Andrea Molesini conquista il pubblico messinese

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Dalila Tassone

Andrea Molesini conquista il pubblico messinese

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venerdì 25 Novembre 2011 - 10:47

Il vincitore del Premio Campiello, ospite nell'Aula Magna dell'Università di Messina, ha ammaliato la platea dei suoi lettori

L’Università di Messina ha accolto ieri, nell’Aula Magna di Piazza Pugliatti, lo scrittore Andrea Molesini alla presentazione del suo primo romanzo Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio, 2010) con cui ha vinto la quarantanovesima edizione del Premio Campiello.

L’evento, organizzato dalla libreria Mondadori di Messina, ha coinvolto i partecipanti in un dialogo serrato moderato dal giornalista Francesco Musolino con l’intervento di Dario Tomasello, docente di letteratura italiana contemporanea presso il nostro Ateneo.

Non tutti i bastardi sono di Vienna – primo romanzo di Molesini, già traduttore, poeta, scrittore pluripremiato di fiabe per ragazzi e docente di letterature comparate all’Università degli Studi di Padova – è ambientato durante il primo grande conflitto mondiale e lascia emergere, come sottolinea nel suo iniziale intervento Francesco Musolino, storie “poco note” di signorili famiglie che la conquista austriaca ha reso “da padroni a prigionieri” e in cui Caporetto e la campagna veneta nei pressi del Piave sono “lo sfondo in cui si agita la lotta per non smarrirsi”.

Ben presto l’incontro si trasforma in una affascinante lezione in cui Molesini indugia sull’importanza della scrittura come arma di “salvaguardia della lingua madre e patria” con cui si “difende la civiltà dai predoni” (non a caso, le dediche del romanzo vanno a coloro che di tale tutela si sono fatti e si fanno, quotidianamente, portatori: Elvira Sellerio, i librai e i bibliotecari), sul ruolo centrale della musicalità della scrittura stessa “suono che calza il senso e … viceversa”.

La lingua si fa spunto per parlare del romanzo che, già dal titolo (un endecasillabo “irregolare”, precisa Molesini, accentato sulla quinta) e come ha bel delineato il professor Dario Tomasello nel suo intervento, “è tramato di trasfigurazioni liriche e rimandi letterari”, si nutre di ampie citazioni (si veda, ad esempio, l’Amleto shakespeariano), ma anche dei più tipici strumenti retorici classici: la tragedia narrata nei toni della commedia; la struttura circolare del racconto per cui il romanzo si apre con un ossimoro e così si chiude in coda; l’impiego del voi interlocutorio atto a conferire una patina di arcaicità conforme al tempo del racconto; il passaggio, per alcuni nomi, dal femminile allora in uso al maschile (il fronte militare per la fronte, il Piave per la Piave), da non leggersi come anacronismo morfologico, ma come espediente funzionale alla piena adesione del lettore al testo.

Quando il dibattito, su sollecitazione di Francesco Musolino, si sposta sui personaggi, il tratteggio del racconto si fa più chiaro. Crepuscolari per Tomasello che intravede nella risoluta nonna Nancy l’amica di nonna Speranza gozzaniana, fortemente ottocenteschi per Molesini, i personaggi sono il cuore del romanzo: pirandellianamente, quasi, irrompono e conducono per mano l’autore che, alla maniera di Simenon, li studia da vicino, prende virtualmente un caffè con loro per lasciarli, poi, muovere liberamente nella storia (non sorprende, dunque, scoprire che per tracciare la figura di Paolo, voce narrante del romanzo, giovane “iniziato alla violenza”, come sottolinea Musolino, Andrea Molesini abbia fatto un corso al poligono di tiro per provare sulla propria pelle il brivido di tenere una pistola in mano e puntare dritti verso di sé).

Molesini è già a lavoro per il suo secondo romanzo ambientato, riescono a carpire i suoi interlocutori, nel 1944. Ancora, dunque, una grande guerra sullo sfondo.

E, quando risponde risolutamente a Francesco Musolino di non rimpiangere la produzione per ragazzi, pur così fortunata e premiata, perché mancante ormai “dell’impeto, della necessità della scrittura”, Andrea Molesini rimarca il bisogno di ottenere dalla pagina quello che, in fondo, cerchiamo in tutte le cose, il “fascino, l’energia vitale” della parola che “elogia quello che esiste e accade perché esiste e accade”.

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