Referendum elettorale al rush finale

Referendum elettorale al rush finale

Redazione

Referendum elettorale al rush finale

sabato 14 Luglio 2007 - 17:24

Ultimi giorni per firmare. Qualche indicazione per capirne di più.

Sono ormai pochi i giorni rimasti a disposizione degli elettori per sottoscrivere i tre quesiti referendari promossi da un comitato eterogeneo, presieduto dal costituzionalista (romano, ma di origini messinesi) Giovanni Guzzetta e composto, oltre che soggetti della società civile, da esponenti di forze politiche collocate tanto sul versante di centro-sinistra quanto sul versante di centro-destra. Infatti, il 24 luglio dovranno essere depositati presso la Corte di Cassazione i quesiti referendari corredati dalle (almeno) cinquecentomila sottoscrizioni debitamente autenticate richieste dall’art. 75 della Costituzione.

Sulla scorta di quanto è già accaduto agli inizi degli anni ’90, l’intento che anima i promotori di questo referendum è di imprimere al sistema politico una svolta decisa, in direzione di una riduzione numerica dei partiti e di una complessiva semplificazione del quadro politico, così da permettere all’elettore di operare delle scelte chiare in ordine ai ruoli (di maggioranza o di opposizione) delle diverse forze politiche ed al governo di disporre di una maggioranza parlamentare coesa e sufficientemente ampia. Questi (ambiziosi, certamente…) obiettivi sono perseguiti attraverso una sapiente manipolazione della vigente legge elettorale, che prevede, tanto per la Camera dei deputati quanto per il Senato della Repubblica, un sistema di tipo proporzionale, in base al quale i seggi sono assegnati tra le liste in proporzione ai voti ottenuti, corretto in un duplice modo: attraverso un premio di maggioranza assegnato alle liste o alle coalizioni di liste che sul piano proporzionale abbiano conseguito il maggior numero di seggi (ma non la maggioranza assoluta), e mediante soglie di sbarramento differenziate a seconda che la lista si presenti coalizzata o meno con altre liste; dunque, possono ottenere il premio di maggioranza tanto singole liste quanto coalizioni di liste (alla sola condizione di avere conseguito il maggior numero di voti). Ebbene, i primi due quesiti mirano ad eliminare (rispettivamente, per la Camera il primo e per il Senato il secondo) la facoltà delle liste di collegarsi, sicché il premio di maggioranza non possa essere riconosciuto che alla lista più votata; inoltre, per tale via si alzerebbero anche le soglie di sbarramento (in atto più basse per le liste coalizzate), che si fisserebbero nel 4% alla Camera e nell’8% al Senato. Il terzo quesito sopprime la facoltà di candidarsi in una pluralità di circoscrizioni (potenzialmente in tutte), eliminando la conseguente possibilità del candidato “plurieletto-, attraverso opzioni per uno piuttosto che per l’altro dei seggi ottenuti, di disporre della sorte dei candidati non eletti (per così dire, con le proprie forze), che vengono perciò cooptati entro l’Assemblea, con grave lesione della dignità della funzione parlamentare.

Non vi è dubbio che se i quesiti referendari avranno le sottoscrizioni previste, essi si collocheranno al centro del dibattito pubblico del Paese (specialmente se supereranno il controllo di ammissibilità ad opera della Corte costituzionale); e sembra agevole ipotizzare che essi genereranno tensioni e fibrillazioni notevoli sia entro la maggioranza di governo (sarà ancora quella attuale?) sia tra le forze di opposizione, poiché le posizioni rispetto ai referendum elettorali tagliano trasversalmente l’intero sistema politico, con le forze maggiori tendenzialmente favorevoli ed i partiti più piccoli (ovunque collocati) nettamente contrari, per il timore di scomparire dallo scenario. Non è azzardato prevedere che i contrari punteranno a far fallire i referendum per mancato raggiungimento del quorum rappresentato dalla partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto: come le ultime tornate referendarie hanno mostrato, la più efficace arma di cui dispongono gli oppositori ai referendum è costituita proprio dalla addizione delle astensioni che nascondono un dissenso di merito (che dovrebbero esprimersi con un “no- sulla scheda referendaria) alle astensioni motivate da indifferenza ai quesiti, o da incapacità di assumere posizioni nette in materie complesse, o ancora da generale apatia politica. E, può aggiungersi, non è affatto scontato che i promotori dei referendum (e favorevoli allo stesso) riescano a mobilitare il corpo elettorale al grido “abroghiamo la facoltà di collegamento tra le liste di candidati!-…

Quanto al merito dei quesiti, sarà necessario aprire un ampio dibattito, giacché tutti agevolmente possono comprendere la portata della posta in palio. Ma intanto si può considerare come lo scopo dichiaratamente assunto dai promotori dei quesiti appaia largamente condivisibile: eliminare o almeno ridurre una frammentazione partitica che non giova alla stabilità ed alla coesione delle compagini di governo e che non appare neppure giustificata dagli orientamenti, dalle istanze, dalle culture politiche che la società italiana (pur storicamente pluralistica e complessa) oggi esprime. Suggestiva si presenta la sfida che in particolare i primi due referendum lanciano alle forze politiche che aspirino a governare quali alleate il Paese: siete capaci di conseguire un tale grado di unione e solidarietà reciproca da presentarvi con una lista unica, senza che nessuna di esse possa rivendicare una propria quota di consensi? Siete capaci di sopprimere (almeno davanti al corpo elettorale) ogni (potenzialmente destabilizzante) tensione dialettica tra coesione della coalizione e rivendicazione identitaria dei singoli partiti? Certo, l’approvazione dei quesiti referendari rappresenterebbe un forte spinta a vincere una tale sfida. Ma non possiamo non chiederci: può il sistema politico italiano correre il rischio di attribuire una solida maggioranza di seggi ad una lista che consegua il voto di una minoranza del corpo elettorale, e magari di una minoranza neanche troppo consistente (non è del tutto irrealistico ipotizzare una lista più votata che raccolga non più del 30% dei voti)? Non si potrebbero correre rischi di involuzione autoritaria, con un eccessivo restringimento dei canali di partecipazione popolare? Sopravviverebbe il bipolarismo nel nuovo contesto, mantenendosi la possibilità per l’elettore di optare tra schieramenti alternativi potenzialmente di governo, ovvero si genererebbe un’irresistibile tensione verso un sistema nuovamente bloccato, con un “grande centro- realisticamente insostituibile come classe di governo? Ed ancora, è legittimo chiedersi: quale vincolo in capo al Parlamento deriverebbe da un’eventuale vittoria del “si-? In particolare, i primi due quesiti operano (inevitabilmente) entro il quadro della legislazione elettorale vigente, sopprimendo un’opzione in essa prevista: può dirsi che il successo referendario precluderebbe altre soluzioni normative (per esempio, un sistema maggioritario a due turni), magari idonee a meglio contemperare l’esigenza di assicurare coese e stabili maggioranze scelte dagli elettori, per un verso, e l’esigenza di garantire il pluralismo politico e la rappresentatività delle assemblee parlamentari, per altro verso?

Queste domande (ed altre che potrebbero formularsi) mi pare pongano questioni serie, che ineludibili stanno davanti alla democrazia italiana e perciò interpellano l’intera comunità nazionale; ad esse non possono darsi né risposte affrettate, né risposte scontate o di maniera.

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