Ji-Yeong Mun, la delizia della perfezione

Ji-Yeong Mun, la delizia della perfezione

giovanni francio

Ji-Yeong Mun, la delizia della perfezione

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lunedì 24 Ottobre 2016 - 22:05

Una giovane straordinaria pianista coreana inaugura come meglio non si poteva la stagione concertistica dell'Accademia Filarmonica con l'Associazione Bellini

Strepitoso concerto di inaugurazione della stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica, che presenta anche quest’anno, in unione con l’Associazione Bellini, un programma di grande interesse e di tutto rispetto, del quale è possibile fruire con un unico abbonamento. Nel solco della tradizione, la stagione si è inaugurata con la performance di un pianista solista, nella fattispecie la straordinaria giovane pianista coreana Ji-Yeong Mun. Vincitrice del primo premio dei concorsi pianistici internazionali di Ginevra e di Bolzano (quest’ultimo intitolato a Ferruccio Busoni), la ventunenne pianista ha deliziato il pubblico interpretando in maniera perfetta compositori appartenenti a epoche del tutto diverse. La sua storia sembra una favola d’altri tempi: di famiglia poverissima, e con i genitori entrambi disabili, ha iniziato a studiare per conto suo, esercitandosi nella chiesa di quartiere, non possedendo, ovviamente, neanche un pianoforte in casa. Ma evidentemente tale era la passione che nessun ostacolo ha potuto fermare l’ascesa di questo straordinario talento, del quale sicuramente sentiremo parlare sempre più spesso. Già l’interpretazione della sonata in si bemolle maggiore K 333 di W.A. Mozart, primo brano eseguito, ha destato immediatamente stupore per la naturalezza con la quale è stata resa la musica del grande compositore austriaco, la cui difficoltà è proprio quella di far apparire semplice e del tutto naturale l’arduo lavoro che si cela dietro ogni suo capolavoro. La sonata appartiene alle sei sonate per piano “difficili” come definite da Mozart stesso, composte a Parigi nel 1778, all’età di ventidue anni. L’incipit del primo movimento, Allegro, è uno di quegli indimenticabili temi mozartiani, di una intimità e tenerezza sconcertanti, che introducono subito in medias res l’ascoltatore. Definita “spiritualissima” dal Paumgartner, anticipa, nel profondo Andante cantabile, con quella sublime contemplazione velata di malinconia, gli splendidi andanti dei concerti per pianoforte e orchestra. Il terzo movimento Allegretto grazioso costituisce il tipico rondeau mozartiano, spensierato e formalmente perfetto. È impressionante come la giovane pianista, che viene da mondi lontanissimi per cultura, anche musicale, dal nostro Occidente, abbia saputo rendere lo spirito mozartiano, con quel tocco nitido, “perlato” ed il netto alternarsi fra il legato e lo staccato, in particolare nel rondeau. Troppo spesso assistiamo, nei movimenti estremi delle sonate del musicista salisburghese, a delle proprie corse virtuosistiche, nell’errato convincimento che il brano classico debba essere suonato senza sentimento, di cui invece è pieno l’universo musicale di Mozart. Il leggendario Claudio Arrau, sorpreso dalla lettura di una critica musicale su un pianista che aveva suonato Mozart “con troppo sentimento”, ebbe ad affermare che “è necessario tutto il sentimento del mondo solo per iniziare a comprendere l’animo di Mozart”. Ebbene Ji-Yeong Mun ci ha fatto capire di avere compreso appieno l’animo mozartiano, e speriamo vivamente che quanto prima le capiti di incidere tutte le sonate del musicista austriaco. A seguire la pianista ha eseguito il Cuaderno n. 2 da Iberia, la composizione più nota del musicista spagnolo Isaac Albeniz. La Mung è apparsa assolutamente a proprio agio nell’alternare i ritmi spagnoli ai tristi lamenti andalusi, contrasti di cui è intrisa l’incantevole composizione, lontanissima per atmosfera dalla precedente sonata mozartiana (siamo agli inizi del ‘900). La seconda parte del concerto è stata dedicata interamente a Robert Schumann. Dopo i cinque brani op. 19 denominati Blumenstuck (da blumen, fiore e stuck, brano), piccoli gioielli, che non presentano particolari problemi esecutivi e interpretativi, certo non fra le cose migliori composte dal musicista tedesco, è stata la volta della Fantasia op. 17, uno dei sommi capolavori di Schumann e dell’intera musica pianistica romantica. Composta nel 1936, durante un periodo di lontananza dalla sua amata Clara, la Fantasia risente interamente di tale stato d’animo. Il termine Fantasia deriva dalla assoluta libertà con la quale si susseguono i tre movimenti che la compongono. Infatti, a differenza della tradizionale sonata, il movimento lento non è collocato al centro della composizione, bensì alla fine, conferendo a tutto il capolavoro un carattere di sovrana altezza, di amaro distacco dalle cose terrene. Il primo movimento costituisce, per sua stessa ammissione, quanto di più appassionato abbia scritto Schumann, con temi ora struggenti e lirici ora violenti e drammatici, mentre il secondo movimento, basato su figurazioni ritmiche che potrebbero definirsi beethoveniane, è travolgente ed impetuoso, di difficile esecuzione dal punto di vista tecnico per via dei ripetuti salti che le mani sono costrette a compiere. Per contrasto, l’ultimo movimento è un mesto e sublime canto che assurge ad altezze supreme, commovente, quasi un addio in musica, uno dei brani più poetici di tutta la letteratura pianistica. Nonostante tre movimenti così diversi e contrastanti tra di loro, la Fantasia risulta incredibilmente unitaria ed equilibrata.

Anche alle prese con Schumann la pianista coreana è apparsa impeccabile, naturale, dando prova soprattutto di notevole maturità, sempre composta, non eccedendo mai in slanci che il brano, nei sui primi due movimenti potrebbe comportare per pianisti di così giovane età. Concentratissima infine nell’adagio finale, regalando un’interpretazione che ha fatto sognare il fortunato pubblico presente, tutto sommato numeroso, nonostante la concomitanza nella serata di vari eventi (altro concerto al Palacultura, visita del Presidente del Consiglio) che avrebbero potuto indurre gli spettatori ad altre scelte. Per fortuna loro così non è stato.

Giovanni Franciò

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