"Cerchio d'oro" potrebbe chiudere il 10 febbraio. Il no di Korakanè e Cgil

“Cerchio d’oro” potrebbe chiudere il 10 febbraio. Il no di Korakanè e Cgil

Sara Faraci

“Cerchio d’oro” potrebbe chiudere il 10 febbraio. Il no di Korakanè e Cgil

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giovedì 23 Gennaio 2014 - 11:08

Giunti alla scadenza i contratti a incarico libero - professionale degli specialisti che operano nella struttura, nel settore dei disturbi del comportamento alimentare. I giovani pazienti del centro e i loro familiari temono che la politica di tagli alle spese e le consuete lungaggini burocratiche possano condurre alla definitiva chiusura della struttura

In bilico l’attività del “Cerchio D’Oro”. Vittima designata di una politica di spending review che promette contenimenti della spesa e lotta agguerrita agli sprechi ma che spesso infierisce su iniziative virtuose ed esperienze positive.

Nato nel 2005 come progetto sperimentale, consolidatosi nel corso degli anni sino a diventare, su indicazione dell’Asp, Unità Operativa dedicata nel 2007, il “Cerchio D’Oro” di Messina rappresenta il centro di riferimento dell’intera provincia per diagnosi, cura e gestione integrata dei disturbi del comportamento alimentare. Progredita sino a raccogliere l’eccellenza dell’organizzazione e della qualificazione professionale del suo personale medico, la struttura sembra poter cadere adesso tra le rigide maglie dei tagli alla spesa pubblica.

A riproporre la questione, dopo l’accorata lettera di un’utente dei servizi del centro, di qualche giorno fa, l’Associazione Koranè, in rappresentanza della voce di genitori e familiari dei ragazzi affetti da questi disturbi, che negli ultimi anni hanno trovato nella competenza e serietà dell’organismo, una preziosa stampella per affrontare la loro battaglia. A preoccupare i membri dell’associazione, le consuete lungaggini burocratiche che avrebbero stavolta l’effetto di incidere sulla celerità delle procedure amministrative relative all’emanazione delle delibere di proroga dell’attività di cura della struttura Asp.

Non indifferente alla questione e alle sue conseguenze in termini di deprezzamento di quel diritto alla salute tanto invocato, anche la Cgil e la Fp Cgil, che sostengono la necessità di mantenere in vita un’esperienza rivelatasi anche più proficua delle metodologie di cura convenzionale. Inoltre, la responsabile politiche di genere della Cgil, Esmeralda Rizzi, e la segretaria della Funzione pubblica, Clara Crocè, nel sollecitare un incontro urgenze con le dirigenze Asp, hanno sottolineato la singolarità del falcidiare per lo più strutture assistenziali a forte connotazione femminile, a partire dai consultori per concludere proprio con il “Cerchio D’Oro” che, pur non occupandosi di patologie a carattere esclusivamente femminile, interviene nell’ambito di disturbi comportamentali quali, appunto, di tipo alimentare, generalmente connessi alle donne.

Ma i timori sono ulteriormente acuiti dal fatto che il “Cerchio D’Oro” rappresenta l’unica esperienza cittadina che si avvale di strategia di cure alternative, la cui efficacia difficilmente è raggiungibile con le metodologie della tradizionale assistenza sanitaria. E infatti, grazie anche ai fondi regionali, erogati in seno al “Progetto Obiettivo Piano Sanitario Nazionale” nel 2010, che hanno consentito il potenziamento dei percorsi terapeutici approntati dall’organismo, il “Cerchio D’Oro” è riuscito a ricreare un modello organizzativo perfettamente inserito nelle linee guida nazionali ed internazionali. L’iniziale gestione delle patologie alimentari in sede ambulatoriale, si è evoluta a un livello di assistenza intermedia di tipo semiresidenziale che ha garantito, almeno per le ore diurne, un’assistenza riabilitativa psiconutrizionale attraverso la somministrazione di “pasti assistiti”.

In altre parole, si è saputa tradurre in fatti la consapevolezza che un intervento tempestivo ma soprattutto sistematico e paziente, può indirizzare verso prognosi favorevoli in un numero di casi maggiore rispetto a quelli trattati da cure frammentarie e parziali. Un rischio a cui i pazienti in cura presso la struttura e i loro familiari sembrano poter andare incontro a seguito degli indirizzi ultimamente prospettati dai vertici Asp e che sembrerebbero tendere a una cancellazione dei servizi in questione già a partire dal 10 febbraio.

I giovani – spesso i più coinvolti in questo genere di problematiche – e i loro genitori vedono già aprirsi la prospettiva di infiniti “viaggi della speranza” verso nuclei assistenziali parimenti attrezzati, temono l’eventuale abbandono da parte delle istituzioni, l’allontanamento necessario dai propri nuclei di studio o lavoro per inseguire la possibilità di ricoveri extra regionali. Rimedi tampone che, tra l’altro, avrebbero pure l’effetto controproducente di incidere ancor più severamente sulle casse della sanità siciliana, di quanto non facciano le spese di mantenimento in vita della struttura nostrana, e ciò in considerazione del fatto che ogni singolo ricovero sottrarrebbe al bilancio una somma di almeno 10mila euro al mese.

Rita Sasso, presidente dell’associazione Korakanè, pone poi l’accento su una visione del contenimento spesa che rischia di svilirsi e trasfigurarsi in un’indiscriminata cancellazione di attività altamente proficue per la società. Si rischierebbe di cadere proprio in quel baratro temuto dall’assessore regionale alla salute, Lucia Borsellino, che, non molto tempo fa, sottolineava l’evidenza di non “tagliare i servizi ma gli sprechi”.

Ed è proprio alla sensibilità dell’assessore Borsellino e del presidente della Regione, Rosario Crocetta che l’associazione Korakanè si appella, con l’auspicio di poter programmare un incontro a breve ed essere messa a parte delle eventuali prospettive per i contratti a incarico libero professionale di prossima scadenza nonché delle strategie tramite le quali l’Asp intenderebbe garantire quella continuità terapeutica e assistenziale in cui è maggiormente riposta la maggiore riuscita di qualsiasi approccio a queste patologie.

(Sara Faraci)

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