Il racconto di Giuseppe Donato: "Lei"

Il racconto di Giuseppe Donato: “Lei”

Il racconto di Giuseppe Donato: “Lei”

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domenica 14 Ottobre 2018 - 05:28

Riceviamo e pubblichiamo il racconto di un lettore di Tempostretto, Giuseppe Donato

Da più di dieci anni, puntuale come un treno svizzero, Giulio se la ritrovava tutte le sere nel suo letto: lo aspettava, fedele e devota, come una moglie d’altri tempi, compagna inseparabile per tutta la notte. Lui, single irreversibile, abituato a crogiolarsi nella placida solitudine del suo lettone, si era trovato costretto, quasi senza rendersene conto, a doverlo dividere con lei. Le prime notti la sua invadente e appiccicosa presenza lo aveva reso insofferente: scalpitava nervosamente ogni qualvolta la sentiva avvicinarsi, s’irritava enormemente quando Lei, con un subdolo sussurro, gli ricordava tutti i suoi casini, i suoi errori, i fallimenti. Nonostante i tentativi di scacciarla via, a volte estremi, raramente aveva avuto successo: Lei, imperterrita, cinica e tenace, gli s’incollava addosso e non lo abbandonava per tutte quelle ore della notte fino alle luci dell’alba; poi spariva per il resto del giorno… Giulio aveva studiato metodi e soluzioni, anche empiriche, per poterla escludere dalla sua vita durante quelle ore buie: ma tutto era stato inutile, inefficace; alla fine, rendendosi conto che quella battaglia l’avrebbe persa in ogni caso, si era rassegnato e l’aveva accettata come una parte, ormai, imprescindibile della sua vita. Di buon grado, dovette tollerare la notturna convivenza, sforzandosi di non lasciarsi più prendere dall’ansia o, peggio, da quella rabbia sorda che gli faceva serrare le mascelle e digrignare i denti.

Lei si chiamava Insonnia.

Anche quell’afosa notte di fine agosto Lei era li, nel suo lettone, impastata tra le lenzuola umide e stropicciate, ancora più fastidiosa e appiccicosa. Da ore Giulio aveva cercato di starle lontano, esplorando il giaciglio in cerca di qualche porzione di lenzuolo ancora fresca, nell’illusione che bastasse quell’effimero refrigerio per ottenere un po’ di pace e convincerla a dargli una tregua, a dimenticarsi per un po’ di lui. Quando capiva che non c’erano speranze, allora si scrollava di dosso quell’illusorio torpore, che non era certamente l’anticipazione del sonno, accendeva la luce, una sigaretta e magari la tv. Certe notti, seguite magari a una giornata particolarmente stressante, quando lo riassaliva il nervosismo dei primi tempi, tagliava corto: abbandonava di scatto il letto, lasciandola, lì, da sola, consapevole, però, che al suo ritorno l’avrebbe ritrovata ad attenderlo, fedele e paziente come un cagnolino.

Alle due e venti di quella notte, complice anche il caldo, Giulio aveva ormai superato il limite della sopportazione; sentiva le sue gambe fremere, cercare spazio, muoversi, la sua pelle umida e appiccicosa incollarsi alle lenzuola bollenti, l’aria soffocante della camera togliergli il respiro. Lasciò di scatto il letto e inforcate le pantofole, raccolto l’inseparabile pacchetto di sigarette, raggiunse l’ampio balcone che si affacciava sul corso principale, all’incrocio con una stradina poco illuminata. L’aria fresca della notte gli provocò un brivido freddo ma piacevole, che gli fece accapponare per un attimo la pelle, mentre la brezza leggera che arrivava da nord, asciugò presto la sua pelle umida. Respirava a grandi boccate quell’aria salutare, alternandole con altrettante voluttuose boccate di fumo, azzurre nuvole che il vento catturava e portava via con sé. Adesso quel torpore inutile era sparito, al suo posto un flusso di energia gli accendeva i sensi e la mente, si sentiva rinfrancato e tutti quei fastidi spariti, ma, soprattutto non pensava più a Lei. L’angolo del balcone al quarto piano, quello che dava sull’incrocio, proteso nel vuoto come la prua di una nave, era il suo posto preferito; da lì poteva osservare la strada finalmente deserta e silenziosa, scrutare i palazzi del vicinato in cerca di qualche luce ancora accesa, di un segno di vita, di qualcuno che, come lui, viveva la notte vegliando. O immaginava di ascoltare, dietro una finestra senza luce, il suono placido del sonno: quel respiro lento e profondo di chi sogna.

In un angolo dei suoi occhi, un lampo come di luce passò veloce risvegliando la sua attenzione: una macchia bianca indistinta era emersa dalla penombra, giù nella stradina. Concentrò lo sguardo in quella direzione, adesso quella candida macchia aveva preso la forma di un paio di pantaloni; li indossava una ragazza, accanto a lei, vicinissimo, un uomo che le cingeva i fianchi: una coppia nel momento del commiato, pensò. Carpì un ultimo veloce bacio poi osservò l’uomo inforcare lo scooter e imboccare il viale verso sud. Loro, i pantaloni bianchi, invece raggiunsero la strada principale, svoltarono a destra e sparirono nel primo portone. Una scenetta normale, da repertorio, ma non per Giulio che, da buon osservatore, quando la linearità degli eventi subiva una deviazione o notava un’anomalia, era portato a cercarne la causa, a indagare. Perché, si chiedeva, quel clandestino commiato nell’ombra? Perché non salutarsi davanti al portone, sotto la luce dei lampioni; cosa nascondeva quella coppia, quale segreta complicità li univa? L’arrivo silenzioso di un’auto, materializzatasi come dal nulla, gli fece abbandonare queste speculative e pettegole riflessioni. L’auto, le luci degli stop che coloravano di rosso l’asfalto, si era fermata proprio davanti al portone, lo stesso che, poco prima, aveva inghiottito quei pantaloni bianchi. Notò lo sportello del passeggero spalancarsi improvvisamente, come per far scendere qualcuno, ma dall’auto non comparve nessuno, quello che invece sbalordì Giulio fu vedere comparire nuovamente quei pantaloni bianchi che, riemersi dal portone, percorrevano quei pochi metri del marciapiede per sparire, poi, all’interno dell’auto! La luce rossa si spense, un braccio nudo afferrò lo sportello che tornò al suo posto e il veicolo riprese la sua marcia in direzione nord. Una smorfia ironica trasformò per un attimo l’immobilità del suo viso, come se avesse appena assistito alla rappresentazione di una farsa boccaccesca, poi la sua espressione si tramutò di colpo in un ghigno amaro e triste, quando realizzò di essere stato il testimone di un tradimento, di una vigliacca slealtà. Il sapore del fumo era diventato acre e spiacevole; spense la sigaretta appena accesa e iniziò a percorrere il balcone per tutta la sua lunghezza. Quella benefica energia di prima adesso era sparita e si sentiva assalito da un’improvvisa spossatezza, le gambe pesanti che trascinava con lentezza, i pensieri cupi e plumbei. Un acido flusso di disprezzo lo investì con tutta la sua disgustosa amarezza, la scena alla quale aveva assistito gli aveva rimesso davanti agli occhi la parte più sordida e riprovevole della natura umana, quella sempre pronta a tradire una fiducia immeritata, che considera la lealtà qualcosa di derogabile, che ha dimenticato il significato del rispetto. Non si chiese nemmeno chi fosse dei due il tradito, certo sapeva chi era il traditore.

Tornò nel suo letto; le lenzuola ormai fresche lo accolsero nel loro temporaneo confortevole abbraccio; con la testa persa in mille pensieri e un sapore amore in bocca, spense la luce e attese che Lei arrivasse…

Fine

3 settembre 2018

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