Ferrovie dello Stato chiude il Ferrotel di Messina: 22 famiglie nello sconforto

Ferrovie dello Stato chiude il Ferrotel di Messina: 22 famiglie nello sconforto

Ferrovie dello Stato chiude il Ferrotel di Messina: 22 famiglie nello sconforto

mercoledì 26 Gennaio 2011 - 10:06

Ecco la lettera-sfogo dei lavoratori. Contestano il licenziamento, che scatterà il prossimo 1 febbraio, e si scagliano contro chi nulla fa affinché le cose in Sicilia e a Messina vadano diversamente

Con decisione repentina, Ferservizi, una branca delle Ferrovie dello Stato che gestiscei Ferrotel – in cui vengono ospitati personale viaggiante, capitreno, macchinisti e manovratori che prestano servizio fuori sede – ha deciso di chiudere la struttura di Messina. Scoppia così la rabbia dei lavoratori , i quali hanno deciso di scrivere una lettera- sfogo contestando il licenziamento, che scatterà il prossimo 1 febbraio e scagliandosi contro chi nulla fa affinché le cose in Sicilia e a Messina vadano diversamente.

Vi proponiamo uno stralcio della lunga lettera inviata alla nostra redazione:

«Il più giovane di noi ha venti anni di anzianità lavorativa e quarantacinque di età anagrafica Tale decisione, gettando nello sconforto ventidue famiglie, è la diretta conseguenza delle dismissioni di treni, stazioni, navi e servizi perpetrata dalla Ferrovia dello Stato al Sud, in Sicilia ed in particolar modo a Messina.

E’ una logica incomprensibile, intollerabile, specialmente per noi lavoratori del meridione che non abbiamo nessuno sbocco lavorativo alternativo. Una logica che ha una finalità: dismettere, chiudere per spendere meno e conseguentemente avere più utili da dividere con gli azionisti o per nuovi investimenti al Nord. Logica ineccepibile e comprensibile invece per la ferrovia, basta guardare la

pubblicità di trenitalia stravista in tv, il famoso “FRECCIA ROSSA”, treno fiore

all’occhiello della Ferrovia. Tecnologia a bordo, confort di lusso, ristorazione per i passeggeri, tempi ridottissimi per i collegamenti fra città e città un vero vanto.

Noi crediamo che quel treno sia di colore rosso, anche per la vergogna, perché quel treno si vergogna di servire solo una parte dell’Italia, tralasciandone un’altra che del treno né ha fatto fonte di vita, il Sud. Quel treno è rosso dalla vergogna perché, per noi meridionali è stato l’artefice del nostro miglioramento di vita, trasportandoci come emigranti, nelle città dove

abbiamo avuto una rivincita economica e sociale. Quel treno è rosso dalla vergogna perché non potrà più trasportare padri che tornano nella propria terra per riabbracciare i propri figli.

Il settore degli appalti ferroviari, il nostro settore, da anni ormai ci ha riservato sofferenze e patemi, siamo da circa dieci anni in cassa-integrazione o solidarietà, quest’ultimo termine si riferisce ad un ammortizzatore sociale e solidale, in maniera comprensibile ciò significa: diminuire le ore lavorative degli operai in maniera da non licenziare nessuno. Beneficio del quale godono in particolar modo le imprese, infatti, le ore lavorative pro-capite decurtate, sono reintegrate economicamente, in massima parte, dall’INPS direttamente nelle casse delle società.

Quante volte ormai abbiamo sentito a Messina questa parola; chiude. Chiude il servizio di assistenza ai portatori di malattie gravi. Chiude la cooperativa, chiude la ditta, chiude l’arsenale, chiude il macello, chiude l’ufficio, chiude il magazzino, chiude la stazione, chiude il ferrotel, chiude! Chiude! Chiude!

L’abbiamo sentita talmente tante volte che quasi ne siamo abituati, come in una sorta di assuefazione, come un malato terminale, con rassegnazione. Tante, tante volte da non far più nemmeno quasi notizia per i mezzi di informazione,possibile che nessuna classe politica sia mai riuscita a dire, a gridare:adesso basta!

Siamo un popolo strano, noi siciliani, abbiamo immense radici culturali sociali e storiche, viviamo in una città, in un’isola con enormi potenziali economici, eppure siamo alla fame, ridotti alla fame.

Noi sicuramente non daremo più il voto, come in passato, ma daremo la preferenza a chi fa politica per la propria terra, per la propria città, a chi fa politica per la nostra dignità di vita».

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