Referendum / Messina. Il “sì” di Bonaventura Candido: «Naufragio annunciato. Colpa della politica»

Referendum / Messina. Il “sì” di Bonaventura Candido: «Naufragio annunciato. Colpa della politica»

mario meliado

Referendum / Messina. Il “sì” di Bonaventura Candido: «Naufragio annunciato. Colpa della politica»

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domenica 05 Giugno 2022 - 08:30

Il presidente della Camera penale “Pisani–Amendolia”: «Misure cautelari da arginare. I magistrati non 'combattono la mafia', si occupano di fatti specifici»

REGGIO CALABRIA/MESSINA – Tempostretto prova a contribuire a far luce sui cinque referendum abrogativi in materia di Giustizia su cui si andrà a votare domenica prossima, 12 giugno.

In questo caso, l’abbiamo fatto sentendo l’avvocato Bonaventura Candido, presidente della Camera penale “P. Pisani – G. Amendolia” di Messina ed esponente dei Radicali, per le ragioni del “Sì”; e il pm Stefano Musolino della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, segretario nazionale di Magistratura democratica, per le ragioni del “No”

«La politica è dinamica? Più che altro, ondivaga…»

Impianto referendario: avvocato Candido, la convince l’esclusione del sesto referendum in tema di Giustizia, quello in materia di responsabilità civile dei magistrati? Sarebbe stato davvero il quesito più importante, come vari fautori del “Sì” referendario vanno sostenendo?

«Intanto, debbo dire che noi delle Camere penali non abbiamo condiviso la formulazione dei quesiti e le modalità con cui s’è giunti all’appuntamento referendario del 12 giugno, in quanto siamo stati sempr contrari al coinvolgimento della politica in questioni che attengono alla Giustizia. La politica riteniamo di doverla tenere sempre fuori, perché la politica è divisiva: e infatti proprio questo è il principale motivo del “naufragio annunciato” dell’imminente appuntamento referendario. Perché ci sono i tatticismi politici, che da un lato “spingono” e dall’altro mettono i veti. La Lega dovrebbe dire, oggi, ai suoi elettori di votare a favore dell’abrogazione della custodia cautelare: il che è un controsenso, considerate le argomentazioni di sempre di questa forza politica».

Bonaventura Candido, presidente della Camera penale di Messina

Ma la politica è un fatto dinamico… “Talmente” dinamico, che ci sono persino forze politiche che supportano alcuni quesiti sulla Giustizia e altri no…

«…Ha descritto perfettamente il motivo fondamentale per cui noi non vorremmo mai la politica in mezzo a questioni relative alla Giustizia: perché è estremamente dinamica, o meglio… ondivaga. Voglio dire: per noi un principio “è quello”, non può cambiare. Ma noi addetti ai lavori sappiamo alla perfezione che discutere di un principio con un politico che oggi dice “sì” a qualcosa, significa potertelo ritrovare pronto a dire “no” al medesimo principio anche solo fra sei mesi o un anno. Ecco perché le cose stavolta stanno andando così e invece per la raccolta delle firme sulla separazione delle carriere abbiamo proceduto solo noi Radicali, che non siamo un “partito”. Peraltro la scarsa corretta informazione, che in questi giorni ha visto la stessa tv di Stato oggetto di un perentorio richiamo a un’adeguata copertura informativa sull’appuntamento referendario da parte dell’AgCom, fa sì che stia passando il messaggio che uno dei cinque quesiti riguarda la separazione delle carriere, appunto: non è così, il quesito in votazione domenica 12 giugno riguarda la separazione delle funzioni. Ma, ove fallisse, poi si dirà che ormai sulla separazione delle carriere i cittadini si sono già pronunciati, quando le due materie sono completamente diverse».

Firme per le candidature ‘togate’, referendum da evitare

Quesiti molto tecnici: vizio antico e ‘trasversale’, su ogni materia oggetto di referendum nei decenni. In molti però ritengono che le firme per supportare le candidature ‘togate’ al Csm non siano proprio materia ‘da referendum’: che ne pensa?

«Sono assolutamente d’accordo. Siamo davanti a una di quelle questioni che non dovrebbero assolutamente essere oggetto di quesito referendario. Anzi, dirò di più: si tratta anche di una questione assolutamente marginale, posta così… Non è certamente questo il problema della Giustizia in Italia, eh. Il fatto è che il vero problema del Consiglio superiore della magistratura non concerne le modalità elettive, ma un nodo culturale: l’esigenza improcrastinabile di ‘sganciare’ il giudice dal pubblico ministero. Poi, si facciano le elezioni come vogliono… ma la vera questione è quella, anche per evitare che i pubblici ministeri, che rappresentano soltanto il 20% del corpo magistratuale, gestiscano per intero la Giustizia in Italia, gestendo tutta la magistratura attraverso le correnti».

Il consenso per approdare a Palazzo dei Marescialli passa per altre vie, presumibilmente.

«…Sono prevalentemente strade molto diverse, sì. Differenti anche da quelle svelate dal “caso Palamara”, benché dal punto di vista meta-tecnico, mediatico questa vicenda abbia incarnato la scaturigine di questa tornata referendaria».

L'avvocato Bonaventura "Bonni" Candido

Però in mezzo ci sono anche le vite delle persone: basti pensare al quesito stringente sulle misure cautelari, da sempre viste con sospetto soprattutto da molti penalisti e in ogni caso da chi fa professione di garantismo, no?

«Indubbiamente bisogna considerare le misure restrittive come extrema ratio, specialmente se parliamo di custodia cautelare in carcere o di arresti domiciliari. Ma nella quotidiana pratica forense noi sappiamo molto bene che la ragione si scontra con un’altra questione molto radicata in parte dei magistrati: l’erroneo, ma profondo convincimento di dover essere loro a combattere i fenomeni, come per esempio il fenomeno mafioso. Ma i fenomeni non li combatte la magistratura: no, i fenomeni deve contrastarli il legislatore. Il magistrato si deve occupare solo ed esclusivamente di applicare la legge, arginare il ‘fenomeno’ di turno non è assolutamente problema suo. I magistrati che dicono “io combatto la mafia”, io li detesto!, perché non sono loro a dover combattere la mafia. I magistrati debbono occuparsi di un fatto specifico e ben circoscritto… Si verifica un episodio, viene portato alla loro attenzione: bene, quel fatto dev’essere approfondito, occorre verificare se ci sono e chi sono gli eventuali responsabili di quel fatto. Se invece ci ritroviamo magistrati che si mettono a fare le “crociate” contro i fenomeni, ecco che in questi gangli si determinano storture del sistema e si provocano le forzature del dettato legislativo».

Tra quest’impostazione ‘culturale’ di buona parte dei magistrati e la notevole massa di condanne per ingiusta detenzione lei vede una correlazione?

«…Evidentemente, sì. È esattamente così. Questione di prevenzione generale? Necessità di evitare che la mafia contamini il territorio? Guardi, non vorrei scomodare Leonardo Sciascia, ma la dobbiamo smettere coi di pensare che “tutto è mafia”. Il “tutto è mafia”, più esattamente, serve solo a: ottenere macchine con le sirene, avere posti di potere, andare in televisione. La mafia è una cosa seria, serissima. E va combattuta. Ma per combatterla occorre evitare come la peste strumenti che possano violare i diritti fondamentali delle persone: io resto dell’idea che è meglio avere dieci colpevoli ‘fuori’ che un solo innocente in carcere. Possibile mai che un nuovo procuratore, appena arriva a Genova, a Torino o a Milano per prima cosa dice in conferenza stampa “in questa città dobbiamo estirpare la mafia”? La mafia c’è, ma non sempre e ovunque… Invece abbiamo imparato che in ogni inchiesta che vede coinvolto un politico, per forza di cose c’è dietro la mafia. Siamo di fronte a un chiaro eccesso culturale, che nasce dall’esigenza di gestire senza limiti un potere».

La ‘Severino’ e il principio …di non-colpevolezza

“Legge Severino”: è tutto da buttare? Vincesse il “sì”, sarebbe l’intera normativa a finire nel nulla, no?

«Vero, vero. L’eventuale abrogazione eliminerebbe completamente la disposizione, sottolineava un grappolo di ore fa un convegno trasmesso da Radio Radicale: ma è vero pure che basterebbe un paio di giorni per rimetterci mano… Per cui: io non dico che la ‘Severino’ vada cassata nella sua interezza, questo no. Però non è possibile che in un Paese in cui vige il principio giuridico della non-colpevolezza – attenzione: non dell’innocenza…, ma della non-colpevolezza… – si debbano stroncare impunemente delle carriere. Sì, perché per la maggior parte questi processi sono processi d’abuso d’ufficio, e alla fine gli imputati vengono quasi sempre prosciolti. Intanto, però, le loro carriere politiche e amministrative vengono azzerate, stroncate. Ed è sempre uno strumento politico nelle mani della magistratura: guardando agli atti amministrativi in un’ottica ‘politica’, poi, un abuso d’ufficio s’individua sempre… »

Insomma, ci sono alcune cariche elettive da rinnovare; un candidato viene eletto, si ritrova a fronteggiare accuse di una certa gravità, è condannato in primo grado. “Se ne riparla se c’è condanna irrevocabile”, proponete in sostanza: ma la ratio legis della ‘Severino’ che fine fa?

«Già. Ma così torniamo sempre alla parte giusta dell’equazione: il legislatore. Perché dev’essere il legislatore, non un magistrato, a occuparsene… Peraltro, per ogni condanna, a prescindere dalla ‘Severino’ può esserci interdizione dai pubblici uffici: ma farne un fatto generalizzato e automatico no, distruggere le carriere politiche delle persone sulla base di verdetti non definitivi no».

Con la ‘Cartabia’ vari quesiti referendari sarebbero saltati

La grandissima maggioranza dei penalisti italiani ha salutato con favore quella che, comunque dopo il 12 giugno, potrebbe diventare la ‘riforma Cartabia’. Aveva ragione chi guardava all’ex ddl Bonafede come grimaldello in grado di far saltare in tutto o in parte i quesiti referendari?

«Guardi, io sono ben contrario a definire la ‘Cartabia’ una riforma: le riforme sono modifiche e aggiornamenti radicali, non ‘pannicelli caldi’: invece questa ‘riforma’ nasce solo dall’esigenza di dimostrare all’Ue che le riforme le facciamo, per poter avere i fondi del Pnrr. Per la riforma vorrei esprimere cauta soddisfazione, più che altro perché ravviso i veri rischi nei decreti d’attuazione… I Ministeri sono occupati manu militari da oltre 200 magistrati, infilati in ogni Ufficio legislativo possibile: saranno loro a scrivere i decreti attuativi, in cui basterebbe spostare una virgola per stravolgere la portata della legge: siamo molto preoccupati, specie per un possibile ridimensionamento dell’appello. Detto questo: sì, probabilmente un paio di quesiti almeno sarebbe saltato, se la calendarizzazione della ‘Cartabia’ avesse subìto quell’accelerazione che invece, alla fine, è venuta meno».

«Quesiti abrogativi? Abroghiamo direttamente i referendum…»

Possibile che nel 2022, da decenni – tranne rari casi – i quesiti abrogativi vengano affondati per mancato raggiungimento del quorum? Partiti e altri corpi sociali dovrebbero contribuire a instillare una cultura politica e della partecipazione che ripristini il senso civico del voto “sempre e comunque”?

«Intanto mi lasci dire che non a caso sono stati affondati due strumenti che si sarebbero rivelati formidabili per raggiungere il quorum, cioè i quesiti su responsabilità civile dei magistrati ed eutanasia, gli unici a poter ‘accendere’ il dibattito. E al di là di cosa scelga il singolo elettore, l’affluenza si può moltiplicare solo così, analizzando i quesiti proposti, ravvivando la discussione di merito: me lo lasci dire, anche la natura fortemente divisiva di questi due quesiti referendari cassati dalla Corte costituzionale avrebbe incrementato di molto la percentuale dei votanti, portando alle urne milioni di connazionali. Solo con un’operazione culturale si può incidere davvero: bisogna andare in mezzo alla gente comune, nelle scuole, spiegare cosa sono le ‘garanzie’… Dobbiamo eliminare i populisti».

Ma c’è un problema strutturale. Pochissimi tra i fautori del “No” referendario sono per analizzare le questioni nel merito, forse auspicando la diserzione delle urne, mentre gli alfieri del “Sì” referendario non sembrano poi attivissimi nell’organizzare iniziative divulgative o dibattiti a tema…

«Le iniziative sul territorio? Guardi, in un recente intervento a mezzo stampa ho spiegato che se non ci aiutano i media, il nostro piccolo convegnetto per addetti ai lavori non serve a niente, se non si muovono i direttori dei giornali, le tv, i portali d’informazione… epperò, questi soggetti sono quasi sempre bloccati dal potere politico. La verità? Questioni del genere si risolvono soltanto nelle “segrete stanze”, nelle Commissioni, mediante le riunioni fra tecnici…».

Avvocato Bonaventura, cosa ci sta dicendo? Che la cosa da abrogare, in realtà, è il referendum stesso…?

«Certo. Lo strumento referendario va ‘abrogato’ lui… Tranne temi d’enorme incidenza sociale com’è accaduto per il divorzio o l’aborto, la massa degli elettori alle urne non ci viene. In alternativa, dobbiamo fare al contrario: prima educare la gente all’importanza civica del voto e a quanto sia preziosa la partecipazione attiva, e poi tornare agli appuntamenti referendari».

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