Boom di download per il libro dello sceneggiatore e soggettista del film rivelazione L'Uomo Fiammifero
Il Mangianomi minaccia il Ducato di Acquaviva. Creatura misteriosa e inafferrabile, si aggira nel buio rubando a qualunque cosa il proprio nome e l’unica speranza di salvezza per i poveri abitanti sarà riposta nel giovane Magubalik, cacciatore solitario e d’abilità leggendaria. Ma sarà un gioco degli specchi, una discesa negli Inferi, che lo costringerà a fare i conti per primo con se stesso.
Non è mai facile riassumere in poche righe la trama di un libro e nel caso de Il Mangianomi (Salani editore, pp. 496, €16,80) di Giovanni De Feo, il compito è ancor più arduo perché l’autore conferma di aver tratto ispirazione da grandi nomi della letteratura – da Calvino a Hoffman – ma anche dai fumetti e soprattutto dalla tradizione popolare e dalle fiabe notturne. Per comodità diremo che Il Mangianomi è un fantasy con venature horror ambientato in borghi medievali italiani ma, ovviamente, il fatto più importante è che De Feo riesca a guidarci con prosa sempre fluida in una narrazione labirintica che tesse molte trame parallele e cambia spesso narratore, senza mai annoiare né affaticare.
Non a caso, dunque, la fiducia riposta in questo libro – pubblicato in versione ridotta da E/O nel 2002 – è notevole e per questo la Salani ha deciso di permettere il download di ben 170 pagine, ovvero la prima parte, dal proprio sito (il link diretto si trova in coda all’articolo insieme alla segnalazione del successo riscontrato su 10righedailibri.it). A tal proposito, De Feo che recentemente ha raccolto grande successo con la sua sceneggiatura de L’Uomo Fiammifero, ha dichiarato: «Penso che un lettore abbia il diritto di sapere in anticipo se è il caso di spendere 17 euro per acquistare un libro». Beh, magari facessero tutti così…
Il Mangianomi, personaggio che ha un che di metaforico, sembra venir fuori dalla penna di Hoffman. Cosa l’ha ispirata?
Avevo già in mente la storia di un cacciatore seicentesco e del legame strettissimo che aveva con i suoi tre cani. Allora giocai per un po’ con l’idea di una creatura che fosse l’oggetto di una caccia incantata. Dopo aver scartato le solite bestie fiabesche, da chissà quale scantinato della memoria mi tornò in mente il disegno di Macchia Nera (sì, proprio l’arcinemesi di Topolino) così come lo ricordavo nelle letture della prima infanzia: un fantasma nero, con buchi orrendi per occhi. Quell’immagine, che da bambino mi aveva sempre terrorizzato, prese pian piano una precisa colorazione emotiva; una tristezza paurosa, sorda, affamata. Nacque allora l’idea di una creatura che fosse un’assenza più che una presenza, che cioè rappresentasse il male attraverso una lacerante mancanza di amore. Centrata quella precisa immagine mi tornarono altre visioni: il nulla de La storia Infinita, certi mostri ombrosi dalle illustrazioni di Gustave Doré, i demoni-spiriti della Principessa Mononoke, e soprattutto alcuni dipinti di Buzzati, come quello che rappresenta una specie di balena oscura sospesa nel cielo. In seguito, all’interno di questa cornice figurativa, pensai ad Hoffman, a Chamisso, a Andersen, a Mervyn Peake, a Calvino, e ovviamente a Giambattista Basile. Ma all’inizio tutto nasce da questa immagine di pura disperazione, il negativo di un fantasma, una creatura che è vittima e carnefice al contempo, che si nutre di ogni cosa e diventa ogni cosa, ma proprio per questo rimane vuota e senza un’io.
Sul sito della SALANI è online e scaricabile gratuitamente la prima parte del suo libro. A mio avviso, in tempi di over-produzione narrativa, questa è stata una scelta vincente. Com’è nata questa decisione?
È semplice, ho voluto che si rendesse scaricabile una parte così consistente del romanzo perché penso che un lettore abbia il diritto di sapere in anticipo se è il caso di spendere 17 euro per acquistare un libro. Se in 170 pagine la storia non è riuscita ad acchiappare il suo interesse vuol dire che quel libro non fa per lui, o per lei. A quanto pare a sei mesi dall’uscita continuano a esserci download per cui sembra che l’iniziativa abbia avuto buon esito.
Mi ha molto colpito l’importanza che lei riserva ai cani di Magubalik. Perché questa scelta?
Difficilmente avrei potuto raccontare la storia del mio cacciatore senza i suoi tre cani. Vero è che nella prima stesura la parte dei cani, quella della ‘caccia al mostro’, si è ampliata scrivendola. Credo che questo sia avvenuto per due ragioni: avevo bisogno che il lettore si affezionasse ai cani per capire l’attaccamento del cacciatore agli stessi. E la seconda è che scrivendo dei cani e delle loro imprese io stesso cominciavo a capire meglio la personalità di Magubalik e le conseguenze del suo distacco dalla parte selvatica di sé. L’idea dei cani, e forse della storia intera, è nata poi dai primi racconti che sono in grado di ricordare, cioè quelli che mi faceva mio padre sulle gesta di caccia di mio nonno. In queste storie c’erano sempre i suoi tre cani (Dik Diana e Reno, ancora mi ricordo i nomi) che si sono evidentemente sedimentati nel serbatoio della mia immaginazione. D’altronde il rapporto tra un uomo e i suoi cani mi è sempre parso qualcosa di splendido e misterioso, un vero legame spirituale. E in questa storia che parla d’identità perdute e ritrovate volevo esplorare il mistero di tale legame dando a ognuna delle tre bestie una vera personalità, complessa e caratterizzata come quella di un essere umano.
E’ interessante il fatto che in un periodo in cui spopolano vampiri e draghi, lei abbia scelto il restare in Italia, fra fattucchiere, briganti, lupi e cantastorie. Insomma, il suo romanzo pesca anche nella tradizione popolare?
Diciamo che per scrivere un romanzo devo poter credere totalmente nel mondo in cui esso vive. Questo mondo deve essere per me come un vestito, un mantello fantastico da indossare a fine giornata. Solo se sono a mio agio in questo abito-mondo posso scriverne. La scelta di un immaginario fiabesco italiano è stata dettata proprio dalla necessità di potermi muovere in uno spazio narrativo che mi fosse congeniale, e non solo partendo dalle mie letture, ma proprio dagli spazi fisici sui quali ho fantasticato da bambino. Il Mangianomi è quindi proprio il genere di storia che avrei potuto immaginarmi nei borghi medievali dove ho villeggiato da ragazzo, nelle sagre estive di paese, nelle storie raccontate al fuoco della nostra casa di campagna. C’è quindi un rapporto viscerale con l’ambiente, ancora prima che con la favolistica italiana. Che io poi da adulto abbia letto e amato Calvino e Basile è solo una conseguenza del fascino esercitato su di me da quella topografia dell’immaginario.
Lei ha scritto una storia d’avventura ricca di personaggi, con flashback e frequenti cambi del punto di vista narrativo. Eppure la su scrittura è sempre molto fluida. Come si costruisce un buon romanzo? C’è un consiglio che vorrebbe suggerire ai tanti aspiranti romanzieri?
Il romanzo è pieno di ‘spirali’ temporali perché mesi di riscrittura mi hanno fatto capire che una scansione lineare degli eventi non avrebbe funzionato. Idem per quanto riguarda il cambio dei punti di vista e l’avvicendarsi dei diversi personaggi, i quali si sono imposti man mano da soli. La fluidità della lingua era un obiettivo, non sta a me giudicare quanto felicemente raggiunto. Per ciò che riguarda i consigli non mi sento di darne, anche perché sono convinto che non esistano regole generiche ma solo specifiche, quelle che scrivendo si viene man mano a sperimentare in prima persona. Casomai posso far notare che l’attività di scrivente è solo una estensione di quella di lettore; leggere e rileggere con attenzione i grandi romanzieri –anzi, i grandi che si amano– è un apprendistato più che sufficiente per imparare tutto ciò di cui si ha bisogno per cominciare.
Infine lei ha preso parte al bel progetto de L’Uomo Fiammifero, firmandone la sceneggiatura. Mario Monicelli ha detto che al cinema italiano serve più coraggio. Lei è d’accordo? Potrebbe essere proprio la fantasia e l’inventiva, le chiavi del successo di questo film?
La mia collaborazione con Marco Chiarini è nata proprio nel segno di una consapevole insubordinazione contro i modelli che ci erano stati imposti al Centro Sperimentale. Si chiacchiera ancora tanto di neorealismo e neo-neorealismo ma a mio avviso per tanti film di oggi sarebbe più adatto parlare di paleo-realismo. Non solo perché gli argomenti sono gli stessi da quarant’anni, ma è proprio il modo con cui sono strutturate le storie a essere ormai convenzionale. Eppure i maestri del neorealismo, come Zavattini, erano degli innovatori proprio non solo per i contenuti delle loro storie ma per il modo con cui concepivano e strutturavano le medesime. Anche nel cinema ‘realista’ dunque la questione non è quanto esso sia fedele alle sue pretese di indagine sociologica, ma quanto abilmente sia in grado di trovare un nuovo linguaggio per comunicare una propria idea di realtà. Scrivendo il soggetto de L’uomo fiammifero io e Marco ci siamo divertiti a rompere tutte le regole che ci erano state inculcate, con nostro immenso sollievo. Il coraggio di cui parla Monicelli sta forse in questo: nel non accettare modelli artistici che vengono dati per scontati. Infatti se voglio imitare i grandi del passato ci sono due possibilità: o seguire le loro scelte stilistiche (quelle che allora erano rischio e rottura e oggi sono tradizione consolidata) oppure imitare il coraggio di quelle scelte. L’uomo fiammifero è nato così, nell’intento un po’ incosciente di ricreare una sorta di diario-documentario sulle fantasie di un bambino di campagna, usando un linguaggio figurativo che per noi fosse fresco e nuovo. Quindi sì, certo, fantasia e inventiva sono due qualità essenziali di questo film, come di ogni altra attività creativa. Per me solo chi ha inventiva riesce infatti a vedere artisticamente la realtà, perché la percezione della realtà è un atto di “inventio”, cioè di ricerca, non di ricezione passiva. La fantasia è una facoltà ancora più preziosa, in quanto fa apparire ciò che nel reale è nascosto, quello che si trova sotto la superficie. Cineasti come Garrone e Sorrentino riescono benissimo a inventare mondi e a far uscire allo scoperto le loro oscurità invisibili; segno che il coraggio, la fantasia e l’inventiva nel cinema italiano non mancano, anche se forse ci vorrebbero dosi ben più massicce per vaccinarsi contro l’intorpidimento dilagante del convenzionale.
Sul web:
http://www.salani.it/sal-scheda.asp?idlibro=3291&titolo=IL+MANGIANOMI
http://www.10righedailibri.it/prime-pagine/mangianomi
