Cento anni della Marcia su Roma, "ecco come si affermò la dittatura fascista"

Cento anni della Marcia su Roma, “ecco come si affermò la dittatura fascista”

Redazione

Cento anni della Marcia su Roma, “ecco come si affermò la dittatura fascista”

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sabato 29 Ottobre 2022 - 13:12

Un intervento del docente universitario Salvatore Bottari

Pubblichiamo un excursus storico del docente universitario Salvatore Bottari (Università di Messina, nella foto) sulla Marcia su Roma, 28 ottobre 1922/2022.

L’esperienza della Prima guerra mondiale aveva prodotto una diffusa politicizzazione popolare. L’eco della Rivoluzione russa, inoltre, sollecitava il protagonismo della classe operaia e i rinnovati fermenti dei contadini. I partiti socialisti avanzavano quasi ovunque in Europa. Anche i ceti medi tendevano a mobilitarsi per difendere i loro interessi coagulandosi, per lo più, attorno a parole d’ordine di stampo patriottico.

In Italia le elezioni politiche del novembre del 1919 si tenevano con il sistema proporzionale e lo scrutinio di lista, sostituendo così il vecchio metodo del collegio uninominale. I risultati penalizzavano i gruppi liberali e democratici che perdevano circa un terzo dei seggi (passavano da oltre 300 seggi a circa 200), mentre i socialisti si affermavano come il primo partito con il 32% dei voti e 156 seggi; il neo-costituito Partito popolare di don Luigi Sturzo otteneva 100 deputati.

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Mussolini

Estremamente limitato era ancora il ruolo del movimento dei Fasci di combattimento fondato a Milano il 23 marzo del 1919 da Benito Mussolini. I governi che si succedevano nei mesi successivi (prima a guida di Saverio Nitti, poi di Giovanni Giolitti) si fondavano sull’accordo tra i popolari e i gruppi liberaldemocratici poiché i socialisti rifiutavano qualunque collaborazione con i partiti borghesi. La rivoluzione bolscevica, infatti, determinava una radicalizzazione della dirigenza del Partito socialista nonostante il pragmatismo mostrato dai deputati socialisti.

La lotta dei lavoratori con scioperi e occupazioni

Tra il 1919 e il 1920 si intensificava la lotta dei lavoratori con scioperi e occupazioni di fabbriche che la propaganda del Psi presentava come i prodromi di una imminente rivoluzione. Più realisticamente la Confederazione Generale del Lavoro mirava spostare lo scontro sul piano economico riuscendo a ottenere, peraltro, un accordo vantaggioso grazie anche alla mediazione che Giolitti intraprese con gli industriali. Nel frattempo, le deliberazioni assunte al II Congresso del Comintern producevano in Italia una scissione all’interno del Psi: le frange più estreme del partito fondavano a Livorno il Partito comunista d’Italia (gennaio 1921).

Il violento attacco fascista a partiti, Case del popolo e giornali

Mentre già si esaurivano le lotte più eclatanti del biennio rosso dalla fine del 1920 le squadre fasciste di Mussolini cominciavano un sistematico e violento attacco alle sedi del Psi e poi degli altri partiti, alle camere del lavoro, alle leghe, alle Case del popolo, agli organi di informazione. Il movimento di Mussolini, infatti, aveva abbandonato ogni elemento residuo radical-democratico dell’originario programma e puntava allo scontro con i socialisti attraverso lo squadrismo e, nel novembre del 1921, si trasformava in Partito nazionale fascista, un partito milizia che garantiva gli interessi economici delle classi dirigenti e, al contempo, mirava alla presa del potere e alla trasformazione totalitaria dello stato. Il successo dello squadrismo fascista era dovuto in larga misura all’impunità di cui godeva. La forza pubblica non interveniva e lo stesso Giolitti, in linea con un’idea diffusa in buona parte del ceto politico dell’epoca, pensava di potersi servire del fascismo come elemento d’ordine per ridurre a più miti consigli socialisti e popolari e poi di poterlo imbrigliare e costituzionalizzare attirandolo, in un ruolo subordinato, nell’area di governo.

Il progetto di occupare la capitale con la mobilitazione fascista

In un simile contesto va inquadrata la formazione dei blocchi nazionali (coalizioni eterogenee con dentro anche i fascisti)  alle elezioni politiche del 15 maggio 192 . Mussolini veniva legittimato e otteneva 35 parlamentari, ma l’esperimento complessivamente non riusciva poiché i socialisti avevano solo una modesta flessione rispetto alle elezioni di due anni prima (123 seggi) mentre i popolari, che ottenevano 108 seggi, si rafforzavano; il Partito comunista otteneva 15 deputati. Giolitti fu sostituito al governo da Ivanoe Bonomi, che dopo pochi mesi era costretto a cadere il passo a Luigi Facta. A questo punto il Partito nazionale fascista conduceva un doppio gioco: da un lato Mussolini avviava trattative con i maggiori esponenti della vecchia classe politica (Giolitti, Salandra, Orlando, ecc.)  chiedendo alcuni ministeri e rassicurava la monarchia e gli industriali; contemporaneamente l’azione dello squadrismo fascista si faceva sempre più aggressiva.

In questo contesto maturava il progetto della marcia su Roma, cioè la mobilitazione dei fascisti con l’obiettivo di occupare la capitale. Il 24 ottobre 1922, i fascisti tenevano il loro congresso al Teatro San Carlo di Napoli. Mussolini dopo un ambiguo discorso in cui manifestava la propria scelta legalitaria per la presa del potere, lasciava ampi margini all’alternativa rivoluzionaria, partiva per Milano. I cosiddetti quadrumviri – Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono e Michele Bianchi, segretario del Pnf – mobilitavano il partito per la marcia su Roma. Facta si dimetteva da presidente del Consiglio dei ministri il 27 ottobre mentre Vittorio Emanuele III rifiutava di firmare il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio. Mussolini, intanto, da Milano continuava a trattare con la monarchia ma stavolta, grazie all’appoggio della minaccia squadrista, gettando giù la maschera: chiedeva per sé la guida del governo. Vittorio Emanuele III gliela concedeva.

Il 30 ottobre Mussolini era a Roma e in poche ore formava un governo di coalizione con i giolittiani, i liberali di destra, i demosociali, i popolari e i nazionalisti. Il 31 ottobre le squadre fasciste sfilavano per Roma non rinunciando, nonostante il successo ottenuto, a lasciare dietro di loro una scia di sangue. L’Italia veniva risucchiata nel vortice di una ventennale dittatura.

Salvatore Bottari

Ordinario di Storia moderna (Università di Messina)

Presidente della Società Messinese di Storia Patria

Presidente del Comitato Provinciale di Messina dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano

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