“Appunti di un pazzo”, l'arte della scena secondo i Naviganti

“Appunti di un pazzo”, l’arte della scena secondo i Naviganti

Tosi Siragusa

“Appunti di un pazzo”, l’arte della scena secondo i Naviganti

mercoledì 04 Giugno 2025 - 07:50

Sapiente resa saggistica della progressiva discesa nella follia del travet grazie al laboratorio teatrale, con drammaturgia di Domenico Cucinotta

MESSINA – Dal racconto di Nikolaj Vasilevic Gogol, “Le memorie di un pazzo”, del 1835, l’immaginifico momento saggistico conclusivo del percorso del Laboratorio “L’arte della scena”, primo anno, è stato messo in scena dalla Compagnia Teatro dei Naviganti di Messina, il 30 e 31 maggio e il primo giugno, sempre in serale. La fervida drammaturgia di “Appunti di un pazzo”, ascrivibile a Domenico Cucinotta, la conduzione laboratoriale, riconducibile, oltre che allo stesso artista, a Maria Pia Rizzo, Elvira Ghirlanda e a Orazio Berenato, e l’interpretazione (in ordine alfabetico) di Maria Bonfiglio, Irene Caminiti, Angelo Centorrino, Annamaria Currò, Giusi Di Bella, Francesco Galletta, Daniela Orlando, Clara Parisi, Niccolò Sorrenti e Donatella Vadalà, ne hanno fatto un piccolo gioiellino di indiscussa significanza.

Denota un complesso percorso di ricerca questo saggio finale, tratto da uno dei tre racconti della Raccolta di Gogol, precursore del cosiddetto realismo magico, originariamente titolata “Arabeschi” e poi “Appunti di un pazzo”, con protagonista Aksentij Ivanovic Popriscin, nel ruolo dell’umile e introverso consigliere titolare ministeriale, nella Pietroburgo già capitale dell’impero zarista, un uomo qualunque che, per amore della figlia del suo direttore, Sophie, ambirebbe scalare la scala gerarchica professionale e sociale per acquisire prestigio e benefici economici e poter sposare l’amata, che ha conosciuto nella sua dimora, ove, una volta a settimana, si reca per temperare le penne d’oca.

Dopo la scena iniziale nella dimora di Popriscin, il cui sonno è bruscamente interrotto dalla domestica bistrattata, siamo trasportati al Ministero e di poi nella città di Pietroburgo. Il racconto mostra il punto di vista del protagonista, con sua descrizione dei personaggi di contorno, ed è stilisticamente intriso di atmosfere, stati d’animo e pregno di vicende semplici, ma straordinarie per la loro carica spirituale davvero alta.

Potrebbe significare il riscatto della fantasia contro l’ottusità del potere, della vita e dell’amore contro la disumanità e le barriere sociali, questa significante “piece” che attraverso la descrizione degli avvenimenti intercorsi nella testa dell’impiegato, conduce mano a mano in un inferno, dal quale si può tornare indietro solo con un soprassalto individualista, rifugiandosi nella favola magica.

La recitazione può definirsi un vero ensemble di attori in ascolto del respiro scenico.

Gli altri ruoli esistono, come detto, attraverso la descrizione del piccolo burocrate: così ecco Mavra, la donna delle pulizie, il direttore generale, il suo assistente – sgherro tirapiedi – l’affascinante Sophie, con la sua cagnetta Meggy, che scambia lettere con Fidèle (che Popriscin può sentir discutere in una alterazione uditiva della realtà).

I riferimenti temporali, quelle date scandite prima regolarmente, salteranno quando il protagonista apprenderà che la “sua” Sophie è promessa ad un altro… e Popriscin inizierà allora a sentire e vedere cose agli altri precluse, uscirà progressivamente dal personaggio sociale per impersonare il Re di Spagna, visto che la storia reale lo ha escluso, scivolando inesorabilmente nella schizofrenia.

La sua mente è oramai sopraffatta, al grottesco è subentrato il registro tragico, la fantasia è scolorita in un incubo, nella gabbia di un manicomio.

Il messaggio, neanche troppo sotteso, è allora quello di risvegliarci e intraprendere un viaggio salvifico verso una qualche follia, anche attraverso la magia teatrale, per riscrivere la nostra esistenza in guisa creativa.

La scenografia contenente elementi distribuiti in ciascuno dei due ambienti, come la cassettiera – scadenzario in metallo, la macchina da scrivere, una coppia di elementi cubici, una poltroncina, e, soprattutto, la piccola rampa, simbolo del salto di riscatto, unitamente alle musiche – sia classiche che melodie sensuali anni 70, come “Je t’aime moi non plus”, che ha scandito la sequenza di danza sfrenata di Sophie – ha contribuito alla ricostruzione di quel piccolo mondo di un travet.

Applausi prolungati per tutti e per ciascuno al termine di una prova risultata assai convincente, che ha mostrato la possibilità di rendere egregiamente una “mise en scène” difficile e complessa, partendo da uno studio composito.

Chapeau per il Teatro dei Naviganti, allora!

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