-Io sono Achille-: Malouf rilegge il capolavoro di Omero

-Io sono Achille-: Malouf rilegge il capolavoro di Omero

-Io sono Achille-: Malouf rilegge il capolavoro di Omero

mercoledì 01 Settembre 2010 - 08:52

Una storia avvincente che svela retroscena e i sentimenti di Achille, Priamo ed Ecuba

David Malouf nel suo ultimo libro, Io sono Achille (Frassinelli editore; pp. 210; € 17.50; trad. it. di Francesca Pe’ a cura di Franca Cavagnoli), rilegge l’Iliade di Omero all’insegna dell’umanità e del peso del Caso, scrivendo un toccante e commovente racconto in prosa delle vicende omeriche, riuscendo a dar voce ai sentimenti e ai retroscena che condussero il fiero Achille, il saggio re Priamo, la regina Ecuba e l’inquieto Patroclo ad agire.

Malouf, romanziere anglo-libanese ormai di stanza a Sidney, racconta di aver scoperto l’Iliade durante un piovoso venerdì pomeriggio, in cui Miss Finley, la sua insegnante, sopperì alla tanto attesa partita di palla tunnel annullata per il maltempo, con le gesta narrate da Omero.

Quel racconto, come svela l’autore nella postfazione al libro, lo toccò al cuore perché era il 1943 e si trovava a Brisbane, la base per la campagna militare americana nel Pacifico: «In città i palazzi erano protetti con i sacchi di sabbia, le finestre coperte da un reticolo adesivo perché non andassero in frantumi in caso di un bombardamento. Avevo collegato all’istante la guerra antica e immaginaria di Miss Finlay con la nostra. Anche noi eravamo rimasti in sospeso nel mezzo di una guerra non finita. Chi poteva sapere, nel 1943, come si sarebbe conclusa?».

Vincitore di numerosi riconoscimenti e finalista al Booker Prize, Malouf decide in questo libro di non stravolgere nulla ma di dar voce ai sentimenti e ai retroscena che Omero lasciava solo intendere o accennava brevemente. L’autore prende spunto dai «5 o 6 versi in cui si narra di come Patroclo divenne compagno di Achille» e lascia libero Achille di divagare in preda al dolore e al senso di colpa che lo attanaglia per la morte di Patroclo, rievocando quella speciale amicizia, nata per grazia del padre Peleo che li legò fortemente e ciò permise sempre ad Achille di leggere nello sguardo assorto di Patroclo, un’inquietudine mai sopita e quanto mai pericolosa prima di tutto per la propria incolumità. E così mentre Achille furoreggiava nella propria baracca, colmo d’ira e punto nell’orgoglio per aver dovuto cedere il suo bottino di guerra, l’indomabile Briseide all’odiato Agamennone, Patroclo, incapace di osservare a braccia conserte i propri fratelli arretrare sino alla spiaggia, decise di indossare l’armatura del Pelide Achille, firmando in tal modo la propria condanna a morte per mano di Ettore.

E ancora, Malouf riprende la storia di come il principino Podarce rischiò la vita sotto le mani brutali dell’invasore evitando la schiavitù solo per un soffio e sebbene divenne il temuto re della città di Troia, «quel lezzo e quel lerciume che sentì addosso quando finì con gli schiavi» non gli si sarebbe scrollato di dosso mai più. Il nome stesso che gli venne affibbiato, Priamo, era un memento continuo di ciò che sarebbe potuta essere la sua vita.

Il fulcro del libro è proprio il viaggio che Priamo, dopo essersi spogliato di vesti ed insegne reali, intraprende per chiedere ad Achille, da padre a padre, la restituzione del corpo di Ettore e durante il tragitto al fianco di Somace – l’unica figura introdotta ex novo da Malouf – l’autore scrive le pagine più belle, quelle in cui dà ampio spazio ai ricordi e ai pensieri dei personaggi senza divagazioni fuorvianti o lesive del ritmo narrativo, mantenendo sempre una prosa fluida e armoniosa. Ma la vera novità rispetto al testo d’Omero è l’introduzione del Caso cui «tutto il mondo sarebbe soggetto», una vera rivoluzione se si pensa che nel mondo ellenico nessuno poteva mettere in dubbio che tutto dipendesse dalla volontà e ancor più frequentemente dal capriccio degli dei. E sarà proprio questa rivelazione che spingerà Priamo alla sua «inedita quanto ardita» missione, scendendo dal trono e mostrando per la prima volta tutta la sua umanità, tutto pur di poter piangere l’amato Ettore. Proprio in questa marcata mortalità fatta di odori, sapori e sensazioni tattili – il sollievo provato da Priamo quando immerge i piedi nel fiume o quello di Somace che ha l’onore prima di placare la fame con «tranci d’agnello tagliati dallo stesso Achille» e successivamente di dormire su un letto di lana d’agnello – si trova l’originalità e la bellezza di questo romanzo che nulla toglie a quel meraviglioso testo che è l’Iliade.

Anzi, ci invita a rileggerlo, a riscoprirne l’umanità di cui sono fatti anche gli eroi.

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