“Cantare all’amore”. Una piece, tanti riconoscimenti

“Cantare all’amore”. Una piece, tanti riconoscimenti

Tosi Siragusa

“Cantare all’amore”. Una piece, tanti riconoscimenti

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lunedì 14 Gennaio 2019 - 06:28
Teatro dei 3Mestieri

Per la stagione “Radici per restare”, avviata con successo nel 2018 dall’ormai consolidata realtà del “Teatro dei 3 Mestieri”, la performance “Cantare all’amore” ha costituito il primo appuntamento del 2019. Studio e ricerca svolti in forma collettiva, è evidente hanno costituito ottima e approfondita base di partenza per questa piece ambientata in epoca contemporanea, ove il parlare (cantare) d’amore è inteso quale indecente sentimentalità, appannaggio dei pochi coraggiosi che in solitudine hanno osato sfidare i meccanismi storici convenzionali orientati in senso di una di una sua stigmatizzazione. Il nostro tempo – queste le risultanze alle quali addiviene la drammaturgia qui indagata – rifugge dal sentimento amoroso e dunque dalle tematiche su di esso incentrate. I meccanismi dei poteri dominanti non considerano quale priorità le emozioni, a causa dell’invasione dei falsi modelli del tempo reale, che tutto brucia in un istante, non consentendo di guardarci dentro e mettendo la sordina al tempo dell’attesa. E così, i tre drammaturghi – attori (Nicola Di Chio, Miriam Fieno, Paola Di Mitri) che avrebbero voluto “lavorare” sull’amore, sono stati costretti a interrogarsi se esso ancora abbia diritto di cittadinanza in questa società delle urgenze, che richiede immediatezza, convogliando la centralità in priorità dettate dall’apparenza e guidate da certezze incarnate nella precarietà e nei mille doveri esistenziali. Il canto d’amore, forse ancora ascoltato in forma celata dalla moltitudine, non è poi pubblicamente sostenuto formalmente, quasi disdicevole vergogna. Oppure, laddove mediaticamente i sentimenti sembrerebbero fulcro di trasmissioni sui mass-media, o di intrattenimento sul web, non trattasi mai di approfondimenti, ma di mediocri banalità, di addomesticate e edulcorate esternazioni, che nulla hanno a che spartire con l’amorosa materia e sempre sono sedicenti e dozzinali. Se l’assunto dello spettacolo è assolutamente da condividere, un po’ meno è risultata convincente la traccia concreta utilizzata per addivenire a tale conclusione: la storia dei tre protagonisti, due sorelle diametralmente diverse – sia nelle sembianze, una di bell’aspetto e l’altra molto meno avvenente, che nelle aspirazioni e nel concreto vissuto, ove se la prima è prossima a un matrimonio facoltoso, la seconda appare come spenta, prosciugata dentro – e un sarto, infine, che deve apportare riparazioni all’abito da sposa della bella – anch’egli un fallito, poiché la vita un giorno è stata per lui esauritrice di ogni speranza. E allora ecco brividi, imbarazzi, inciampi nella dialettica fra i due infelici, che non riescono infine, per paura, a giungere a un lieto fine, né va meglio a chi cerca negli agi, falsamente e sempre riportando sensazioni di inadeguatezza, la felicità….si è sempre da essa banditi, si resta perennemente delusi , messi in scacco e non residua che una esultanza disperata, che fa da contraltare ad un’innocenza perduta irrimediabilmente. I toni della mise en scene sono passati da quelli nevrotici, dettati dai ritmi incalzanti iniziali, a quelli comici, certo in forma bislacca, fino a quelli malinconici e deliranti del finale senza luce. Le scene minimaliste, caratterizzate da elementi di colore bianco – gli interni di una modesta abitazione delle due sorelle con pochissimi arredi funzionali, scalette e un appendiabiti, utilizzato per l’abito da sposa sintetico, usato, a simboleggiare i negativi connotati dell’unione coniugale a venire – come gli oggetti di scena – indumenti e accessori di scarsa fattura – ben rendono la povertà spirituale in cui si muovono i protagonisti – casuali – della storia. Un cenno infine alle canzoni utilizzate, tutte note, di interpreti da Gianna Nannini a Claudio Baglioni, passando per Luigi Tenco , Mia Martini, Eros Ramazzotti etc., che hanno avuto il coraggio di parlare di sentimenti. E torna alla mente il noto saggio “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes, che ha davvero scandagliato il materiale interiore in tema di sentimenti e relazioni, davvero in modo insuperabile. Ce ne fossero…..! Il pubblico, abbastanza numeroso, ha molto apprezzato la piece, sostanzialmente riuscita, come dimostrato dai tanti riconoscimenti riportati, dal 2013 ad oggi, sicuramente meritati; da segnalare anche l’apporto alla drammaturgia di Michele Santeramo.

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