Messina: l'antico muro nascosto dell'isolato 163 (prima parte)

Messina: l’antico muro nascosto dell’isolato 163 (prima parte)

Daniele Ferrara

Messina: l’antico muro nascosto dell’isolato 163 (prima parte)

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giovedì 25 Febbraio 2021 - 08:14

Cerchiamo di approfondire le notizie in merito alla struttura muraria ritrovata nello scavo presso piazza Trombetta

Tra le strutture murarie più cospicue ritrovate a Messina ve n’è una a blocchi isodomi venuta alla luce nello scavo dell’isolato 163, presso piazza Trombetta. Questa struttura è allineata in posizione trasversale sudest (lato via Santa Marta) e nordovest (in direzione di via Noviziato), quindi sbarrando quella che oggi è la via Santa Marta e che da sempre ha costituito il corso di uno dei rami del torrente Zaera-Camaro, il cui asse principale corrisponde al tracciato dell’attuale viale Europa. Questi resti purtroppo sono sostanzialmente sconosciuti alla quasi totalità della cittadinanza.

Volendo parlare di questo sito, abbiamo chiesto un parere al dottore Riccobono (parti in corsivo) – che per oltre dieci anni ha operato circa sessanta ritrovamenti in città definendo per la prima volta l’impianto urbano della città preistorica, greca e romana e individuando per primo l’area archeologica sulla collina di Montepiselli, e che attualmente riveste un prestigioso incarico nel Consiglio Regionale dei Beni Culturali – per svelarvi cos’è questa struttura e cosa rappresenta questa zona per la ricostruzione dell’assetto urbano dell’antica Messina.

Qual è il contesto dello scavo in cui si è rinvenuto l’enigmatico muro, che si trova al di fuori dell’insediamento della cosiddetta età greca?

L’area del ritrovamento nell’isolato 163 rientra nell’àmbito della grande Necropoli detta degli Orti della Maddalena, la cui estensione può indicarsi approssimativamente con l’asse dell’attuale via Cesare Battisti ad est e risalendo la valle del Camaro sino al viadotto ferroviario ormai dismesso. Fu in occasione degli scavi per la costruzione di questo imponente manufatto (1880 circa) che avvennero i primi ritrovamenti archeologici riferiti dal professor Tropea ad una non meglio identificata necropoli zanclea. Altri ritrovamenti furono fatti nel corso del tempo a sèguito di scavi condotti da Antonino Salinas, Paolo Griffo (negli anni ’40), Georges Vallet (negli anni ’50), cui fecero sèguito varî altri rinvenimenti tra cui quello di largo Avignone con la monumentale tomba a camera fortunatamente conservata in posto e potenzialmente “fruibile” a sèguito dell’opera di ripulitura condotta appena qualche anno addietro ad opera del volontariato culturale cittadino.

Il muro non può essere parte d’una fortificazione

Giacomo Scibona in Da Zancle a Messina riconduce questi resti a una fortificazione, ma la posizione – fuori mano e ai piedi d’un colle – non è forse poco strategica affinché il muro sia difensivo?

Il professore Segre, esperto di geologia, paleontologia e archeologia preistorica, mi ricordava spesso che la formazione culturale dovrebbe essere multidisciplinare e non specialistica, in quanto dall’interpolazione di diversi elementi si può giungere alla scoperta della verità. L’ipotesi che l’imponente struttura di via Santa Marta sia stata una fortificazione appare sùbito impraticabile se si considera che, topograficamente, il muro “di fortificazione” sorge in posizione del tutto sottomessa, trovandosi nel fondovalle di un corso d’acqua che, seppur secondario, aveva una sua consistenza, ma soprattutto ci troviamo alla base della collina di Montepiselli a nord, mentre a sud la posizione del muro appare “infossata” rispetto al normale piano di campagna dei cosiddetti Orti della Maddalena, il cui livello s’innalza mediamente di oltre 10 metri rispetto a quello del nostro muro. Quindi una posizione indifendibile che nega inequivocabilmente la possibilità di riferire ad una struttura fortificata l’imponente muro.

Il dottore Scibona riferiva pure di mura ritrovate in via Garibaldi e via Università da Paolo Orsi durante la ricostruzione e da attribuite al periodo mamertino, nonché un altro ritrovato nella valle del Camaro, ricollegando a queste quello dell’isolato 163.

Del tutto azzardato appare il collegamento tra questo muro e le mura di fortificazione identificate come tali dall’Orsi e dal Salinas. Un sistema difensivo o cinta muraria in difesa di un insediamento seguiva una precisa logica. Nel nostro caso, se collegabili possono apparire le mura trovate dall’Orsi in via Università e in corso Garibaldi, è assolutamente insostenibile un collegamento tra queste strutture – correlate all’insediamento intorno al porto – e il muro di via Santa Marta distante quasi 2 kilometri, o quello di Camaro più prossimo ma assolutamente sconnesso dal nostro. Peraltro, come dimostrato dai ritrovamenti eseguìti in occasione dello scavo, questa struttura ricade nell’àmbito della necropoli, tant’è che sepolture sono state ritrovate sia a monte che a valle del muro, oltreché a ridosso dello stesso; quindi parliamo di una struttura impostata in quel preciso punto certamente non in difesa delle tombe, ma per più precisi motivi.

Allora che cos’è questo muro?

E allora, se non è un muro di cinta (e non può esserlo), che cos’è? Proseguiremo questa interessante dissertazione in una seconda puntata, e insieme a Franz Riccobono vi sveleremo che cos’era probabilmente questo antico muro.

In immagine, la dettagliata mappa dei ritrovamenti archeologici fatti dal 1965 al 1974 preparata a suo tempo dal Circolo Codreanu allegata a La storia ritrovata: 1965-1975, dieci anni di ricerca archeologica a Messina di Franz Riccobono.

Un commento

  1. Concetta Giuffré 25 Febbraio 2021 15:20

    Osservo, solo en passant e senza intenzione di dare importanza alcuna ad argomentazioni , che dovrebbero svolgersi in sede adeguata e non in contesti di dilettantismo pseudo-giornalistico, che, come sicuramente avrebbe capito il Prof. Segre, alla cui memoria va tutta la mia stima, i livelli attuali di una città come Messina, non possono in alcun modo essere identificati a quelli della città antica. Dunque tutte le argomentazioni fondate su questo assunto sono da ritenersi almeno opinabili. Ma poiché io sono ben cosciente di non essere né una topografa, né un’archeologa e non sono neppure una seguace della Tuttologia, non entro nelle argomentazioni specifiche da ricercarsi, citazioni alla mano, nella pubblicazione di Giacomo Scibona sull’argomento. Osservo solo che cercare di smontare un risultato scientifico di uno specialista in absentia non solo è troppo facile, ma è anche di cattivo gusto. Ma da tanto tempo ormai, così va il mondo!

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