“Interno di casa con bambola”: l’intramontabile Nora torna a far parlare di sé

Domenica sera di emozioni, con il secondo appuntamento della rassegna “Atto Unico. Scene di vita. Vite di scena”: sul palco de Teatro Savio arriva uno splendido rifacimento del capolavoro di Henrik Ibsen “Casa di bambola”.

Il confronto con un classico può risultare un’arma a doppio taglio per un regista, che rischia da un lato di cadere in un manierismo sciatto, e anche un po’ lezioso, dall’altro di snaturare l’opera, nel tentativo di attualizzarla o di dare un tocco di originalità. “Interno di casa con bambola”, di Manuel Gilberti, evita con destrezza questi ostacoli ed incontra un favore soddisfatto di pubblico.

“Casa di bambola”, di Henrik Ibsen, è il dramma borghese di fine Ottocento, lo specchio del mondo Vittoriano con le sue affascinanti contraddizioni. Da un lato i sacri ideali della famiglia, la fede, la morale… dall’altro l’inconsistenza delle relazioni, la vacuità stilizzata dei sentimenti, l’incomunicabilità e l’accontentarsi di ricoprire il ruolo che la società impone. Ma chi è Nora? Chi era nel 1879, quando l’opera vide la luce, e chi è per noi spettatori del ventunesimo secolo? Il pubblico del tempo di spaccò in due di fronte all’apparire di una donna che lascia il tetto coniugale, abbandona marito e figli, per andare alla ricerca di se stessa. Nell’ottica ufficiale, benpensante e maschilista, un simile atto era pura follia. Ma quella fetta di pubblico silenziosa e pure costretta ad assecondare i dettami del proprio Torvald Helmer personale, non poteva che aderire, più o meno apertamente, a quel gesto di rivendicazione e riappropriazione di sé che è la scelta di Nora. Quanto resta oggi di quel gesto? Noi donne del 2015 ci sentiamo libere, emancipate e ormai lontane da quel vincolante stereotipo di donna angelo del focolare. Ma siamo così certe di non ricoprire alcun ruolo, di essere totalmente immuni dalle pressioni delle aspettative sociali, di non dibatterci nel tentativo di essere contemporaneamente mamme presenti, spose comprensive, partner seducenti, donne in carriera non meno capaci degli uomini…? Se i tempi cambiano, cambiano i modelli e le attese, ma quella ricerca di autenticità è ancora attuale e l’attualità di Nora è proprio della forza senza tempo del suo messaggio, vero e pungente oggi come ieri.

Riproporre oggi il testo di Ibsen è una provocazione, una freccia scagliata che trova facile presa nelle coscienze, tranquille ma non troppo, delle donne moderne. Il successo della versione di Gilberti si deve certamente a questa intuizione, ma anche ad una combinazione di altri fattori. In primis alla bravura degli attori. Del tutto vivide e credibili risultano le interpretazioni di Laura Ingiulla, Davide Sbrogiò, Lorenzo Falletti, Giorgia D’Acquisto (rispettivamente nei panni di Nora, Torvald Helmer, il signor Krogstad e la signora Linde). Convincente anche Antonietta Carbonetti nei panni della governante, cui Gilberti da un ruolo più determinante rispetto all’originale. La potenza espressiva dei due protagonisti, in particolare, nella metamorfosi che rispettivamente vivono, rende giustizia alla complessità dei personaggi, rendendoli individui in carne ed ossa e non mere maschere teatrali. L’intervento della regia sul testo,poi, non è massiccio, ma equilibrato e volto più che altro a focalizzare l’attenzione sul fulcro della storia, eliminando i fronzoli ed accentuando qualche elemento chiarificatore. In definitiva l’esperimento risulta riuscitissimo.

Laura Giacobbe