Ponte sullo Stretto: congelato dal ministro Passera, ma ancora fonte di polemiche in città

Sono rimasto impressionato dal numero di commenti suscitati dal pezzo di Rosaria Brancato apparso su Tempo Stretto qualche giorno fa (vedi correlato). Un significativo esempio di quello che gli addetti ai lavori chiamano “nuovissimo giornalismo”.
Dove il comunicatore comprende e condivide i sentimenti dei lettori e scrive (o dice) bene quello che loro vogliono sentirsi dire.
Le emozioni non possono essere contestate o smentite e finiscono per prevalere sui ragionamenti, sui fatti e sulle cifre. Non esprimo giudizi di merito, constato solo che è un modo di intendere il mestiere che, da qualche anno, si sta dimostrando vincente.
La Repubblica è stata la prima a utilizzarlo: i suoi lettori volevano un giornale che parlasse male di Berlusconi e di tutto quello che si proponeva di fare, Ponte compreso. Ezio Mauro e la sua truppa li hanno accontentati, con piena soddisfazione (o con l’ispirazione?) di Carlo De Benedetti, proprietario del quotidiano e avversario storico del Cavaliere.
Oggi La Repubblica vende più del Corriere della sera, mostratosi molto più misurato e composto.
Nel mondo della comunicazione del XXI secolo, il modo nel quale si “vende” un prodotto conta più della qualità del prodotto stesso: si arriva alla mente del lettore attraverso una forma di “empatia” (così la chiama Beppe Severgnini) che comunica al lettore gli stati d’animo che il giornalista si propone di trasmettere. Un giornalismo da “venditori di idee attraverso le emozioni”, non attraverso il ragionamento. Dove l’obiettivo è “condividere” e non creare un prodotto di qualità.
La brava Rosaria, lodando l’impegno e il coraggio di Renato – quel puntino colorato a 220 metri d’altezza -, ha indicato in lui l’origine storica dell’opposizione “strutturata” contro un “ponte di parole”, proprio come lo chiama Repubblica. Opposizione a un’opera inventata dal Potere per lasciare la Sicilia nelle condizioni in cui era 10 anni fa, per toglierci la terra sotto i piedi … il diritto a raggiungere Torino, Milano, Venezia in treno.
Quale sia questo Potere non si dice.
E’ quello berlusconiano? No, o non solo, visto che il Ponte lo volevano in tanti (Prodi, Rutelli, Craxi, etc.) anche prima di lui; forse i “poteri forti” che si nascondono dietro la Bilderberg di Monti? O la Massoneria, la Mafia, la diabolica Angela Merkel o chi altri? Anche se Brancato non ce lo svela, un fatto è certo: erano “i Cattivi”. E noi, per converso, siamo “i Buoni”.
Passando – solo per un attimo, per carità – dalla pancia al cervello: veramente qualcuno pensa che il Ponte sia stato uno strumento del Potere per bloccare lo sviluppo del Sud?
Per cancellare i treni a lunga percorrenza, tagliare i collegamenti con le isole minori via mare, far lievitare i costi degli aerei, ridurre le ferrovie regionali a livello di terzo mondo e impedire la realizzazione del secondo binario e delle autostrade? Mah!
Superata l’emozione della lettura, la tesi lascia spazio a qualche perplessità.
Passando poi ai commenti, ve n’è uno che, in modo molto articolato, ipotizza una diversa lettura della vicenda: non è affatto vero che il Ponte non si sia fatto a causa dell’opposizione dei NoPonte guidati da Renato. E nemmeno perché il progetto non ha superato l’esame degli organi di controllo: il definitivo ha ottenuto tutte le approvazioni tecniche, rimane soltanto il problema delle sue luci che, di notte, attirerebbero gli uccelli migratori, il che sta richiedendo approfondimenti da parte del Ministero dell’Ambiente. Non si è fatto perché ci sono politici e industriali – molto più influenti degli omologhi siciliani – che vogliono i soldi destinati al Ponte per realizzare altre opere a casa loro. Che costano ben più.
Il che non vuol dire essere “Cattivi” ma solo tenere agli interessi della loro terra.
Per esempio, Vendola, Fitto ed Emiliano sono perfettamente d’accordo che la Napoli-Bari debba essere considerata prioritaria rispetto al Ponte. Mentre politici e industriali liguri, lombardi e piemontesi sono riusciti a destinare 1,1 miliardi – buona parte di quanto è stato tolto al Ponte – per il collegamento del porto di Genova con Milano e Torino, attraverso il Terzo Valico dei Giovi.
Il tutto con la benedizione del PD siciliano nel quale Francantonio Genovese occupa un ruolo di rilievo. Con i suoi ingombranti interessi personali.
Altri lettori, poi, ritengono che l’opera non vada fatta perché il conto economico di chi la gestirà sarà certamente negativo, come (a loro dire) avviene per il Golden Gate di San Francisco. Questa è una sciocchezza sul piano economico ed è la classica zappa sui piedi degli avversari dell’attraversamento stabile: numerosissime opere ed attività – come il GRA di Roma, la Salerno-Reggio Calabria, la rete di trasporti su gomma siciliana e lo stesso traghettamento dello Stretto – hanno ricavi ampiamente insufficienti a coprire i costi. Ma vanno giudicate nel loro complesso.
Quando fu proposto di far pagare un pedaggio a chi utilizzava il GRA, i Romani fecero scoppiare un putiferio e l’idea fu accantonata. Nessuno si pose il problema di quanto costava all’ANAS (e, quindi, a tutti noi) sopportarne i costi senza alcuna entrata.
I turisti richiamati dal Golden Gate portano alla città di San Francisco più o meno soldi di quanto costa l’ipotetico passivo della società preposta alla gestione del ponte? E, senza quella pseudo-autostrada (gratuita) a sud di Salerno, quale danno subirebbe l’agonizzante economia del Mezzogiorno? Non parliamo poi dei traghetti, di Metromare e dei pullman che girano la Sicilia. Tutti si reggono grazie a sostanziosi contributi pubblici. Chiudiamo queste aziende perché non si reggono economicamente da sole?
Possibile che, per alcuni Messinesi, l’unico ente di gestione obbligatoriamente attivo debba essere quello del Ponte?
Stesso discorso vale per le osservazioni geoingegneristiche. La depressione di origine tettonica chiamata Graben è abbastanza comune nel mondo ed è stata ampiamente studiata dai tanti tecnici di fama mondiale, compresi quelli che hanno redatto il progetto definitivo del Ponte. Chi ritiene che il fondo dello Stretto sia una “bomba ad orologeria” si confronti pubblicamente con loro, oppure scriva una relazione scientifica adeguata e l’invii al Ministero delle Infrastrutture, al Prefetto e alla Procura della Repubblica. Ma non per bloccare la costruzione del Ponte – che, per altro, è già bloccata -, ma per fare evacuare i tantissimi Messinesi che vivono in strutture a rischio. Se non lo fa, vuol dire che utilizza conoscenze approssimate in funzione anti Ponte. Dicevo però che, in mezzo a poesia, chiacchiere da bar e improvvisate teorie scientifiche, affiora una nuova domanda: il Ponte può essere utile? Ai Messinesi, ai Siciliani e agli Italiani in generale. A mio parere, questo è il quesito più interessante. Quello che avrebbe dovuto essere posto a premessa di ogni dibattito. E, invece, non è mai stato affrontato seriamente. I lettori del Corriere della sera hanno risposto No quasi al 90%, a dimostrazione del clamoroso fallimento di chi doveva convincere gli Italiani dell’utilità socioeconomica dell’opera. Non c’è bisogno di richiamarsi a McLuhan per affermare che l’informazione che non arriva a destinazione è come se non esistesse. Cioè che non si può pretendere che gli Italiani, di tutte le latitudini e di tutti gli schieramenti, si battano a favore dell’attraversamento stabile quando nessuno si è mai premurato di spiegar loro a cosa serve e quali benefici potranno trarne. Molto più del sostegno politico locale – Buzzanca, Lombardo e Scopelliti contano ben poco nel panorama nazionale –, Ciucci avrebbe dovuto cercare quello di Bersani, Casini e Montezemolo. Non ne è stato capace o, più probabilmente, non ci ha nemmeno provato. Forse, fare il Ponte era l’ultimo dei suoi obiettivi.