“La comune”, il laboratorio della condivisione

“La comune”, il laboratorio della condivisione

Tosi Siragusa

“La comune”, il laboratorio della condivisione

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martedì 12 Aprile 2016 - 22:07

Sulla rotta della decima musa: la comune non contiene in sè le risposte e non è di per sè rivoluzionaria. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Una coppia danese, in crisi, con prole, negli anni '70 affronta un progetto di vita in comune con degli amici: si tratta di Erik e Anna, il primo, professore di architettura, la seconda, conduttrice del telegiornale serale, e della loro figlia Freja, adolescente.

L'opera cinematografica è ancora, come le pregresse, pur non volendo, in certo senso emblematica di Dogma 95, movimento del quale l’allora giovane regista, Thomas Vinterberg, è stato cofondatore, unitamente a Lars Von Trier, ed è peraltro un film autobiografico, atteso che il cineasta ha realmente vissuto dai sette ai diciannove anni una esperienza di tal fatta, voluta dal padre, critico cinematografico, in una sorta di famiglia allargata. Certo è che il movimento di appartenenza, ormai divenuto una moda convenzionale, ma che ha peraltro ispirato molti artisti, ha lasciato in eredità a Vinterberg la ricerca di purezza e verità, contenuta in quel manifesto – decalogo, scritto nel '95, secondo cui gli aderenti avrebbero dovuto usare solo luce naturale, nessun cavalletto e location vere, per giungere a far cinema senza artifizi, rispettando le unità aristoteliche di tempo, spazio e azione. Il pretesto per quell'esperienza comunitaria nel film, è aver ereditato una enorme casa, che Anna, per dividere le spese, suggerisce di condividere con un variegato gruppo di amici, cercando anche di dare una svolta al proprio matrimonio. Non tutti sono rispettosi delle regole, ma tra pranzi e cene, la vita sempre andare. Quella soluzione, di per sè straordinaria, non vale, però, a far ritrovare ai due intellettuali l'intimità di coppia, anzi, e l'intrusione di un elemento esterno, una studentessa, Emma, allieva di Erik, rompe i fragili equilibri, entrando in scena quale personaggio di un film francese;non sarà solo la coppia ad andare in crisi, ma i legami fra amici e l’intero progetto. È un lungometraggio sul tempo che, con il suo trascorrere, fa finire l'amore e fa morire le persone, facendo perdere quanto era prima assodato. In una comune poi finisce con il non essere consentito nascondere qualcosa, in una collettività cessa d'esserci la finzione e ciascuno è nudo di fronte ad ogni altro, non può scegliere cosa mostrare. Certo, "la felicità", come canta la colonna sonora del cantautore danese, Benny Holst, "è un fiore che appassisce in fretta", portando con sè fallimenti inevitabili, dovuti alle differenze innegabili di genere ed al tempo che travolge ogni rapporto. Non c'è grande amarcord ideologico, nè l'opera è una caricatura delle atmosfere della sinistra che fu, ci sono, invece, molte birre e molte sigarette, e assemblee di gestione, ed una grande nostalgia per gente non spaventata dai propri simili e tentata dalle avventure collettive. Non ci sono furori stilistici in questo ritorno alle adolescenziali memorie, con la camera a mano, perfettamente riconoscibile, gli interni anni '70, tornati oggi di moda e un finale un pò ibseniano e canzonettistico.

I protagonisti Trine Dyrholm (Orso d'Argento a Berlino per la migliore interpretazione) e Ulrich Thomsen (presenti anche in Festen e nelle due versioni per il teatro, che Vinterberg ha adattato con Tobias Lindholm) sono superbi, unitamente ad ogni altro interprete di questo prodotto corale. In conclusione, il filmaker di "Festen" (radiografia feroce di una ricca famiglia borghese, riunita per una festa, dilaniata da accuse e violenza al massacro) e de "Il sospetto" (sulla dolente figura di un insegnante d'asilo, ingiustamente accusato di pedofilia, in una piccola e inquietante comunità danese) offre un'altra ottima prova nella rappresentazione di un’epoca di condivisioni e utopie, ormai andata. Il regista continua a raccontare uomini e donne danneggiate, trovando una ragione plausibile ai loro lati oscuri. Anche qui, condividendo una casa, si è partecipi della quotidianità, perdendo ogni difesa, poichè si assorbe tutto insieme agli altri. Il lungometraggio non è stato ancora proiettato nelle sale messinesi.

Tosi Siragusa

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