Nino D'Uva, l'uomo probo intollerabile per la mafia

Nino D’Uva, l’uomo probo intollerabile per la mafia

Alessandra Serio

Nino D’Uva, l’uomo probo intollerabile per la mafia

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venerdì 06 Maggio 2016 - 14:55

Palacultura gremito per il dibattito su mafia e antimafia nel ricordo dell'avvocato messinese ucciso dai clan nel 1986. Al dibattito, organizzato dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, anche Rosi Bindi e Michele Prestipino. (la gallery di Isolino)

“L’esempio virtuoso di un uomo probo è intollerabile per la mafia”. E’ una fotografia della vicenda di Nino D’Uva la frase che Michele Prestipino, oggi aggiunto a Roma dopo anni in “trincea” a Palermo e in Calabria, ha fatto riecheggiare oggi in un Palacultura gremito, al dibattito su mafia e antimafia. Il magistrato parla di quella antimafia che è pratica quotidiana di onestà, un rosario di no ai compromessi snocciolati dribblando le difficoltà, le minacce, le lusinghe. La pratica di tutti quelli che hanno detto e dicono no alla mafia.

Come ha fatto l’avvocato Nino D’Uva appunto, ucciso il 6 maggio 1986 nel suo studio di centro città, all’inizio del primo maxi processo contro la mafia cittadina e barcellonese. “Un omicidio commesso per influenzare il processo”, tuonò il PM Italo Materia prima di concludere la requisitoria, anni dopo. Quasi 300 gli imputati, soltanto 60 i condannati. Una profezia. D’Uva all’inizio del dibattimento sedeva tra i banchi dei difensori, curava la difesa di 13 imputati, molti dei quali consideravano i loro legali troppo “morbidi”. Uno di loro quella mattina fece volare una scarpa contro il legale, dalle gabbie dell’aula bunker. Un chiaro segnale, per chi conosce la mafia. E quel segnale fu raccolto dai killer. Il gelò calò in città e trai banchi del processo, quando si seppe dell’omicidio, ma sulla morte del professionista, padre e suocero di due importanti magistrati, calò il silenzio per anni.

Ci vollero sette anni perché si individuassero autori e mandanti, e si delineò un movente credibile: un boss calabrese aveva chiesto a Nino D’Uva di essere difeso, ma l’avvocato si rifiutò. In più i clan messinesi volevano mandare un messaggio chiaro a chi stava decidendo, per la prima volta, della loro sorte processuale.

Di fronte al Palacultura affollato di studenti delle scuole cittadine e non soltanto, l’attore Dino Spinella ha letto brani del dossier scritto dal giornalista Nuccio Anselmo per raccontare la vicenda del legale messinese, troppo spesso dimenticata. Sul palco la presidente della commissione nazionale Antimafia Rosi Bindi, il magistrato Prestipino e Franco Provvidenti, allora Pubblica Accusa accanto a Materia; poi l’avvocato Alberto Gullino, che insieme al padre curò la costituzione di parte civile della famiglia di D’Uva nei processi sul delitto, e il presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati Vincenzo Ceraolo, che ha organizzato il dibattito: “Trentunanni di colpevole dimenticanza di D’Uva, un professionista che deve diventare il simbolo della lotta alla mafia a Messina”. Accanto al Consiglio dell’Ordine, a volere la giornata è stata ovviamente anche l’Associazione Nino D’Uva, fondata nel marzo 2006 da sei giovani avvocati.

Alessandra Serio

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