L’analisi - Conoscenza e prevenzione sismica: dalle leggi prescrittive a quelle prestazionali, dai terremoti dell’Etna alla tragedia dell’Aquila

L’analisi – Conoscenza e prevenzione sismica: dalle leggi prescrittive a quelle prestazionali, dai terremoti dell’Etna alla tragedia dell’Aquila

L’analisi – Conoscenza e prevenzione sismica: dalle leggi prescrittive a quelle prestazionali, dai terremoti dell’Etna alla tragedia dell’Aquila

lunedì 07 Marzo 2011 - 09:00

Di seguito pubblichiamo il contributo dell'ex direttore del servizio sismico della Regione Siciliana Leonardo Santoro

Per comprendere il perché le nostre case presentano caretteristiche strutturali ricorrenti, occorre fare riferimento alle prescrizioni dettate dalle leggi antisismiche in vigore all’epoca della loro progettazione. Si continua così a raccontare l’evoluzione normativa antisismica commentando i contenuti del Decreto del 24 gennaio 1986, applicativo della legge sismica madre, la già citata legge n.64 del 1974.

Tali normative tecniche, vigenti in zona sismica, continuavano ad essere norme di tipo prescrittivo. Leggi cioè che imponevano regole costruttive a cui il progettista doveva pedissequamente aderire. Ad esempio, per un edificio con struttura portante in muratura: muri portanti con interasse massimo di 7 metri; muri in mattoni pieni di spessore minimo di 25 cm., pilastri di sezione minima di 30 cm. e così via dicendo. In particolare, il decreto del 1986, sopracitato, prevedeva la possibilità di effettuare un progetto semplificato per gli edifici in muratura omettendo, se l’edificio possedeva una serie di requisiti costruttivi come quelli descritti, la verifica sismica. L’unico metodo per la verifica sismica delle strutture rimaneva ancora il metodo delle tensioni ammissibili. Ma di cosa si tratta.

E’ un metodo di calcolo convenzionale che esegue una valutazione deterministica delle varie grandezze, verificando la sicurezza delle strutture per le condizioni di esercizio (le azioni cui è sottoposta la struttura, comprese le sollecitazioni sismiche possibili durante la sua vita utile), nell’ipotesi di comportamento elastico dei materiali. Vengono pertanto confrontate le tensioni di calcolo indotte dalle azioni esterne di esercizio agenti sulla struttura, con le tensioni ammissibili dei materiali costitutivi, ottenute dalle tensioni di rottura ridotte in base a coefficienti di sicurezza.

Per meglio intenderci. Il metodo delle tensioni ammissibili si basa sull’assunto che, ad esempio, una barra di acciaio, sottoposta a trazione si rompa quando tale sollecitazione raggiunge i 3600 chilogrammi per ogni centimetro quadrato di sezione.

Ebbene, se riduco in base ad un coefficiente di sicurezza, diciamo di 1/3, tale tensione di rottura, ottengo la tensione “ammissibile” di 1200 Kg per ogni centimetro quadrato di sezione. Dimensiono così le mie membrature in cemento armato ipotizzando di non fare raggiungere alla struttura la tensione ammissibile caratteristica dei suoi materiali costitutivi, (conglomerato cementizio e barre di ferro dolce o acciaio) riservandomi così un certo margine di sicurezza prima della rottura. A prima vista il sistema garantisce una adeguata sicurezza strutturale capace di far affrontare all’edificio anche le azioni sismiche. E’ sicuramente così; purtroppo però tale metodo ha anche due limiti, evidenziati maggiormente, appunto, dalle sollecitazioni dinamiche indotte dai terremoti. Il primo limite sta in quell’ipotesi di comportamento elastico secondo cui si ritiene che, finita la sollecitazione sismica, la struttura non rimanga deformata ma, appunto, ritorni elasticamente nella posizione di partenza. Il secondo limite è dovuto al fatto che sotto azione sismica, gli impulsi cui è soggetta la struttura possono andare ben oltre il valore del coefficiente di sicurezza ipotizzato, esaurendo così non solo le “riserve” energetiche ma, se persiste ancora l’azione dinamica, la struttura è costretta a “dissipare” energia deformandosi in campo plastico superando così le proprie capacità di deformazione elastica.

Se a prima vista questa deformazione plastica, cioè tale da produrre un mutamento stabile della forma, può sembrare un processo irreversibile che conduce al crollo strutturale, in realtà è l’unico modo che le strutture hanno, deformandosi plasticamente, di smaltire l’energia del terremoto.

L’edificio si danneggia quindi, ma non crolla, salvando così la vita degli occupanti.

Una efficace alternativa a tale metodo di calcolo deterministico è stata prevista a partire dal 1996 dal Decreto Ministeriale del 16.1.96

Tale decreto introduce la possibilità di verifica strutturale con il criterio semiprobabilistico degli stati limite. Viene cioè consentita la possibilità di utilizzare, anche nelle zone classificate sismiche, il metodo di verifica agli stati limite in aggiunta a quello delle tensioni ammissibili.

Ciò in armonia con la normativa vigente, al tempo, per le costruzioni in cemento armato ed in acciaio (D.M. 9 gennaio 1996), che ha permesso di utilizzare, per la prima volta in Italia, gli Eurocodici EC2 ed EC3 (riguardanti, rispettivamente, la progettazione delle strutture in calcestruzzo ed in acciaio).

L’introduzione, nella normativa sismica, del metodo agli stati limite è stata comunque improntata sia all’esigenza di mantenere l’impostazione originaria della norma, sia alla necessità di conseguire una sostanziale equiparazione dei livelli di sicurezza, nei riguardi delle azioni sismiche, ottenibili con il metodo delle tensioni ammissibili.

Viene introdotta così la necessità di garantire una elevata duttilità strutturale suggerendo specifiche modalità realizzative e limiti geometrici delle membrature strutturali.

Le norme tecniche in zona sismica non subiscono altre significative modifiche, se non dopo la tragedia del Molise del 2002.

Dopo tale evento, oltre alla nuova classificazione sismica dell’intero territorio nazionale, già descritta, si avvia un processo di riscrittura dei metodi di calcolo e viene così intrapreso un processo di verifica analitica di tutte le strutture a destinazione strategica o rilevante ai fini della protezione civile.

Si parlerà meglio di questo argomento utile a capire perché, strutture apparentemente solide, dimensionate in base a calcoli di verifica effettuati con le normative tecniche vigenti nel tempo, appaiono, oggi, alla luce delle nuove modalità di verifica, incapaci di resistere alle azioni sismiche.

Nasce così un decreto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti datato 14 settembre 2005 che introduce l’obbligo di verifica delle strutture con il metodo degli stati limite e manda definitivamente in soffitta il metodo delle tensioni ammissibili.

Ma in cosa consiste tale nuovo metodo di calcolo strutturale? Se con il metodo delle tensioni ammissibili ci si basa su margini di sicurezza che garantiscono riserve energetiche alla struttura, con il nuovo metodo, la verifica viene “spinta” fino a sollecitare i materiali con azioni esterne che fanno raggiungere virtualmente le tensioni di rottura caratteristiche. Così facendo, non solo si verifica la capacità strutturale di dissipare energia in campo plastico ma si ottimizzano le sezioni strutturali, calibrando ferro e conglomerato cementizio dove più occorrono.

Tale metodica, più raffinata della precedente, si basa però su un assioma ben preciso. Le elevatissime quantità di acciaio, di caratteristiche di resistenza nel frattempo migliorate a scapito della duttilità, (l’acciaio da costruzioni moderno presenta elevate tensioni di rottura ma un comportamento fragile) devono trovare collocazione all’interno di sezioni siderocementizie sempre più ridotte.

Scelta, quest’ultima, giustificata soltanto da una richiesta di economizzare sulla voce “strutture antisismiche”, effettuata talvolta dai committenti, su cui, assieme ai progettisti, ricade, ai sensi dell’attuale norma tecnica in zona sismica, per intero la scelta dei coefficienti di sicurezza adottati. La cosa comunque non è di semplice soluzione pratica. I progettisti, spesso, hanno oggi, ormai, poca dimestichezza con il disegno manuale di particolari costruttivi di dettaglio, obbligatori un tempo. I direttori dei lavori devono, con l’attuale normativa, tornare a frequentare spesso i cantieri non potendo più delegare ai carpentieri la posa delle barre di acciaio. Le facoltà di Ingegneria dovrebbero modificare i loro programmi, gli Istituti tecnici per Geometri e Periti Edili anche, le scuole professionali pure. Nascono così oggi, diverse strutture piene di barre di acciaio non attorniate da conglomerato cementizio, che ne garantisca il trasferimento tensionale tra i due materiali. Ma delle carenze costruttive e delle modalità di posa dei materiali, con le nuove regole imposte dalle verifiche agli stati limite, si parlerà dettagliatamente in seguito.

Tale metodica, introdotta dal Decreto del 2005 presentava diverse criticità applicative, non ultima una forte resistenza dei tecnici strutturisti a convertire i loro metodi tradizionali di calcolo e dimensionamento strutturale e così il legislatore fu obbligato ad una revisione complessiva della norma. Revisione che presuppone comunque, una adeguata formazione specialistica di tutti i soggetti coinvolti nella filiera delle costruzioni.

Tali continui passaggi normativi poi, producono, anche a Messina, tra il 2004 ed il 2009, una corsa all’ottenimento di autorizzazioni sismiche conseguite con il metodo delle tensioni ammissibili, la cui definitiva abrogazione viene ripetutamente spostata in avanti nel 2006, nel 2007, nel 2008, nel … . Soltanto la tragedia del terremoto dell’Aquila nel 2009, riesce a dare un forte impulso all’attivazione delle nuove leggi antisismiche, interrompendo una lungo limbo durato dal 2003 al 2009.

Nasce così l’attuale norma tecnica, il Decreto del Ministero Infrastrutture e Trasporti del 14 gennaio 2008 (entrato in vigore effettivamente nel luglio 2009, a seguito della spinta emotiva causata dalla tragedia dell’Aquila) e viene adottata la successiva circolare esplicativa n. 617 del 2009. Si passa così dalla vigenza di leggi di tipo prescrittivo, come quelle descritte fin qui, all’attuale nuova normativa tecnica che si presenta come una legge invece di natura prestazionale.

Una legge cioè che si basa su una serie di assunti e scelte effettuate dai vari soggetti coinvolti (committente, progettista, impresa costruttrice, etc.) che devono, a priori, dichiarare quale sarà la vita utile della struttura, i conseguenti coefficienti di sicurezza da adottare, i tempi di ritorno dei terremoti che la struttura dovrà affrontare durante la sua vita utile.

La metodica di calcolo poi, viene sviluppata con il descritto sistema degli stati limite che verificano la capacità della struttura di superare i vari stati limite di esercizio, di salvaguardia della vita, di agibilità, di collasso. Rimangono, peraltro, sostanzialmente senza risposta le necessità formative di tutti i soggetti coinvolti. Si sperimenta così sul campo, con i rischi che ne conseguono, la nuova metodologia di calcolo antisismico. A notizia dello scrivente a tutt’oggi (spero di essere smentito presto, nonostante i tanti proclami) non esistono regolari o almeno frequenti corsi di formazione specialistica per carpentiere, per operaio capocantiere, per geometra direttore di cantiere, per disegnatore di esecutivi di cantiere, per ingegnere strutturista, per funzionario della pubblica Amministrazione con funzioni di esaminatore istruttorio dei progetti.

Dimenticavo. Con una norma introdotta nella legge finanziaria regionale del 2003, l’art.32 della Legge 19 maggio 2003 n. 7, i progetti presentati all’Ufficio del Genio Civile, diventano cantierabili soltanto a seguito di un semplice deposito dei calcoli statici. Solo alcuni Uffici Regionali, in Sicilia, applicano rigidamente tale norma portando a compimento l’iter istruttorio. Ma la mancanza di coordinamento tra Uffici pubblici in diverse province siciliane è argomento che merita considerazioni che esulano dall’argomento trattato in queste poche pagine.

Leonardo Santoro

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