La rappresentazione dell’operetta pone sempre il dilemma della sua attualizzazione: riprodurre fedelmente e pedissequamente il testo rischia infatti di porre in essere uno spettacolo non più attuale e anche poco interessante per lo spettatore; contestualizzare il racconto con battute moderne e tipiche del nostro tempo e del nostro linguaggio rischia viceversa di tradirne lo spirito, e di scadere in un tono macchiettistico. La messa in scena della produzione messinese, a cura del regista Victor Carlo Vitale, ha optato per questa seconda scelta, ed in verità non è stata esente talora da una certa caduta di stile. Anche le scene ed i costumi, volutamente sobri ed essenziali, non hanno reso fino in fondo la verve e la piacevole frivolezza e leggerezza che devono comunque caratterizzare uno spettacolo di questo genere. Discrete le prove dei cantanti, il soprano Francesca Maria Mazzara nel ruolo della vedova allegra Hanna Glavary ha esibito una voce un po’ leggera ma attenta alle sfumature nelle parti più eminentemente liriche, anche se ci si sarebbe aspettati un maggior brio richiesto dal ruolo; stesso discorso per il tenore Federico Veltri nel ruolo del Conte Danilo; più convincenti Manuela Cucuccio (una frizzante , moglie del barone ) e Marco Miglietta (un tenero e romantico Camillo de Rossillon dotato di una bella voce) L’attore Giancarlo Ratti nel ruolo di Njiegus, con le sue battute a doppio senso, ha divertito il pubblico, strappando sovente i più convinti applausi. Buona la performance dei ballerini, impegnati anche in un “Can Can”, ma la prova più convincente è stata senz’altro offerta dall’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, sapientemente diretta da Giuseppe Ratti, davvero in notevole progresso, che, insieme all’ottimo Coro Lirico “Francesco Cilea” diretto da Bruno Tirotta, impeccabile, ha espresso al meglio le celebri musiche per le quali quest’operetta è giustamente famosa – come il duetto tra Hanna e Danilo Tace il labbro, lo splendido Valzer dell’atto III o l’irresistibile e famosissimo “È scabroso le donne studiar” – e rimane ancora nei cartelloni di tutti i teatri del mondo.

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