"Un autunno lungo un giorno" di Silvia Simona Biolcati Rinaldi (seconda parte)

“Un autunno lungo un giorno” di Silvia Simona Biolcati Rinaldi (seconda parte)

Redazione cultura

“Un autunno lungo un giorno” di Silvia Simona Biolcati Rinaldi (seconda parte)

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giovedì 07 Maggio 2015 - 15:26

Un momento da dedicare a se stessi, un angolo dalle luci soffuse, per raccontarsi e raccontare, e ritrovarsi nei racconti degli altri. Inviateci pure i vostri lavori, romanzi o racconti a raccontodellasera@gmail.com: i migliori diventeranno Il Racconto della Sera.

Il suo amico è ad un paio di metri, grida, sono urla di dolore che fanno rabbrividire, che fanno star male, che fanno piangere, ma incoraggiano. Lui c'è, è distrutto, senza le scarpe, un piede attaccato per la pelle, una tibia spezzata fuori dalla carne per almeno una quindicina di centimetri, il resto della gamba arrotolata su se' stessa non ha più forma. La sua spalla è girata sotto al suo corpo, ma grida! Lui indossa ancora il casco, rotto, sporco di asfalto e pieno di sangue, ma il casco ha fatto il suo maledetto dovere! I vecchi entrano ed escono dal bar come una piccola colonia di formiche, si siedono, si alzano, vanno avanti e indietro senza esssere capaci di dire e di fare nulla. Avete chiamato l'ambulanza? Avete spiegato la gravità dei fatti? Uno di loro balbetta qualcosa:"si si, l'abbiamo chiamata ma non arriva! non arriva piu'!". Credo che il senso del tempo sia notevolmente alterato in queste situazioni drammatiche, era evidente che il fatto era successo da pochi minuti ma per quelle persone probabilmente era già trascorsa una vita. Corro comunque in macchina passando in mezzo al gruppetto di ragazzi e li sento litigare tra loro:"sei un coglione! hai visto cosa vuol dire? te lo dicevo io! e se succedeva a te?". Si perchè la paura in questi casi è così grande e la gratitudine nei confronti della vita così tanta, che non si puo' nascondere l'egoismo mentre guardi il tuo amico a pezzi sull'asfalto e pensi immediatamente "menomale che non è successo a me o a mio fratello". Prendo il telefono e compongo il 118. Mi rispondono che ci sono due ambulanze su strada da 10 minuti, mi chiedono notizie, descrivo minuziosamente quello che vedo compresa la giovanissima età delle vittime. Intravedo Maurizio discutere con un uomo per allontanarlo, è l'uomo che li ha investiti quando, con la loro moto non si sono fermati allo stop. Grida sotto shok tra la gente in cerca di testimoni ma viene allontanato malamente e messo a tacere con parole al limite della minaccia. Un'auto si ferma dietro alla mia, inchioda. Scende una donna che corre in direzione dei feriti. E' la mamma del ragazzo senza il casco. Piange, si dispera, cerca in tutti i modi di toccarlo, di abbracciarlo, ma viene allontanata e sorretta da alcuni clienti del bar. Le sirene delle ambulanze in lontananza arrivano prima delle loro luci, che si fanno largo senza problemi tra la fila di auto che nel frattempo si è congelata sulla statale. Scendono medici e volontari, ci mettono qualche secondo in cui sembrava decidessero come intervenire, ma personalmente credo che anche loro avessero avuto qualche istante di shock nel vedere quello spaventoso spettacolo, ma poi agisconosenza più indugi. Stabilizzano il ragazzo con il casco immobilizzandolo lo caricano sull'ambulanza come un servizio di bicchieri di cristallo e il mezzo parte immediatamente. Il suo amico rimane lì, a terra, con quel rantolo ripetitivo e delicato come un soffio d'aria che non si sa da quale parte di lui provenga di preciso. Lo intubano, lo stabilizzano, intanto la madre continua a chiedere perchè non lo portano via? perchè? Io pure mi faccio la stessa domanda, temendo che il ragazzo non sia già più con noi ma finalmente, con non poche difficoltà riescono a caricarlo sull'ambulanza. Mentre i medici concludono questa operazione un'auto bianca sopreggiunge dall'altro lato della strada, e da come inchioda capisco che deve essere qualche parente di uno dei due ragazzi, avevo ragione. Si tratta del padre del ragazzo con il casco. Corre subito verso i portelloni ancora aperti e quando riconosce l'amico di suo figlio e capisce le condizioni in cui quest'ultimo versa, ha un visibile mancamento alle gambe."Dov'è mio figlio?" Maurizio che era ora libero dal suo compito lo prende per le spalle e con un tono stanco lo rassicura "stai tranquillo, tuo figlio è vigile, è messo male, forse dovrà fare diverse operazioni, ma è cosciente, l'hanno già portato in ospedale". A quelle parole l'uomo sembra improvvisamente riaversi, sale in macchina e corre via in direzione dell'ospedale. I vigili arrivano con calma, fanno tutte le foto di rito raccomandandosi con i presenti di non toccare nulla, ma è troppo tardi, qualcuno ha già raccolto le scarpe mettendole una vicino all'altra vicino alla porta del bar, qualcuno ha raccolto e pulito il casco che i medici hanno tolto al ragazzo con la gamba rotta, i pezzi della moto da competizione spaccata letteralmente in due sono in un angolo come parti di un giocattolo da montare…..qualcuno che nessuno ha visto ha già tentato di rimettere tutto in ordine, come a voler cancellare al piu presto tutto quell'orrore, come a voler rimettere tutto come prima, ma purtroppo non c'è piu' niente e nessuno, di quella notte, che tornerà lo stesso di prima. Gli anziani avventori di quel bar torneranno a casa un po' più vecchi, un pò più stanchi, sorpresi forse dal fatto che la vita abbia potuto regalare loro ancora un pò di sofferenza, ancora un pò di orrore; I sogni di quel ragazzo sono scomparsi in un momento, chissà che cosa avrebbe fatto il giorno dopo, chissà quali progetti, per la sua domenica, forse sua madre si sarebbe accontentata di raccogliere da quella maledetta strada solo un pò dei suoi ultimi sogni, ma il tempo non c'è stato, perchè l'autunno cominciò quel giorno e prima che fosse notte era già finito, il buco nero ha inghiottito tutto, quel giorno, la luce, la musica, il vento, il profumo dei fiori, i sorrisi di bambini, le urla di giochi felici, i ricordi di scuola, la paura del futuro, i giorni che sarebbero arrivati, la serenità, il buco nero non ha un coperchio ed anche l'autunno quell'anno durò soltanto un giorno, perchè tutti gli altri, senza alcun preavviso, ci caddero dentro.

Un commento

  1. silvia simona biolcati rinaldi 29 Febbraio 2024 20:18

    Grazie infinite per la pubblicazione di questo mio scritto, tratto da una storia realmente accaduta. Purtroppo Davide, il ragazzino coinvolto nell’incidente, è morto esattamente un anno dopo un seguito allo stato di coma prolungato provocato da quell’incidente… Mi tornerà in mente ogni inizio di autunno per il resto della vita

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