Il gioco delle liste in Lombardia e Lazio: quando la sostanza si fa beffe della forma

Il gioco delle liste in Lombardia e Lazio: quando la sostanza si fa beffe della forma

Il gioco delle liste in Lombardia e Lazio: quando la sostanza si fa beffe della forma

sabato 06 Marzo 2010 - 08:53

La riflessione: è più importante la tutela del diritto di scelta tra più fazioni o il rispetto delle regole e della separazione dei poteri? DITE LA VOSTRA SU TEMPOSTRETTO.IT

Certezza delle regole, separazione dei poteri, parità di trattamento. Sono principi cardine di una democrazia, così come principio cardine, basilare, è la possibilità per gli elettori di scegliere tra due o più “concorrenti” a questa o quella carica. Ma tutelare questa possibilità, questo sacrosanto diritto, giustifica il mettere in un cassetto chiuso a chiave i tre principi cardine di cui sopra? E’ questo il dilemma, al tempo stesso giuridico, politico e sociale, di fronte al quale gli italiani si ritrovano dubbiosi e per certi versi sconcertati, nell’ennesima campagna elettorale giocata sul piano delle carte bollate e della burocrazia, piuttosto che sui contenuti. In diverse regioni italiane si va alle urne, tra queste i due “presidi”, Lombardia e Lazio, oggetto del dibattito di questi giorni e, ovviamente, oggetto del desiderio dei grandi partiti, essendo centri di potere irrinunciabili.

Ma anziché poter valutare su quali programmi abbia questo o quello schieramento su tematiche centrali quali la sanità, la spesa pubblica, la gestione dei rifiuti, ecc., i cittadini sono costretti ad assistere all’ennesimo teatrino di una politica sempre meno rappresentativa e sempre più portatrice di interessi propri. Se dietro a quanto è successo in Lombardia e nel Lazio ci siano le grandi manovre politiche che destabilizzano un Pdl mai nato o più semplicemente un dilettantismo poco consono a certi livelli, a questo punto è passato in secondo piano. In primo piano c’è il “coupe de theatre” del consiglio dei ministri, il decreto “interpretativo”, che non crea, dunque, una nuova norma ma ne ridisegna gli effetti, secondo una nuova interpretazione, evidentemente più illuminata di quelle che l’avevano preceduta per decenni.

Un escamotage, tecnicamente un “capolavoro” da azzeccagarbugli, che prevede che nel valutare i termini di presentazione delle liste ci si basi anche sul fatto che con qualsiasi mezzo si possa dimostrare di essere stati presenti nel luogo di consegna nei termini stabiliti dalla legge. Inoltre, la documentazione può essere verificata anche in un secondo momento, per la parte che attiene ai timbri e alle vidimazioni. Qualcuno parla di regole cambiate in corsa, altri dicono che così è stata salvata una competizione elettorale, sale della democrazia. Ma sale della democrazia, dicevamo in apertura, è anche la certezza delle regole. E le regole le stabilisce la Legge: come quella del 1988, che vieta al governo di mettere mano a norme di materia costituzionale e elettorale (il cosiddetto “potere normativo del governo”). Sicuri che ieri non sia successo qualcosa del genere, per di più con l’avallo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (garante assoluto del popolo, che però oggi storce il muso)? Persino il “circense” mondo del calcio è più preciso da questo punto di vista: in sede di calciomercato, se il contratto di un giocatore arriva anche solo 20 secondi dopo le 19, non è valido e l’acquisto di quella squadra salta. In politica, da oggi, non è più così.

Eppure la politica ci ha insegnato che i cavilli, a volte, contano più della sostanza. Insegnamento che qui a Messina ci ha dato proprio il centrodestra che, forse ancora “cieco” per la prima sindacatura “strappata” a Buzzanca (anche qui per un “cavillo”, seppur giuridicamente inattaccabile, ma evidentemente sproporzionato rispetto agli effetti), ha ordito quel fantasioso stratagemma della “lista di napoletani” (con l’abile regia di Nanni Ricevuto), con dentro gente che a Messina non c’aveva mai messo piede, per far saltare il baraccone messo su dal sindaco Genovese. Allora la “sostanza” suggeriva di non considerare la “forma”, gli “pseudo-diritti”, per di più nemmeno rivendicati, di una lista “farlocca” di fronte agli interessi di una città nella quale, di fatto, la democrazia è stata sospesa con l’arrivo di un commissario factotum. La forma è sostanza? O la sostanza supera la forma? Questi i dilemmi, ai quali la maggior parte degli italiani, che si accorgono ogni tanto di avere in Parlamento gente nominata e non eletta, ne aggiungono un altro: possiamo ancora dirci in una democrazia?

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