Natala Mancuso è spirata nel 2019 dopo la trafila tra ospedali e clinica. Per i giudici il focus è proprio sulla struttura privata
MESSINA – Ci sarà il processo per i sette medici indagati a Villa Salus dopo la morte di Natala Mancuso, originaria di Santa Lucia del Mela ma da tempo residente a Messina, spirata al Piemonte il 19 novembre del 2019. La donna era arrivata all’ospedale di centro città già in coma il 29 ottobre precedente, dopo un lungo ricovero nella clinica privata di viale Regina Margherita.
Il giudice Eugenio Fiorentino ha chiuso il vaglio preliminare scagionando da tutte le ipotesi d’accusa quattro infermieri, mentre ha accolto la richiesta della Procura di rinviare a giudizio 7 medici della clinica. L’inizio del processo di primo grado è fissato al prossimo 17 marzo ed è davanti al Tribunale, nel dibattimento, che i camici bianchi della clinica privata si difenderanno dall’accusa di omicidio colposo.
A dare il via all’inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Alessandro Liprino, era stata la denuncia dei familiari, assistiti dall’avvocato Fabio Mirenzio. I figli avevano ricostruito la trafila della donna: Natala Mancuso era stata operata per un carcinoma maligno al seno nel 2011. Da allora annualmente si ricoverava al Papardo per un check up completo e un ciclo terapico. Trafila effettuata anche quest’anno. Dimessa a fine settembre, le veniva diagnosticata una diverticolosi del colon e le veniva prescritta una cura farmacologica.
Il 2 ottobre, in preda ad una fortissima stitichezza, conati di vomito e dolori addominali lancinanti, veniva portata d’urgenza al Papardo, dove le veniva diagnosticata una sub occlusione intestinale e le veniva assegnato un codice giallo. Non potendo restare seduta in attesa di ricoveri ed esami, la signora Mancuso tornava a casa. Le sue condizioni però peggioravano e la sera dopo i figli la riportavano in ospedale, dove veniva ricoverata per essere operata. Lo stesso giorno, però, i figli chiamavano il loro medico di fiducia di Villa Salus, che si diceva disponibile a ricoverarla in clinica ed operarla. La settantottenne, perciò, entrava nella struttura sanitaria privata.
Da lì, lamentano i figli, è stato un calvario. In particolare i familiari contestano ai sanitari di non averla operata subito, di averle poi dovuto asportarle il colon d’urgenza per via delle complicanze, infine di averla intubata troppo tardi, sottovalutando le avvisaglie dell’aggravamento e del coma. La donna è stata poi trasferita al Piemonte già intubata, il 29 ottobre, per spegnersi, in Rianimazione, circa 20 giorni dopo.

I nomi dei medici?