100 anni di “American Rhapsody” con il piano di Roberto Cappello

100 anni di “American Rhapsody” con il piano di Roberto Cappello

giovanni francio

100 anni di “American Rhapsody” con il piano di Roberto Cappello

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martedì 07 Maggio 2024 - 07:00

Un'eccellente celebrazione del famoso brano di Gershwin al Palacultuira per la stagione dell'Accademia Filarmonica

MESSINA – Sabato scorso al Palacultura, per la stagione musicale dell’Accademia Filarmonica, un gradito ritorno di un pianista spesso ospite presso le sale da concerto messinesi: Roberto Cappello.
Il pianista ha proposto un programma, dedicato alla musica di fine ‘800 – inizio ‘900, intitolato “American Rhapsody”, per celebrare il 100° anniversario della “Rapsodia in Blu” di George Gershwin, originariamente chiamata appunto “American Rhapsody”.

Il celebre pianista, ricordiamo già vincitore del Premio “Busoni” di Bolzano, ha iniziato la sua performance, condotta senza intervallo e interamente a memoria, con l’esecuzione della “Suite Española” di Isaac Albeniz.

La Suite española costituisce sicuramente il brano più celebre ed eseguito fra tutte le composizioni pianistiche di Albeniz, e forse dell’intero repertorio pianistico classico spagnolo.

Si tratta di una serie di brani, originariamente quattro – Granada, Cataluña, Sevilla e Cuba – composti nel 1886 e successivamente riuniti in onore della regina spagna, Maria Cristina d’Asburgo-Teschen. A questi brani l’editore Hofmeister ne aggiunse poi altri quattro, dopo la morte del compositore, senza un criterio specifico: Cádiz; Asturias; Aragón e Castilla.

I brani si ispirano per sommi capi alle omonime regioni della Spagna.

Sono composizioni piacevoli all’ascolto, che evocano ritmi e atmosfere tipicamente spagnole. “Asturias” è certamente il brano più famoso, il più eseguito, anche singolarmente, e anche con altri strumenti, per es. con la chitarra.

Molto intensa l’interpretazione di Cappello, dotato tra l’altro di grande senso del ritmo, forse qualche incertezza proprio durante l’esecuzione di Asturias, probabilmente dovuta alla scelta di tempo a mio avviso eccessivamente rapida.

È stata poi la volta di “La Valse” di Maurice Ravel.

Il musicista compose questo straordinario capolavoro per pianoforte, tra il 1919 e il 1920, per poi trascriverlo nella più nota versione per orchestra. Intendimento del musicista era quello di rappresentarlo come danza di scena, ma Daighilev, al quale venne proposto il progetto, pur considerandolo un capolavoro, non lo ritenne adatto ad un balletto. Ravel voleva celebrare la stagione d’oro del valzer viennese, un vero e proprio omaggio a Johann Strauss, e così descrisse la sua composizione, nell’intento di vederla rappresentata in scena: “…alcune nuvole turbinose lasciano intravvedere attraverso qualche schiarita coppie di danzatori di valzer. Esse si dipanano a poco a poco: si distingue un’immensa sala, popolata da una folla vorticosa. La scena si rischiara progressivamente. La luce dei lampadari prorompe sul fortissimo”. È un brano intriso di drammaticità, a volte sinistro e angosciante, ove le sognanti melodie del valzer vengono continuamente frantumate in accordi dissonanti, fino al precipizio finale. Il musicista francese crea un’atmosfera che, come ha osservato Jankelevitch, “rispecchia la catastrofe che sconvolse il mondo ed aprì un baratro tra la vecchia e la nuova Europa”.

Di difficoltà inaudita, il brano è stato eseguito in maniera entusiasmante da Cappello, che ha tenuto sempre ben presente il ritmo di valzer, anche nei momenti più ostici del brano, ed ha strappato le ovazioni da parte del numeroso pubblico presente.

Il concerto si è concluso con il brano al quale è stato dedicato: la celebre “Rapsodia in Blu” di George Gershwin, autore del quale Cappello ha confermato di essere un vero specialista.

La musica di Gershwin, probabilmente, come ha scritto il Manzoni, “Il massimo prodotto che la cultura musicale degli Stati Uniti abbia dato fino ad oggi”, risulta sempre suggestiva e amabile all’ascolto, per la sua prodigiosa capacità di fondere, in un connubio naturale e sorprendente, la musica colta europea e la musica ritmica (jazz, blues) dei neri d’America.

In realtà altri musicisti prima di lui si erano avventurati in ambiti jazzistici nella loro produzione musicale: si pensi ad es. all’”Ebony Concerto” di Igor Stravinsky; forse il primo a sperimentare in tal senso fu però Claude Debussy, con due deliziosi brani scritti per pianoforte: “Golliwogg’s cake-walk” dai “Children’s corner” e “The little nigar”. Si trattava però di esperimenti isolati, mentre in Gershwin il connubio classic/jazz diventa elemento connotante di tutta la sua poetica musicale.

La “Rapsodia in Blu”, certamente il capolavoro più famoso del musicista americano, composta per pianoforte e orchestra a soli 26 anni, è il perfetto connubio fra la musica nera americana e quella colta europea. Un brano dal carattere ora energico e brillante, ora sognante, comunque amatissimo e irresistibile. La mancanza dell’orchestra non ha nuociuto alla resa di questo brano, la cui partitura originale riserva una notevole parte al pianoforte.

Il pianista ha eseguito il brano con grande vigore, ritmo e precisione, palesando una consumata perizia tecnica.

Due apprezzati bis concessi da Cappello: “Embraceable You” di Gershwin e “Momento musicale n. 6 op. 16” di Rachmaninov, hanno concluso lo splendido concerto.

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