Una lezione dal voto. Voltare pagina e mettere le periferie al primo posto

Una lezione dal voto. Voltare pagina e mettere le periferie al primo posto

Una lezione dal voto. Voltare pagina e mettere le periferie al primo posto

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mercoledì 04 Luglio 2018 - 08:34

L'analisi del voto da parte del prof. Giuseppe Fera, ordinario di Urbanistica all'Università di Reggio Calabria ed esponente del Centrosinistra

L’articolo del prof. Michele Limosani e il successivo intervento dell’on. Navarra mi hanno spinto a qualche considerazione che intendo qui condividere. I fatti sono sotto gli occhi di tutti ed inequivocabili: le tradizionali forze politiche che avevano governato la città dall’inizio degli anni ‘90 fino al 2013, centrodestra (soprattutto) ma anche centrosinistra, sono uscite per la seconda volta sconfitte dalla competizione elettorale per la scelta del sindaco e per la seconda volta dal 2013 i messinesi hanno scelto come primo cittadino due outsiders difficilmente etichettabili con i canoni politici tradizionali, prima Renato Accorinti e adesso Cateno De Luca, i quali hanno entrambi una caratteristica comune fondamentale da cui bisogna partire per una seria analisi: l’estraneità al sistema di potere che ha determinato per decenni le sorti della città ed alle dinastie politiche e familiari che lo hanno finora rappresentato.

Questa estraneità, unita ad un’altra caratteristica molto apprezzata, l’onestà, ha consentito nel 2013 la vittoria di Renato Accorinti, che aveva coagulato, anche in chi non lo aveva votato, un sentimento di speranza che le cose stessero per cambiare. Purtroppo in peggio, come si è potuto constatare dopo 5 anni, perché l’onestà si è accompagnata alla scarsa competenza e ad un approccio fortemente ideologizzato, con la totale chiusura a qualunque forma di dialogo con “gli altri”, fossero forze politiche o consiglio comunale; in sostanza un atteggiamento ed una conduzione della cosa pubblica profondamente antidemocratici; nessun incarico di nessuna natura è stato dato da questa amministrazione a chi non fosse fortemente schierato con le idee del sindaco e del suo cerchio magico. Questo credo sia stato il difetto maggiore dell’esperienza accorintiana che i cittadini messinesi hanno ben colto e non gli hanno perdonato, mentre sono stati indulgenti e divertiti alle sue uscite teatrali e cabarettistiche.

Il primo grande errore di valutazione di centrodestra e centrosinistra è stato quello di pensare che dopo il disastro accorintiano la città avesse bisogno di tornare ad una sorta di normalità politica e volesse affidarsi alle mani del vecchio establishment, rappresentato da candidati sulla cui serietà e competenza non potevano nutrirsi dubbi. Valutazione errata, perché la maggioranza dei cittadini di Messina ha colto in questi candidati non tanto la serietà e la competenza quanto l’essere espressione (in parte presunta) di un vecchio sistema di potere. Cosicché, trascinati dal voto al vicino di casa, all’amico o al parente o al consigliere comunale uscente, i messinesi hanno dato alle liste di centro destra e centrosinistra (16 su 29 in totale) circa il 62% dei consensi, ma solo il 46% ai candidati sindaci (55.000 voti in valore assoluto contro i quasi 70.000 voti di lista), mentre Accorinti, Sciacca e De Luca, che potremmo identificare come voto di protesta hanno raccolto insieme il 48% (57.000 voti circa contro 35.000 voti di lista); un vero e proprio trionfo del voto disgiunto.

Al ballottaggio non c’è stata partita e, mentre De Luca ha più che raddoppiato i consensi del primo turno (48.000 voti) raccogliendo un po’ dappertutto, Bramanti ha perso altri 8.000 voti rispetto al primo turno. Ancora una volta a Messina ha dunque prevalso il “voto di protesta”, se così vogliamo definire un complesso e contradditorio bisogno di “voltare pagina”, la sostanziale perdita di fiducia verso la vecchia classe dirigente; quest’ultima non più in grado di garantire quelle forme di assistenzialismo clientelare (assunzioni, pensioni di invalidità, ecc..) che sono state per anni il principale strumento di cattura del consenso.

Se pensiamo al profondo declino economico che la città ha vissuto in questi anni, alla sua totale incapacità di darsi un ruolo e al conseguente impoverimento di una buona parte della popolazione, ne deriva un quadro preoccupante di disagio e rabbia, capace solo di alimentare speranze in personaggi “nuovi” quanto istrionici (rivelatasi nel caso di Accorinti illusorie e malriposte) ma ovviamente non in grado, disagio e rabbia, di produrre un progetto politico di rinascita.

In verità il personaggio De Luca appare abbastanza diverso da Accorinti, per cultura, storia politica e competenza; due figure apparentemente simili ma profondamente diverse, con il nuovo sindaco che ha già svolto questo ruolo in altri comuni e, a giudizio di molti, in maniera positiva; un personaggio privo di corazze ideologiche e in apparenza aperto al dialogo ed al confronto. La mia cultura ostinatamente priva di pregiudizi mi porta a sospendere qualunque giudizio e di valutare l’operato del nuovo sindaco dagli atti che compirà, atteggiamento che mi sento di suggerire a tutti.

E’ con questo quadro complesso e contraddittorio che occorre confrontarsi, sia per prepararsi alle prossime scadenze elettorali, sia, e soprattutto, se già da adesso si vuole lavorare per costruire una reale prospettiva per la città. Ma per quanto complesso e contraddittorio, questo quadro contiene in sè due fortissimi elementi positivi.

Il primo è un sostanziale affrancamento dei messinesi dalle precedenti pratiche di voto di scambio; che ci piaccia o no il voto a Sciacca, Accorinti, De Luca, ed anche il voto per il candidato di centrosinistra Saitta, è stato in buona misura un voto dato in assoluta libertà, un “voto di opinione”, non condizionato da promesse, favori e pacchi della spesa. E questa è una grande vittoria della democrazia che fa ben sperare per il futuro della città, dal quale il PD e la sinistra messinese devono partire se vogliono riacquistare consenso; un consenso che purtroppo non è venuto, nonostante l’encomiabile sforzo di rinnovamento che si è tentato nell’ultimo anno. Certamente ci vorrà più tempo, ma la strada è quella giusta, se si riesce ad abbandonare definitivamente qualunque suggestione “clientelare” che ancora cova sotto la cenere, affrancarsi definitivamente da soggetti impresentabili ma portatori di pacchetti di voti, da politicismi e bizantinismi politici. I messinesi ci voteranno se saremo credibili nelle proposte e nei progetti, se faremo i loro interessi e non quelli delle solite note famiglie e dei soliti noti gruppi.

Il secondo straordinario elemento da considerare è il ribaltamento dei complessi rapporti (economici, sociali, culturali) fra “centro” e periferie. Per decenni il centro di Messina, borghese, ricco, acculturato e con la sua ristretta cerchia di famiglie egemoni, ha dominato e governato le periferie, mantenendo da un lato la popolazione delle stesse subalterna ai propri interessi, mediante l’uso spregiudicato della spesa pubblica – assistenziale e alimentando, almeno nei primi anni, la rendita edilizia. Dall’altro ci si è ben guardati dal trovare una soluzione a quei problemi, la cui cinica gestione e dilazione nel tempo consentiva di creare promesse e aspettative utili, ancora una volta, alla raccolta del consenso; la vergognosa permanenza in città delle baracche ne è la prova più lampante.

I risultati delle recenti elezioni amministrative ci dicono che qualcosa sta cambiando, che le periferie “popolari” sognano un “riscatto” economico e sociale e stanno faticosamente cercando una propria strada; a Giostra, a Camaro a Santa Lucia sopra Contesse esistono ancora enormi disagi, problemi ambientali, povertà e criminalità organizzata, ma la mia sensazione è che esiste anche una grande voglia di riscatto, di uscire dal tunnel, soprattutto da parte di tanti giovani, sempre più diplomati e laureati, per fortuna, che non vogliono più sentirsi, ed essere trattati, come cittadini di serie B. Esiste soprattutto una grande voglia di essere padroni del proprio destino, di non affidarsi più alle false promesse di una borghesia e di una classe dirigente ormai prive di forza “vitale”, di idee e di stimoli culturali, affette da localismo allo stadio terminale, preoccupate di mantenere e difendere gli ultimi piccoli privilegi e monopoli dalle minacce rappresentate da calabresi, palermitani, governi nazionali e commissioni europee.

Occorre rileggere Messina a partire dalle periferie, e porre al primo posto le esigenze ed i bisogni degli abitanti di queste aree. Questo deve essere il pensiero guida del PD e della sinistra messinese; che non significa solo (ma sarebbe già tanto) eliminare le baracche e le condizioni di degrado ambientale, ma realizzare nuove centralità urbane, favorendo l’insediamento a Giostra, Gazzi, nei villaggi collinari di nuove funzioni direzionali, attività produttive e commerciali, servizi sociali, trasformando le periferie in città. Uno sforzo enorme da sviluppare in parallelo con una credibile ed adeguata strategia di sviluppo che miri a valorizzare le tante risorse esistenti nel territorio, a creare solidi legami con la provincia metropolitana e con la sponda calabra dello Stretto. Uno sforzo enorme ma indispensabile. Nessuno sviluppo realmente sostenibile sarà possibile per Messina finché una così larga parte della sua popolazione continuerà a vivere ai margini in condizioni di povertà e degrado ambientale.

Giuseppe Fera

2 commenti

  1. Hanno ripetuto come un disco rotto che Bramanti era appoggiato dai poteri forti.
    Visto il risultato del ballottaggio è estramente chiaro che le alternative possono essere soltanto due:
    1 – Questi famigerati poteri non sono così forti
    2 – Questi poteri forti si sono schierati con De Luca

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  2. sergio indelicato 4 Luglio 2018 20:00

    Credo che il prof Fera con i suoi 67 voti ottenuti nelle ultime consultazioni l’analisi , prima di tutto, la dovrebbe fare su se stesso per poi continuare con il calcolo dei voti ottenuti dall’intera lista dove erano presenti altri nomi altisonanti che sono risuciti a fare anche peggio. Poi , dopo un serio periodo di riflessione, dovrebbe aver il buon gusto di ritirarsi dalla scena politica per acclarata inconsistenza poltica

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