L’Italia che non ci piace

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L’Italia che non ci piace

giovedì 09 Aprile 2009 - 10:25

Cittadini di serie A e di serie C

Nel nostro Paese vi sono opportunità vietate per alcuni e lecite per altri.

Renderle eguali per tutti avrebbe invece un formidabile significato etico, uno stimolo a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità nazionale.

Sentimento debole, non solo per ragioni storiche ma anche – e soprattutto – a causa del distacco che la gente comune, il popolo, avverte sempre più intensamente nei confronti di chi è al potere o là vicino.

Potremmo dare per scontato che tale divario esista e che, da parte dei deboli, sia così ampio da essere considerato profondamente iniquo, fino ad offendere i più elementari principi di uguaglianza; ma siamo anche certi che c’è chi lo considera una quisquilia rispetto ai ben più importanti problemi che affliggono il Paese.

A chi ragiona (legittimamente) in modo diverso dal nostro desideriamo indicare un paio di esempi che appaiono – ma sicuramente sbagliamo – inaccettabili privilegi o inutili vessazioni, a seconda dal lato dal quale si guardano.

Il primo riguarda l’incentivo offerto ai magistrati che accetteranno di trasferirsi in Procure considerate sedi disagiate.

Quali sono queste sedi disagiate? Palermo, Trapani, Catania, Brescia e molte altre, soprattutto del Sud.

Dalla stampa nazionale apprendiamo che si è fermamente opposta – e con successo – alla obbligatorietà del trasferimento l’Associazione Nazionale Magistrati: Il presidente Luca Palamara e il segretario Giuseppe Cascini firmano una nota durissima, in cui si parla di -un’iniziativa molto grave sul piano del metodo e del merito, in aperta violazione del principio costituzionale di inamovibilità dei magistrati, con effetti disastrosi sulla vita delle persone e sull’organizzazione degli uffici-.

Col massimo rispetto della separazione dei poteri e dell’indipendenza della Magistratura, non possiamo fare a meno di chiederci sommessamente perché altri dipendenti pubblici – quali, ad esempio, gli insegnanti. Non svolgono anch’essi un ruolo fondamentale e delicato? – possono essere sbattuti ogni anno in sedi ben più disagiate di Palermo o Brescia.

Con stipendi che sono una frazione di quelli dei magistrati e senza alcun incentivo. Evidentemente senza subire quegli effetti disastrosi sulla vita delle persone e sull’organizzazione degli uffici che comprometterebbero l’attività dei magistrati.

Crediamo che centinaia di insegnanti andrebbero ben volentieri a occupare le cattedre di Cesarò, Mistretta o Caronia, se potessero avere 2.500 euro di incentivo mensile. Ma forse sbagliamo e pecchiamo di demagogia.

In conclusione, resteranno senza titolare – perché rifiutati dai concorrenti – 7 posti alle Procure di Caltanissetta, 6 a Trapani, 4 a Gela e Ragusa, 3 a Enna, Marsala, Termini Imerese e tanti altri.

Il secondo esempio riguarda i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, cioè coloro i cui stipendi vengono pagati da Stato, Regioni, Province, Comuni, etc.

Una legge del 1957, confermata anche nel 2001, vieta loro di svolgere un secondo lavoro. Comprendiamo perfettamente che il dipendente pubblico svolge una funzione delicata e che potrebbero nascere conflitti tra il suo lavoro ed eventuali seconde occupazioni; notiamo però con amarezza che ciò non vale per tutti.

Due casi emblematici: l’on. Giulia Bongiorno, deputato – e come tale, pagata con denaro pubblico -, Presidente della Commissione Giustizia della Camera, continua a esercitare – nel tempo libero, che riteniamo piuttosto limitato – la professione di avvocato penalista. Tra i suoi clienti (è molto brava) Raffaele Sollecito, Piero Angela, i calciatori Totti e Bettarini, Vittorio Emanuele di Savoia e Gianfranco Fini.

Non possiamo che congratularci per la capacità di Giulia di trovare il tempo per fare bene tutto. Capacità che evidentemente manca alla sig.ra Giovanna, dattilografa al Comune, alla quale è fatto divieto assoluto – pena il licenziamento – di lavorare, di sabato e domenica, che so, in un call center Vodaphone per arrotondare uno stipendio di 1.200 euro al mese.

Ultimo esempio di un’Italia che non ci piace, quello dei sindaci-deputati siciliani.

Come la Bongiorno riesce a sommare l’arduo mestiere di deputato, di presidente della Commissione Giustizia e di avvocato in cause molto complesse, così vi sono sindaci, presidenti Provincia regionale e assessori siciliani che – evidentemente non assorbiti al 100% da tale impegno – sono anche deputati regionali.

Ad essere buoni, uno dei due incarichi non sarà svolto col massimo impegno possibile.

A meno che non siano dotati del dono dell’ubiquità, a differenza dei loro colleghi “italiani”, ai quali questa facoltà è preclusa.

Mentre la sig.ra Giovanna non può aspirare a un secondo stipendio come cubista nei night club di Taormina.

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