Oggi, alle 19.30, il volume verrà presentato alla Camera di Commercio di Messina
Nella seconda metà del Settecento, la Sicilia non è più un appendice insolita del Grand Tour italiano, anzi si fa meta indispensabile, imprescindibile. E così molti viaggiatori stranieri riempiono i loro taccuini di immagini e parole, narrando come fosse l’isola di quel tempo. Da Goethe a Houel, da Brydone a Vivant Denon, l’esperto giornalista Vincenzo Bonaventura ha raccolto nel prezioso volume rilegato, La Sicilia al tempo del Grand Tour – L’isola vista dai viaggiatori stranieri della seconda metà del Settecento (edizioni GBM; pp. 178; €45) giudizi colti e raffinati di quel tempo, seppur non immuni da pregiudizi e timori, da ironie e critiche, anche feroci. Una narrazione ricca di sarcasmo che non lesina critiche per quell’indolenza siciliana, ricca di spunti pregevoli come il racconto della Dolce Vita palermitana ad opera dello scozzese Brydone o i vari punti di vista sui temuti e temibili campieri.
Il volume verrà presentato oggi, sabato 13 febbraio alle ore 19,30, presso la Camera di Commercio di Messina con la partecipazione di José Gambino, professore ordinario di Geografia umana della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Messina.
Com’è nato questo progetto?
«Confesso che è un’idea dell’editore Ugo Magno che aveva già pubblicato La Sicilia al tempo dei Gattopardi, un testo francese dove veniva raccontata la vita quotidiana dei nobili. La sua intuizione è stata quella di proseguire narrando la vita quotidiana dei siciliani tramite gli occhi dei viaggiatori stranieri che proprio in quel periodo sono stati molto presenti nella nostra isola. A noi non interessava parlare della Sicilia classica, quella archeologica, per tale motivo da quei resoconti fatti dagli stranieri, ho estrapolato tutto quello che riguardava i costumi e le abitudini dell’epoca».
Un libro ricchissimo di testi ed immagini anche ricercate. Quanto tempo le è occorso per procurarsi tutto il materiale?
«Me la sono cavata in circa dei mesi ma dedicandogli tutto il mio tempo, è stato un lavoro molto impegnativo».
Apre l’introduzione con la famosa affermazione di Goethe: “senza la Sicilia non ci si può fare un’idea dell’Italia”. Ma cos’era che tanto colpiva i narratori stranieri secondo lei?
«Ho citato questa arcinota affermazione di Goethe ma cito anche un’altra sua frase meno famosa ma più significativa: “la vita di questi isolani ha sempre qualche cosa di solitario e non si ridesta e non si sostiene che in forza di qualche interesse passeggero”. Ho evidenziato questa frase perché mi sembra che fotografi alla perfezione il disincanto tipico dei siciliani, un sentimento in sé non negativo ma che si può tramutare in pessimismo, in una chiusura aprioristica. Può essere anche intesa come la base del “non fare”, spingendo verso una mentalità assistenzialistica che già in quel periodo appariva, purtroppo, spiccatamente. Mi riferisco, ad esempio, ai nobili che preferivano bivaccare e far debiti piuttosto che seguire cosa accadeva nelle proprie terre e in questi atteggiamenti ritrovo le basi dell’assistenzialismo che dominava e domina tuttora non solo in Sicilia ma in tutto il Mezzogiorno».
Un libro che non lesina critiche ai siciliani
«In effetti non mancano le critiche ma tutto sommato sono di più i giudizi positivi».
Quando nacque la formula Grand Tour ed esattamente cosa esprime?
«Grand Tour è l’idea di questo grande viaggio. La definizione fu adottata per la prima volta nella versione francese del libro di Richard Lassels, The voyage of Italy or a compleat journey through Italy, pubblicato nel 1670. Nella seconda metà del Settecento entriamo nell’Illuminismo e poi nel Romanticismo e il Grand Tour era un viaggio attraverso l’Italia e le sue bellezze ma la Sicilia rientra molto dopo in tali itinerari, nel 1767, con il barone Von Riedesel».
Particolarmente interessanti i racconti sui campieri, veri e propri antesignani della mafia
«Ormai gli storici della mafia sono concordi nell’indicare nei campieri una sorta di proto-mafia, non la mafia vera e propria che sorgerà nel secolo successivo con le sue norme e i suoi codici».
Chi erano i campieri?
«I nobili si servivano di questi uomini di fiducia che erano un po’ tutto, da guardie del corpo a sorveglianti dei contadini. Svolgevano un’attività di governo sul territorio ad ampio raggio anche attraverso la violenza e molto spesso erano briganti convertiti ma ciò accadeva anche per le guardie ufficiali. Sempre Bryddone scrive di loro: “altro che delinquenti, anche peggio”».
Parliamo di stato ma ovviamente siamo ancora in tempi in cui il baronaggio era nel suo pieno vigore come Domenico Cacopardo racconta bene nel romanzo Carne Viva».
Della Sicilia si dice sempre che sia terra di contraddizioni. Possiamo dire che la forza di questo volume sono proprio le divergenze insite in ciascun racconto dei viaggiatori?
«Senz’altro, anche perché spesso le contraddizioni stanno negli occhi di chi guarda. Altre volte solo grazie ad osservatore esterno riusciamo a capire davvero la nostra natura. Per tale motivo credo che ancora oggi, leggere i resoconti dei viaggiatori stranieri di secoli addietro, può aiutarci a capire noi stessi e la nostra terra, contraddizioni comprese».
Vincenzo Bonaventura, giornalista dalla lunga carriera, tra Milano e Messina, ha sempre alternato alla professione l’attività di curatore di libri – tra i quali -Giovanni Paolo II. 1978-2003: i 25 anni del Papa che ha cambiato la storia- – e, più segretamente, quella di scrittore (anche di favole). Nel 2008 ha ideato e curato il libro -Cara Messina… (Manifesto ideale degli intellettuali messinesi della diaspora)-, che raggruppa le testimonianze di settanta personalità, pubblicato in occasione del centenario del terremoto del 1908.
