Governo e sindacati litigano su posto fisso e articolo 18, ma nell’Italia “vera” si moltiplicano le storie di ordinaria precarietà

In questi giorni si fa un gran parlare di posto fisso ed articolo 18. Sindacati e Governo, attraverso i loro rappresentanti più autorevoli, non perdono occasione per rilasciare dichiarazioni che riempiono le pagine dei quotidiani nazionali, alimentando il solito “circo mediatico”. Nelle ultime settimane, infatti, l’interesse di giornali e trasmissioni televisive gira attorno a questi due temi, certamente importanti in vista della Riforma del lavoro che dovrà varare l’esecutivo, ma che a volte sembrano far perdere di vista la realtà del paese. L’Italia non è più quella degli anni ’80 e neppure quella degli anni ’90 , quando articolo 18 e posto fisso – per di più sotto casa e vicino la mamma per citare la ministra Cancellieri – erano diritti acquisiti, di cui tutti godevano e probabilmente abusavano, se siamo arrivati alla situazione attuale.

Per un trentenne di oggi, che deve già sentirsi fortunato ad avere un lavoro, anche se precario e sottopagato -risulta incomprensibile l’accanimento con il quale rappresentanti sindacali e politici combattono una guerra ideologica così lontana dai problemi veri delle giovani generazioni. Di quale posto fisso parla Monti? E l’articolo 18 , ostinatamente difeso dai sindacati, ha portato benefici ai giovani o è servito solo a creare una roccaforte per le vecchie generazioni, lasciando privi di qualsiasi tutela i loro figli? Vogliamo negare che spesso l’articolo 18 è servito a difendere l’indifendibile? A far credere ai lavoratori, certi lavoratori, che esistano diritti senza doveri? Il sistema si è inceppato, è evidente, ma le lotte di principio non porteranno da nessuna parte, se non ad un unitile braccio di ferro. Discutere e litigare su articolo 18 e posto fisso, simboli di un’Italia che fu, non risolverà i problemi di quei giovani, tanti giovani con un lavoro precario, già slegati per cultura a formazione (contrariamente ai loro padri!) all’idea di un lavoro per tutta la vita, dove timbrare il cartellino e sentirsi intoccabili.

Pensando alla riforma del lavoro, Governo e sindacati farebbero bene a cercare di dare risposte a giovani uomini e giovani donne che non sanno cosa significhino posto fisso e articolo 18 ma chiedono con forza un lavoro che non offenda la loro dignità; appaghi le loro ambizioni; e riconosca loro diritti sacrosanti, certi che non li trasformeranno mai in privilegi insopportabili.

Giusto per ricordare quale sia la realtà dell’Italia odierna, vi proponiamo la testimonianza ( tratta dall’articolo pubblicato da Stella Pucci sul giornale on line “LinkSicilia”) di una donna poco più che trentenne , laureata e con tante esperienze professionali alle spalle, lasciata ai margini del mercato del lavoro. VI INVITIAMO A RACCONTARE LE VOSTRE STORIE DI ORDINARIA PRECARIETA', utilizzando lo spazio dei commenti. (Danila La Torre)

«Cosa resta ad una donna del Sud, di età ritenuta superiore a quanto richiesto dal mondo del lavoro, figlia della ‘legge Biagi’ e dunque disoccupata e marginalizzata, nonostante anni di esperienza lavorativa e cultura universitaria? Scrivere al Presidente Napolitano attraverso il suo sito ufficiale della Presidenza della Repubblica.

Un freddo format è lì, a raccogliere una difficile confessione, sì, la più difficile: ammettere che, nonostante le infinite volte – in questi anni dalla laurea in poi – mi sia reinventata come lavoratrice, studiando e cercando di essere professionale e preparata, innovativa e flessibile come suggerito dal ministro Elsa Fornero oggi, ho fallito!

Mi ritrovo da un anno senza neppure quello spiraglio del lavoro a progetto con qualifica inferiore al mio livello culturale e professionale, ma pur sempre retribuito anche se dopo mesi. Mi ritrovo a girovagare su Monster, Job rapido, Adecco, Temporary e infiniti altri siti che pubblicano pagine e pagine di lavoro, come racconto al Presidente Napolitano; leggo e rileggo annunci su figure che coincidono con ciò che so fare e che ho maturato professionalmente, ma o in nero o con altro indicativo che dalla Sicilia in su non esiste.

Mi rattrista vedere come gli annunci cercano figure di alto profilo e capacità, ma che non superino i trent’anni! Mi chiedo come può un ragazzo uscito dall’Università che ha una conoscenza solo accademica del mondo professionale al quale si accosta, coordinare, presiedere addirittura delle attività gestionali? Poi la ragione prende come sempre il controllo sulle emozioni: è solo una questione economica per i datori di lavoro, non di qualità: assumere un giovane comporta sgravi fiscali e aiuti governativi per ridurre i costi della produzione, nulla di più.

Scrivo al Presidente Napolitano che al ‘tavolo’ sul lavoro in corso si dovrebbe parlare della nostra generazione, che magari ha figli, o è separato, o ancora non può lasciare la casa dei genitori poiché non ha il denaro sufficiente per mantenersi, e certo non ama la condizione di sopravvivenza in cui è: non vede futuro, né qualcuno che pensi a loro.

La nostra generazione della laurea vecchio ordinamento, orgoglio e sacrificio dei nostri padri, per contribuire a un’Italia migliore; la nostra generazione che ha servito i giochi della politica solo per un posto di lavoro a progetto e che ora non li vede neppure in giro i politici di prima.

Scrivo al Presidente che ho paura del mio domani, perché non sono vecchia per il mondo del lavoro, anzi! Ho paura di non potermi mantenere con la dignità che mi è dovuta come cittadina italiana e come donna, ho paura che non ci sia più un futuro.

Sento la Fornero dire a chiare lettere che i giovani se lo debbono risolvere da soli il problema del lavoro, il posto fisso non ci sarà più; ancor più tremo, poiché noi invisibili dimenticati siamo ancora più svantaggiati dalla giungla che stanno creando: giovani contro mezzani, una lotta impari.

So che il Presidente Napolitano non leggerà neppure il mio messaggio, ma se fossimo tutti a parlare, a farci sentire come i ‘Forconi’ esasperati hanno iniziato a fare, forse – e dico forse – usciremmo dall’invisibilità e ci regaleremmo un’opportunità.

Se non lottiamo per esistere non abbiamo diritto a lamentarci della nostra condizione: in piazza c’erano gli anziani agricoltori e gli studenti, manchiamo noi i figli della politica clientelare di un tempo, che ci ha dato solo la situazione attuale: la formazione prima, i call center ora. Oggi tutto il sistema clientelare crolla! Bisogna lottare ora per farci sentire da questo governo come voce sociale indignata per non essere stata neppure considerata come forza lavoro da rimettere in circolo».