“Istante, sala prove” di Mariangela Campochiaro

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Redazione cultura

“Istante, sala prove” di Mariangela Campochiaro

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mercoledì 18 Marzo 2015 - 17:34

Un momento da dedicare a se stessi, un angolo dalle luci soffuse, per raccontarsi e raccontare, e ritrovarsi nei racconti degli altri. Inviateci pure i vostri lavori, romanzi o racconti a raccontodellasera@gmail.com: i migliori diventeranno Il Racconto della Sera.

Istante, sala prove

… e 5, 6, 7, 8. Così si dava il via ad ogni passo, ad ogni armonioso movimento, all’esibizione dell’aggraziata tecnica che col passare degli anni si integrava al corpo, un corpo pronto a ricevere gli ordini da eseguire.

E ancora: 5, 6, 7, 8. Si partiva, si andava oltre lo spazio visivo e visibile e il corpo era lì, ben esposto e fluido su un conteggio stabilito da musicalità sempre diverse e coinvolgenti. Ma la mente… con la mente ci si può permettere di tutto, dal sentirsi ben piantati in una sala prove ad armonizzarsi col tutto intorno al sentirsi sradicati in contesti nobili, in sale prove di eccellenti teatri o perfino lì sul proscenio di un teatro che non aspetta altro che essere animato da appassionati spettatori e appassionanti artisti. E quell’odore si riesce a sentire, ché la volta in cui il parquet di un teatro, intriso di pece greca, ti entra nelle narici avverti che quella è l’aria che si respira insieme alla percezione inequivocabile di non desiderare di essere da nessun’altra parte. Si è portati a pensare che quella sia l’armonia raggiunta, l’equilibrio rintracciato in un preciso attimo in cui si sente, si percepisce, se ne avverte la certezza, di non desiderare di essere da nessun’altra parte.

Si è portati a pensare che siano pochi questi momenti di solitaria armonia, si può persino convincersi che l’insoddisfazione che regna nell’animo di chi ricerca appagamento non sfumi, lasciando una persistente sensazione di inadeguatezza, di trovarsi nel posto sbagliato, con la mente, col corpo, o con entrambi. Invece, invece, succede. Ed è quando succede che il vigore dell’essere presenti a se stessi si palesa e definisce un momento, quel momento, in cui è quello il luogo, e da un’altra parte ci sta tutto il resto. Come quando si avverte la freschezza dell’acqua sulle mani stanche, o quando si addenta quel cioccolato che tarda a sciogliersi, o ancora quando si accoglie un affetto tra le proprie braccia, o quando si custodisce uno sguardo segreto che ti aggancia e si imprime nella memoria, o quando lì tra la gente in attesa si pronuncia “Sì, lo voglio”. Gesti, movimenti, ampi o impercettibili, che rendono l’immortalità di un’emozione restituendo la certezza che nulla sarà come prima. Perché quando sentirai le mani stanche ricercherai quella fresca acqua a rinvigorirle, e quando oserai concederti un vizio o una coccola in solitudine la tua bocca si organizzerà per accogliere il cioccolato saporito e morbido, e quando ti si presenterà un nuovo affetto è da quella prima sensazione che nascerà il desiderio di concedersi a nuovi abbracci, nella segretezza degli sguardi è quel gancio che sentirai lucidarsi e affrancarsi e da quel “Sì” ripartirai e farai scudo quando il dubbio, le difficoltà, lo sconforto, si insinueranno facendo spogliare la vacillante certezza di non riuscire a compiere un altro passo mano nella mano. La fissi, quella sensazione, e si radica. E come una risorsa personale e intima ne ricerchi la continuità e la custodisci attingendo col pensiero allo slancio che ti permette di compiere. Ti accompagna, ti segue, è in te ed è la tua risorsa.

E quell’odore, non è un odore che stuzzica e sollecita tutti gli olfatti, non se ne rintraccia né una universale condivisione né una comune percezione di cosa voglia dire trovarsi tra il parquet e la pece greca con un corpo caldo e pronto e una mente che stenta a mantenere l’opportuna concentrazione nell’attimo prima che ci si esponga, che ci si esibisca, che ci si offra con la cautela e la smania di chi non vorrebbe essere da nessun’altra.

Il corpo lì, armonioso e forte, e la mente lo segue o seguita a raggiungere l’esatto luogo dell’immaginazione. Secoli di riflessioni, tesi, teorie, non sono riusciti a spiegare com’è che siamo capaci di compiere questi voli genuini e conservare la credibilità di chi disposto a dichiarare “Sono qui”, pur mostrando la caratteristica espressione di chi si perde nei meandri della propria mente.

E questa è una grande risorsa, per ciascuno. Ci ripara dalla noia, ci protegge da luoghi molesti rendendo quel fastidio accettabile, ci riporta avanti o indietro nel tempo o ci offre l’opportunità di creare nicchie, rifugi, che come un brodo caldo ci rasserenino l’animo. Possiamo entrare e uscire dalle nostre nicchie con lo stesso procedimento che compiamo con un ago in mano, possiamo cucire le esperienze come un patchwork apparentemente casuale ma che ai nostri occhi appare in tutta la sua coerenza e armoniosità, perché è nella nostra intimità che ne abbiamo creato i legami, le relazioni, le affinità. Non si tratta solo dei ricordi, di fotografie interiori, di momenti vissuti che si sono impressi come immagini mentali. E’ una astrazione interiore, con una sua storia reale o con una fantasiosa e personale coerenza.

“A cosa stai pensando?”, chiese con delicata insistenza, “Scusami, ci sono, sono qui, procediamo”. Perché occorre rintracciare una plausibile giustificazione o, più semplicemente, scusarsi, quando ci si sente invitati a ricongiungersi con la totalità di se stessi. Uno sguardo al lucido specchio che riflette un’immagine non più giovane, un respiro che riempie quegli stessi polmoni che diverso tempo prima compivano apnee da record e quella frase, quel conteggio, che si ripete quando l’insoddisfazione della prova persiste, quando occorre indirizzare e seguire i corpi che attendono quel segnale per poter compiere i gesti in memoria, quando i danzatori sono pronti, mente e corpo, per poter danzare “… e 5, 6, 7, 8”.

Mariangela Campochiaro

Ho imparato a parlare prestissimo e non ho più smesso. Sono sempre stata molto curiosa tanto da appassionarmi ai fenomeni che mi circondano con una naturale inclinazione, con la metodologia analitica di chi spacca il capello in quattro. Coccolo e preservo la mia passione per l’arte che mi accompagna, in una età non più giovanissima, a riprendere gli studi di danza e recitazione interrotti anni prima. Sono dottore di ricerca in Scienze cognitive e osservo il comportamento altrui come fossi in un laboratorio a cielo aperto. Amo i libri, il loro odore, la loro consistenza, ed entrano nella quotidianità della mia casa come preziosi coinquilini. Sono mamma, felicemente dedicata ai miei due splendidi maschietti.

Prossimo racconto (22 marzo): “Equivoci e cuori” di Fabrizio Palmieri

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