Intervista a Gabriele Lavia

Intervista a Gabriele Lavia

Intervista a Gabriele Lavia

sabato 02 Aprile 2011 - 18:58

Il suo malato immaginario in scena al V.Emanuele sino a domaenica pomeriggio

Non naviga su Internet e non mangia nessun tipo di pesce o mollusco, ma in quanto a Teatro è ormai un maestro Gabriele Lavia adesso 69enne di Milano con origini siciliane e da quasi mezzo secolo nel mondo del teatro con puntate in quello del cinema. Al Vittorio Emanuele è ancora in scena il suo personalissimo “Malato immaginario”di Molière che lui ha cucinato in salsa beckettiana, innestandovi alcuni passi del “Malone muore” e registrando su nastro magnetico, come Krapp, quante purghe e quanti clisteri è costretto a consumare ogni giorno, saltando velocemente da un tavolino con registratore alla tazza del cesso, andandosi a coricare in un lettino d’ospedale quando la sua ipocondria raggiunge il massimo livello. Ci incontriamo al Jolly Hotel di Messina.

Senta Lavia, pare che al momento siano i lavori di Molière che la interessano particolarmente. Vedi “Il misantropo”, “L’avaro”, adesso “Il malato immaginario”….

“ E nell’immediato futuro ci sarà ancora un Molière, penso infatti di mettere in scena tra qualche anno “Il tartufo”…

Perché le piace tanto Molière?

“Perché lo trovo contemporaneo, comico, satirico, profondo, in conflitto con i tromboni del suo tempo e con chi detiene il potere, come potevano essere quei luminari della medicina buoni solo a sfoderare un linguaggio fumoso e ad atterrire i poveri malati”.

Che è quello che succede al povero Argante.

Appunto…tant’è che io spesso mi fingo d’essere malato per non contraddire il potere…ma il potere ha il clistere e te lo mette sempre nel culo”.

Bisogna pure dire che i lavori di Molière hanno sempre un lieto fine.

Certamente, come le convenzioni di quei tempi esigevano, ma bisogna convenire che le sue opere sono universali e saranno sempre rappresentate perché i personaggi che lui ha mirabilmente ritratto sono quelli di sempre. Così dicasi per gli intrecci tra nobili, borghesi e classi subalterne, i rapporti tradizionali tra moglie e marito o l’educazione delle giovani generazioni”.

Oltre al suo personaggio (Argante) che indossa vestaglia sciarpa e zucchetto in testa, hanno impressionato favorevolmente quei nugolo di medici agghindati come tante cornacchie o gallinacci con tacchi a spillo al posto degli speroni. A cosa si è rifatto iconograficamente?

“ All’inizio pensavo di ambientare il mio “malato” in una corsia d’ospedale con una quarantina di posti letto con malati terminali. Ho scartato poi questa idea per via delle tournées e dei teatri che non hanno dei palcoscenici adeguati. Era conveniente una scena nuda in cui si sarebbe dovuto vedere necessariamente il cesso, il tavolino e un lettino”.

E quei quattordici grandi specchi rettangolari che ad un tratto scendono dalla graticcia e si pongono tutt’intorno alla scena – un coup de théâtre che lei ha utilizzato anche in altri spettacoli – che significano?

“ In generale quando entra lo specchio in scena succede sempre qualcosa di magico, che forse ha a che fare con l’esoterismo e il metafisico. Io sento che quando calano gli specchi il pubblico è più attento e tossisce di meno. Le pare niente? ”.

E per ciò che riguarda i costumi dei medici che sembrano dei cartoons o dei fumetti?

“ L’idea mi è nata a Tokio, quando pensando al “malato” di Molière ho cominciato a buttare giù dei disegni con volti tremendi e costumi di volatili”.

Non sapevo che lei disegnasse!

“ Si, è stata una mia vecchia passione. Prima di fare teatro ho disegnato tanti fumetti e ho realizzato dei cartoni animati. Col costumista abbiamo avuto pure delle difficoltà a realizzare le loro giacche perché i collettoni alti che dovevano nascondere completamente il loro collo, si da farli sembrare pure ingobbiti, non erano mai perfettamente rigidi”.

E perché dei tacchi a spillo?

“ Perché il potere ha sempre i tacchi rialzati…deve essere sempre un tantino più alto di te”.

Ogni riferimento a personaggi di oggi è puramente casuale?

“ Del tutto”

Senta Lavia, lei va sempre sul sicuro mettendo in scena testi, certamente importanti, ma che riguardano il Teatro classico. Perché non realizza dei lavori che hanno a che fare con la drammaturgia contemporanea?

“ Veda, a parte Thomas Bernhard che è l’unico autore che potrei mettere in scena ma che non lo faccio perché troppo rappresentato, la drammaturgia contemporanea non mi è congeniale. Uno deve fare le cose in cui ci si sente a proprio agio. Come un pittore che preferisce dipingere una morta invece di una viva. Anch’io scrivo dei testi teatrali, ma non li metto in scena perché non sono amato dalla critica. Il Teatro appartiene alla filosofia, non alla letteratura. Amleto è importante perché la filosofia ha trattato l’essere e il non essere. Solo Sartre è andato oltre, trattando l’essere e il nulla. E dunque credo che nella nuova drammaturgia manchi proprio il fondamento filosofico che distingua il teatro da qualunque forma d’arte”.

Senza voler parlare di suo figlio Lorenzo che è già un attore molto bravo, pare che in questo suo “malato” sia nata una stella, sua figlia Lucia che non aveva mai recitato e che interpreta a passi di rap l’Angelica innamorata di Cleante. Cosa è successo esattamente?

“ E’ successo che a due giorni del debutto nazionale l’attrice che doveva fare Angelica mi abbia dato buca e allora ho pensato a mia figlia. Gli ho fatto un provino, andato bene, e sono molto contento della sua prova. Diventerà una grande attrice”

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