Recuperare il significato vero di una grande mobilitazione per la libertà sgnifica renderne vitale il messaggio.
Il Sud non ha conosciuto la Resistenza. Non è stato coinvolto da quel movimento di partecipazione civile che ha spinto molti giovani dell’epoca a compiere scelte drammatiche per riconquistare la democrazia e liberare il nostro Paese dal giogo nazi-fascista. Per molti anni le analisi socio-politiche hanno addebitato proprio al passaggio diretto dal regime fascista al sistema clientelare di stampo democristiano l’origine della mentalità conservatrice del popolo meridionale e del suo rapporto utilitaristico con la politica. Non avere conosciuto la forza dei valori della Resistenza, la capacità di rinunciare al proprio interesse personale per un obiettivo che non aveva nulla di concreto per sé ma che aveva un’importanza fondamentale per una comunità intera, la disponibilità a superare le divisioni politiche per garantire al Paese un futuro migliore, non avere vissuto tutto ciò ha lasciato che si consolidasse nel popolo meridionale un pericoloso distacco rispetto alle istituzioni, considerate, come sempre, una mucca da mungere più che la casa di tutti per cui tutti devono dare una mano. C’è da chiedersi allora se fa bene all’intera nazione, allo spirito solidaristico e unitario che nel bene e nel male ne ha sin qui caratterizzato l’evoluzione, alle positive spinte di partecipazione politica che in fasi delicate della storia repubblicana hanno consentito di sconfiggere minacce gravi come il terrorismo e fatto progredire i diritti, se fa bene a questo grande patrimonio l’attacco ripetuto alla memoria della Resistenza, il tentativo a volte subdolo a volte sfacciato di mistificare gli eventi piegandone la vera natura agli interessi politici del momento, la volontà di confondere il segno della storia per cui buoni e cattivi vengono messi sullo stesso piano facendo ricorso al manto pietoso del dramma che, è vero, ha coinvolto tutti, ma che ha ben distinto tra chi lo ha creato e chi ha cercato di allontanarlo per sempre dalle nostre vite. No, non fa bene al Paese, alla sua convivenza civile recidere le radici su cui è costruito, perchè si corre il rischio di prosciugare la linfa che ha reso vitale la nostra democrazia. Per cui ben vengano le celebrazioni del 25 Aprile e non manchi mai l’impegno a ribadire il senso vero del percorso compiuto dalla nazione a partire dalla Resistenza. Altrimenti si rischia di perdere la rotta, di cancellare con la memoria stessa di quella grande mobilitazione per la libertà l’impegno per tenere unita l’Italia e per restituire alla politica la sua grande funzione di sintesi tra spinte ideali e visioni culturali diverse con l’unico scopo di far progredire l’interesse generale e non già di coltivare squallidi interessi personali.
