Architetti e progettisti dicono la loro sul piano della società di trasformazione urbana
In quanto architetti e progettisti strutturalmente orientati alle trasformazioni urbane, riteniamo che la recente presentazione dell’ultima versione del Progetto della STU “Il Tirone” debba stimolare alcune valutazioni e riflessioni che – superando i consueti e autoreferenziali ambiti disciplinari possano invitare a una più ampia discussione colleghi, cittadini, amministratori, operatori del mondo della cultura, delle professioni, dell’impresa e dell’università. “Programmi urbani complessi”, “concertazione”, “progetti urbani negoziati”, “progettazioni integrate innovative”, “riqualificazioni urbane sostenibili” e “visioni strategiche” sono state, negli ultimi anni, le parole chiave della trasformazione della nostra Città: frammenti di progettazione urbana che non rimandano ad alcuna figura di città intellegibile e/o a differenziali progettuali significativi. Tali termini, propri di strumentazioni e pratiche derivate dalle nuove procedure, sembrano, piuttosto, allontanare qualsiasi riflessione sui progetti e sugli esiti prodotti.
Nella sua quasi totalità, la città tace, gli esperti nicchiano, gli operatori sociali e culturali tentennano o balbettano e, se alcuni attori appaiono dubbiosi o critici sono liquidati e messi in angolo con l’accusa di essere “conservatori”, “militanti della fazione del No” o “promotori della stagnazione economica”. Così accade che progetti di trasformazione urbana di notevole consistenza promossi per la positività del loro “supposto” portato procedurale e finanziario – debbano essere digeriti in silenzio e siano esentati da qualsiasi possibile critica riguardante eventuali errori metodologici, l’insostenibilità delle scelte o, infine, le conseguenze di queste ultime sull’immagine e la sostanza urbana. Non esente da tale ormai consolidata prassi, il progetto elaborato dalla STU, spaccia le enormi densificazioni di pesi e carichi urbanistici previsti al Tirone per necessità pubbliche e presenta come “ineluttabile” il deposito di consistenti cubature “pubbliche e private”, sulla base di una presunta “convenienza” per l’intera comunità. Il sempre presunto, “vantaggio pubblico” sembra automaticamente dover annullare qualsiasi tipo di riflessione sui modi del progetto e sull’opportunità e la correttezza di alcune scelte piuttosto che altre ma – pur non essendo “conservatori”, “militanti della fazione del No” o “promotori della stagnazione economica” – riteniamo che alcune questioni debbano essere affrontante, per cui ci sforzeremo di riassumerle per punti.
IL PROGETTO E IL SISTEMA INSEDIATIVO
Il progetto agisce sulla delicata e fragile morfologia e sui brandelli della città antica con un approccio estremamente disinvolto, sia ignorando l’esistente nel valore dato dal rapporto minuto tra sistema insediativo e morfologia collinare, sia assegnando al solo elemento edilizio il ruolo del recupero e del restauro. E’ condivisibile una concezione di restauro urbano legata al valore relativo del tassello edilizio piuttosto che al sistema e alle modalità di insediamento come guida per i nuovi interventi?
IL PROGETTO URBANO
Il progetto accumula su un’esigua parte di città tasselli e inserti volumetrici privi a nostro giudizio di una visione d’insieme che costruisca le ragioni delle scelte e la compatibilità delle ipotesi con qualsiasi tipo d’identità, sia essa antica, post terremoto o contemporanea. Né, quantomeno, traspare in esso la proposizione e ricerca di una nuova identità dei luoghi come possibile alternativa alle precedenti. E’ condivisibile una concezione del progetto urbano in cui l’immissione di tipi edilizi, contenitori direzionali, edifici abitativi tecnici e funzionali procede per elementi isolati e a volte scarsamente compatibili, piuttosto che sulla base di un disegno che contenga e dichiari le linee di indirizzo generali?
FORMA E FUNZIONE
Il progetto propone un’ipotesi di riqualificazione e rigenerazione urbana attuata attraverso l’inserimento, in un tessuto incerto e stratificato, di grandi volumetrie a cavallo tra i due bastioni delle mura cinquecentesche. Le funzioni proposte sono quelle che appartengono all’immaginario urbano contemporaneo indipendentemente dall’opportunità della scelta del sito e dal reale fabbisogno. A tutto ciò si aggiunge una volontà di “attrazione direzionale” superiore a qualsiasi ragionamento di buon senso. Superfluo, viste le premesse, considerare che le dimensioni dell’area di progetto probabilmente non consentono l’inserimento di tali e tante funzioni, per cui: la realizzazione del Parcheggio Multipiano richiederà consistenti sbancamenti del versante sottostante una collina sensibile dal punto di vista geologico; la copertura dello stesso diverrà il sedime di una Scuola e di una Palestra non più necessarie alle strategie scolastiche urbane; il Centro Commerciale si porterà in copertura una superfetazione di Edilizia Sperimentale Pubblica e, infine, la Torre per Uffici Pubblici si affaccerà su una strada con debolissime caratteristiche urbane e senza uscita.
Inutile dire, infine, che il progetto, non affronta il problema del rapporto tra forma e funzione per cui, da un lato, le tipologie si mostrano indifferenti al tema insediativo, dall’altro le funzioni si accavallano per addizioni difficilmente compatibili. Il risultato comunicativo del progetto affida alle renderizazzioni astratte, mirate alla dissimulazioni delle effettive consistenze volumetriche, la funzione di affabulazione. E’ condivisibile una concezione di città in cui al concentramento delle funzioni è assegnato il valore di modernità e attrattiva?
DENSITA’ E DIRADAMENTO
L’ambito del Tirone si trova racchiuso tra l’incombente densità edilizia accumulatasi sulla collina di Montepiselli e lo sfumare della scacchiera degli isolati del piano Borzì. Alla densità già presente il progetto non risponde con la pausa edificatoria e il diradamento strategico attraverso la progettazione di spazi aperti di relazione e connessione ma somma ulteriori densità e intensità urbane, punti di accumulo in un sistema urbano sovraeccitato. E’ condivisibile una concezione di città che non riconosce allo spazio pubblico il valore di pausa e, al tempo stesso, di coagulante urbano?
INFRASTRUTTURAZIONE URBANA
Nel progetto l’introduzione di pesi e carichi urbanistici consistenti non appare sostenuta da un sistema infrastrutturale adeguato. Le stesse innovazioni stradali, riguardanti la riapertura della galleria Santa Marta e la riformulazione di semplici sensi di marcia risultano non sufficienti a fronte della pedonalizzazione di Piazza del Popolo e del carico di flussi viari che dovrebbe determinarsi sia a seguito delle presunte e nuove caratteristiche attrattive del sito, sia dal permanere delle condizioni pregresse di uso viario della città.Tutti i nuovi elementi di densità non sono sostenuti da viabilità urbana adeguata e da vie di fuga o emergenziali. E’ condivisibile un progetto urbano che non trae origine e supporto da un sistema di connessioni infrastrutturali in grado di sostenerlo?
REGOLA E PROGETTO
I forti pesi urbanistici, le congestioni di funzioni, l’incremento evidente di cubature, la mancanza di viabilità di sostegno sono state possibili nel progetto attraverso la modalità di deroga dal PRG, ciascuna delle varianti al Prg inserite nel progetto e legittimamente approvata dagli organi preposti è scaturita da un approccio culturale e operativo che assume la Deroga ai documenti urbanistici come
la “normale regola” di costruzione della città. In un dibattito attuale, in cui gli esiti visibili della “città sfigurata” sono imputati alle 800 varianti al Prg, è quantomeno singolare che la stessa amministrazione comunale divenuta socia di minoranza di una società immobiliare si assuma la responsabilità di appesantire e congestionare oltre che rendere insicura per mancanza di viabilità di supporto e di vie di fuga una parte di città, cambiando le regole e i pesi che originariamente lo stesso ente aveva stabilito attraverso lo strumento urbanistico. E’ condivisibile un progetto urbano che congestiona, appesantisce, incrementa le cubature utilizzando come strumento urbanistico la sistematica deroga alla regola?
SCALA E DIMENSIONE
Ogni città, in quanto organismo vitale e modificabile, ha grandi possibilità di rigenerarsi e di trasformarsi, ma nel momento in cui le modificazioni passano attraverso la discontinuità dei suoi rapporti di scala e di dimensione non possono essere casuali. La Misura e la Scala degli interventi si collocano nello spazio dell’esistente generando inedite relazioni, magnetismi e figurazioni: se Filippo Brunelleschi costruì la nuova misura di Firenze innalzando la cupola, lo fece in maniera rivoluzionaria e non per un caso; se Giò Ponti innalzò il grattacielo Pirelli nella misura urbana Milanese fu per un’accentuazione architettonica del sistema direzionale e non per un caso. Qui il progetto, invece, ignorando le aree di sedime residuali su cui si posa e il sistema denso dello sfondo collinare, sembra affidare al caso la costruzione della prima torre multipiano di Messina. E’ condivisibile un progetto urbano e architettonico in cui un elemento fondamentale della costruzione della città è generato per filiazione dallo spostamento di cubature non realizzabili in altro luogo o come addizione di piani sottratti ad altri tasselli dell’intervento?
SKYLINE URBANO
Dalle osservazioni su scala e dimensione urbana discende che la modifica irreversibile dello skyline di una città è un’operazione di una tale forza da richiedere delle motivazioni fortemente sostanziate. Nonostante le alterazioni prodotte dai casuali inserti degli anni ‘60 e ‘70, le regole elementari che avevano governato la ricostruzione del centro della città di Messina – e che riconoscevano nell’isolato e nel governo delle altezze una chiara dimensione urbana – sono sopravvissute fino ad oggi. La loro permanenza ha fatto sì che l’immagine della città si costruisse attraverso un faticoso ma riconoscibile rimando tra i suoi punti notevoli, le sue cupole, i suoi campanili e i sistemi di costruzione sulle sommità delle colline. E’ condivisibile un progetto urbano che propone di cambiare lo skyline della città, e quindi la sua identità, senza un accurato studio tra elementi di controllo e bilanciamento dei pesi?
MEMORIE ARCHEOLOGICHE
La collina sopra viale Italia e l’ambito specifico del Tirone contengono, a parere della Soprintendenza, probabili memorie archeologiche, tanto che i progettisti sono stati sollecitati a prevedere la spesa di prospezioni archeologiche durante le fasi esecutive. Se è vero che le memorie della città non devono bloccare il futuro, è anche vero che il progetto contemporaneo in ambito storico dovrebbe contenere in sé le potenzialità di flessibilità e adattamento alle “sorprese” della terra. Il progetto, non solo oppone alla flessibilità una certa perentorietà di forme e di esecuzione costruttiva, ma localizza, inoltre, le attrezzature a totale costo pubblico – quali la scuola e il parcheggio – in un ambito suscettibile di ritrovamenti archeologici. E’ condivisibile un progetto che si presenta come risolutore dell’interesse pubblico ma che, di fatto, ipoteca la realizzabilità della sua parte pubblica e condiziona economicamente la conciliazione degli interessi di conservazione e innovazione?
L’approccio contemporaneo alla trasformazione della città presenta, quasi sempre, forti contraddizioni ma si articola nello sforzo di ricomporre gli interessi legittimi degli attori urbani. Secondo la nostra idea di partecipazione, ogni attore recita una parte: quella che gli è propria, e che non sempre coincide unicamente con gli interessi economici.
Luciano Marabello
Architetto e dottore di ricerca in progettazione architettonica e urbana
Documento condiviso e sottoscritto da: (arch. Adriana Arena, architetto e dottore di ricerca Ingegneria Edile; Nicola Arico’, architetto e professore associato di Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica; Franco Cardullo, architetto e Professore ordinario di Progettazione Architettonica; Valentina Caruso, architetto; Pino De Domenico, architetto; Francesca Faro, architetto e Dottore di ricerca in Progettazione Architettonica ed urbana; Michela De Domenico, architetto e dottoranda in Ingegneria Edile: progetto del recupero; Laura Di Leo, architetto e ricercatore di Urbanistica; Adriana Galbo, architetto e dottore di ricerca in progettazione architettonica; Marco Lo Curzio, architetto e docente accademia; Elena La Spada, architetto e professore associato di Urbanistica; Dario La Fauci architetto e consigliere dell’Ordine degli Architetti; Francesca Moraci, architetto e Professore Ordinario di Progettazione Urbanistica; Vito Munafò, architetto; Rita Simone, architetto e Professore Associato di Progettazione Architettonica; Annunziata Maria Oteri, architetto, ricercatore di Restauro; Gaetano Scarcella, architetto e docente a contratto Progettazione Architettonica ed Urbana; Giuppi Sindoni, architetto; Fabio Todesco, architetto e ricercatore di restauro; Michele Urbano, architetto e docente a contratto di Fondamenti di Tecniche Urbanistiche; Clara Stella Vicari Aversa, architetto e dottore di ricerca europeo in Progettazione architettonica.
