Taormina Film Fest. La prima europea di “A thousand and one”: un dramma di denuncia

Taormina Film Fest. La prima europea di “A thousand and one”: un dramma di denuncia

Emanuela Giorgianni

Taormina Film Fest. La prima europea di “A thousand and one”: un dramma di denuncia

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martedì 27 Giugno 2023 - 12:00

Ospite d’onore la superstar musicale Teyana Taylor, per raccontare un film dove macrostoria politica e microstoria individuale vivono in simbiosi

TAORMINA – Continuano le grandi proiezioni al Taormina Film Festival. Dopo il successo dell’anteprima di Indiana Jones, arriva al Teatro Antico la superstar musicale Teyana Taylor, per presentare il film – già premiato al Sundance Film Festival – A thousand and one, al cinema dal 29 giugno.

Dopo gli appuntamenti con le proiezioni giornaliere e la masterclass pomeridiana di John Landis “La commedia al cinema”, la serata di gala ospita l’ulteriore prima europea.

Sue ospiti d’onore sono la protagonista Teyana Taylor e la regista A.V. Rockwell. Taylor racconta al pubblico quanto poter spaziare tra carriere diverse sia per lei arricchente e fonte di crescita tanto come cantante quanto come attrice. Aver girato dei videoclip musicali, per esempio, è stato un vantaggio per superare la difficoltà del porsi davanti ad una macchina da presa. “Non penso di voler scegliere tra una strada e l’altra – afferma – questo film però ha rappresentato tutto per me, davvero tutto”. Rockwell, invece, presenta la genesi del film: “La sua ispirazione nasce da tutte le donne che ho incontrato nella mia vita, pronte a combattere sempre, silenziosamente, anche quando il mondo era loro contro. Inez le incarna tutte”.

La storia

Inez De La Paz (Teyana Taylor) ha 22 anni, dopo essere stata in galera per piccoli reati, torna alla libertà nel 1994 e – mentre offre, per le strade di New York, tagli di capelli ad amici e conoscenti – sogna di aprire il suo salone da parrucchiera.

È forte, libera, sicura di sé, dura e inarrestabile. A far cadere ogni sua corazza, però, è l’incontro con lo sguardo di Terry, un bimbo di sei anni dagli occhi tristi, abbandonato da solo per strada. È lui quell’uno che si aggiunge ai mille del titolo.

Terry è (o potrebbe essere?) il figlio che Inez, anni prima, ha dovuto lasciare ad un sistema di affidamento sociale. Decide, allora, di portarlo via con sé, anche se Terry è affidato ad una famiglia. Agisce illegalmente, ma per offrigli una prospettiva migliore, una possibilità di felicità.

Da Brooklyn si spostano ad Harlem dove Inez è cresciuta, aspirando ad una nuova vita, cercando di essere una famiglia, grazie anche all’aiuto di Lucky (William Catlett), l’ex fidanzato di Inez, che esce di prigione e si impegna per essere un buon padre.
Ma la ricerca della normalità, tra documenti falsi e discriminazioni, non sarà per niente facile.

La città protagonista

La regista A.V. Rockwell, di origine giamaicana ma nata e cresciuta a New York, nel Queens, al suo debutto con un lungometraggio, ci porta dentro le esistenze di una madre e di un figlio, ci rivela le loro anime, che si mischiano, incontrano e confondono con l’anima della Grande Mela, vera protagonista di tutta la storia. A rappresentarla è una mediatica voce fuori campo che mostra la macrostoria politica e sociale con cui la microstoria individuale di Inez – e di tanti altri come lei – vive in simbiosi.

Vi sono tre grandi periodi a delineare lo svolgimento di queste storie intrecciate – e tre, infatti, gli attori ad interpretare Terry (Aaron Kingsley Adetola all’età di 6 anni, Aven Courtney all’età di 13 anni e Josiah Cross all’età di 17 anni). Si parte nel 1994, l’anno di elezione di Rudy Giuliani a sindaco di New York. Ci spostiamo, poi, nel 2001, anno del sempre più forte controllo delle forze dell’ordine nei quartieri periferici e dei pregiudizi e violenze che questi comportano. Rockwell decide di ignorare completamente il racconto dell’attentato alle Torri Gemelle, perché l’impatto più tragico su quelle vite, per lei, rimane la metamorfosi del quartiere. Infine, il 2004, anno in cui diventa sindaco della città Michael Bloomberg, il cui progetto di riqualifica edilizia contribuisce alla sempre maggiore gentrificazione della metropoli, peggiorando ancora le condizioni di vita per le classi sociali più povere.

Tra i rumori della città, le melodie r&b e funky della colonna sonora di Gary Gunn, tutto cambia intorno a Inez e Terry e cambiano anche loro. A restare intatto è solo il legame che li unisce e li rende uno scudo dell’altra.

Mille Inez e Terry

E come loro tantissimi. Mille volti, mille storie, come quella di Inez e Terry, che la corsa per il progresso lascia indietro. Mille vite cui aggressioni e pregiudizi impediscono di trovare una strada migliore, un’altra possibilità. Ma Inez non demorde, in nome di un amore, quello per il figlio, che nessuno può toglierle. E Terry fa suo lo stesso coraggio, la stessa voglia di non piegarsi alle ingiustizie, né all’imposizione di ciò che sarebbe giusto o sbagliato, andando invece alla personale ricerca della sua idea di bene, scontrandosi contro il potere delle istituzioni.

La loro, però, non è una storia di formazione, non c’è una crescita, una maturazione o un tanto atteso lieto fine. La storia cui noi assistiamo si conclude quando la loro – e quella di Terry soprattutto – è ancora tutta da scrivere. Inizia alla sua fine la ricerca di Terry della propria identità.

L’autenticità

Teyana Taylor, al suo primo ruolo da protagonista, è incredibile, porta al personaggio tutta la forza che le è propria, l’intensità e il talento resi evidenti dalla sua carriera musicale. Taylor, poi, viene da ed è cresciuta ad Harlem, offre, perciò, alla narrazione l’autenticità che solo chi ha toccato con mano tale realtà più comprendere. Quella verità che rivela l’altra faccia del mito della Grande Mela, un sogno che, vissuto dal basso, si trasforma in incubo.

A thousand and one riunisce insieme, incredibilmente bene, elementi diversi per un unico obiettivo: raccontare con semplicità mai banale cosa accade quando l’ingiustizia diviene legge, la violenza diviene normalità, la discriminazione diviene abitudine. Mostrarne la gravità, l’atrocità, il dolore, in maniera autentica. Quello che è avvenuto e avviene sempre più in America è una manifestazione lenta e silenziosa, ma per questo ancora più pericolosa; nello stesso modo, dicendo tutto senza dire niente, con silenzi e senza nessuna retorica, il film riesce a denunciarla in tutta la sua disumanità.

La fotografia plumbea e angosciante tramette quel senso di precarietà e incertezza; le inquadrature ampie sugli scenari newyorkesi mostrano il loro contrasto con le inquadrature strette e in primo piano dei personaggi.

Linguaggi diversi in un unico dialogo per raccontare un dramma di denuncia, una lotta che non si risparmia mai, però, dalle forti emozioni.

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