PalaNebiolo, un'occasione che Messina può cogliere o un boomerang per il sindaco pacifista?

PalaNebiolo, un’occasione che Messina può cogliere o un boomerang per il sindaco pacifista?

Alessandra Serio

PalaNebiolo, un’occasione che Messina può cogliere o un boomerang per il sindaco pacifista?

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giovedì 10 Ottobre 2013 - 17:48

A 24 ore dall'arrivo dei cinquantadue profughi africani trasferiti da Pozzallo a Messina, ancora nessuna certezza sul loro destino e neppure sul loro status. Blindato il PalaNebiolo, con le Forze dell'Ordine a presidiare una zona che teoricamente non avrebbe bisogno di essere presidiata. Perché lo spostamento dei profughi è stato trattato come un problema di ordine pubblico?

L'accoglienza a Messina dei 52 africani provenienti da Pozzallo pone diversi interrogativi. Il primo riguarda proprio le modalità di accoglienza. A loro, in vista dell'emergenza Lampedusa e dei due sbarchi successivi, ha aperto le porte il sindaco Renato Accortinti. Di fatto, la struttura è stata messa a disposizione dall'Università di Messina, che sin qui si è accollata le spese di manutenzione. Blindato il PalaNebiolo, sebbene i 52 profughi erano già stati identificati. Tra loro, infatti, non ci sarebbero gli scampati agli sbarchi recenti, ma ragazzi e giovani uomini già in precedenza a Pozzallo, anche se non è ancora chiaro se arrivino dal CARA o dal Ctp. Al Comune si insiste che si tratta di una soluzione tampone, in attesa di individuare ed attrezzare strutture più idonee. Ma ancora oggi soluzioni non se ne intravedono.

Da ieri sera, quando sono arrivati in città, a tutta la giornata di oggi, i 52 profughi sono stati trattati come un problema di ordine pubblico. Il Pala Nebiolo è passato di fatto alla competenza della Prefettura, che ha blindato ingressi ed uscite. Gli ospiti sono praticamente reclusi, guardati a vista dalle forze dell'Ordine, hanno i buoni da 2 euro e 50 al giorno che viene loro riconosciuto ma non possono di fatto spenderli se non affidandosi a qualcuno degli operatori, che dovrebbe usarli per loro, fuori dall'area recintata, per poi tornare e consegnare quanto richiesto. Blindatissima anche la Prefettura, che fatica a rilasciare i pass per l'ingresso dei giornalisti e non intende rilasciare dichiarazioni ufficiali sullo status degli ospiti.

Cosa prevede invece la procedura in questi casi: che gli uomini sbarcati fortunosamente sulle nostre coste vengano ospitati nelle strutture dedicate, in attesa di essere identificati e in attesa che il Tribunale competente, dopo averli interrogati, decida se riconoscere o meno loro l'asilo politico. Asilo politico in quasi tutti i casi scontato per i somali. E somali sono la maggior parte dei ragazzi presenti a Messina. Teoricamente. Perché non sempre i Tribunali hanno riconosciuto a tutti i somali l'asilo politico. In caso diverso, la contestata legge Bossi-Fini prescrive il rimpatrio o l'arresto. Dalla teoria alla pratica, ancora: la procedura dovrebbe concludersi entro 30 giorni, ma quasi sempre i tempi vanno ben oltre.

Nel periodo compreso tra lo sbarco e la fine dell'iter, i profughi non sono certo detenuti. Né possono esserlo. Anche nelle strutture di prima accoglienza hanno un permesso di uscire fino ad un certo orario del giorno, oltre al buono da pochi miseri euro. Passi per Pozzallo o altri centri dove c'è da gestire l'emergenza, gli sbarchi, dove ci sono spesso centinaia di persone che si ammassano in pochi metri quadri, dove esistono strutture diversificate. Ma perché a Messina, in una struttura universitaria, i 52 profughi sono trattati come detenuti? Perché affrontare la loro accoglienza come un problema di ordine pubblico? Perché affidare la gestione della struttura universitaria alla Protezione Civile e non ai volontari? Perché a Messina, dove non c'è una emergenza da gestire, si consente la sistematica violazione dei diritti di questi giovani uomini?

Alessandra Serio

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