Ci saluta Candido Cannavò. Un piccolo ricordo…

Ci saluta Candido Cannavò. Un piccolo ricordo…

Ci saluta Candido Cannavò. Un piccolo ricordo…

domenica 22 Febbraio 2009 - 16:04

Addio ad uno dei “padri fondatori” del giornalismo sportivo italiano

L’Italia sportiva si unisce nel ricordo di Candido Cannavò, scomparso stamattina (domenica 22 febbraio) alle 08:45 nella clinica Santa Rita di Milano, dove era ricoverato da giovedì scorso per una emorragia cerebrale. Lo storico direttore della Gazzetta dello Sport, che ha guidato il giornale sportivo più famoso d’Italia dal 1983 al 2002, ci lascia a 78 anni. Raccontava la vita attraverso lo sport e lo sport come modo di interpretare la vita. Lo ha fatto ininterrottamente dal 1949, quando a diciannove anni cominciò a scrivere per “La Sicilia” di Catania, sua città d’origine. Da quegli anni tanto è cambiato nella società italiana e lui, passo dopo passo, a raccontarne le fasi salienti attraverso quelle che rimarranno sempre per lui e per noi lettori le “sue” pagine rosa. Diversi anche i libri che il cronista ha scritto. Tra questi “E li chiamano disabili”, sedici storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio della non rassegnazione. Lo vogliamo ricordare e salutare anche noi, riproponendovi un’intervista che il sottoscritto, dal basso dei suoi ventuno anni, gli fece in occasione della presentazione dell’opera a Messina, l’11 novembre 2005. Buon viaggio maestro…

Cosa si prova a passare da un mondo “frivolo”, come quello del calcio, a situazioni molto più delicate come quelle che possono vivere i disabili ed i carcerati. Due mondi che catturano l’opinione pubblica, ma evidentemente in modo diverso…

“Il mondo del calcio è così, frivolo, ma solo nella sua apparenza, perché anche in uno sport come il calcio possono ancora trovarsi valori veri. Il tutto sta nel vedere come si affrontano certi argomenti, dei messaggi provengono anche da là, positivi o negativi comunque emblematici. Il discorso sociale viene fatto perché è naturale ad un certo punto occuparsi di queste cose; c’è anche una componente di piacere vero, non è ‘missionariato’, ma è un percorso intrapreso a seguito di una serie di incontri che mi hanno portato a confrontarmi, sia nel mondo dello sport, che tra i disabili, con persone assolutamente contente di adoperarsi per gli altri”.

Disabili e carcerati. Quanta distanza tra il secondo e il suo terzo libro?

“Direi che in tutti i libri che ho scritto possiamo trovare un comune denominatore: la persona. Guardare dentro l’uomo”.

Capita di vedere in tv partite di calcio tra detenuti e ancora più di frequente sport praticati da disabili (le paraolimpiadi rappresentano l’apice di questi eventi). Può essere lo sport anche un veicolo per portare queste persone a superere ostacoli che la vita gli pone davanti?

“Questo già avviene. La paraolimpiadi sono nate nel 1992 e sono diventate non solo una manifestazione di contorno alla ‘principale’, ma di notevole livello tecnico e sempre più popolari. Lo sport è stato sempre all’avanguardia nel cogliere certe sensibilità. Lo ha fatto anche quando c’era un muro nell’Europa, nel ’60, nel ’68. Sono dei tentativi non sempre pienamente riusciti ma comunque iniziative coraggiose”.

Nello sport praticato dai disabili può esserci quel genuino che invece nello sport euromillionario di oggi si è perso?

“Sicuramente si trova più semplicità, più naturalezza, ma anche li si sta arrivando a forme di professionismo. Possono trovarsi degli ‘idoli’, basta prendere il campionato di basket americano o il saltatore che fa due metri e zero uno. Io credo comunque che non è un peccato rivendicare il professionismo. E’ deleterio un professionismo stupido, immorale”.

Spostiamoci sul calcio, puramente in ambito tecnico: secondo lei chi è il calciatore più forte al mondo in questo momento?

“Per certi versi direi Totti”.

Compagno di squadra di Cassano…

“ Cassano è uno che ha talento, ma che prima deve formarsi come persona, come uomo”.

Per finire, lei si è affermato in un ambiente giornalistico completamente diverso da quello attuale. Cosa consiglia ai giovani, siciliani come lei, che vogliono intraprendere questo mestiere?

“Ai miei tempi, a Catania, in un giornale doveva morire uno per assumere un altro. La grande speranza la dava l’informazione alternativa, le radio e le tv private…Andare al nord non è tanto facile come dicono. Oggi questo mestiere ha attratto molti, ci sono delle ottime scuole di giornalismo, ma solo per un periodo si è riusciti ad assorbire i ragazzi preparati che uscivano da questi corsi. Ora molto meno, perché la concorrenza è spietata”.

Forse lei ha fatto leva su un’altra scuola di giornalismo, quella della vita e della strada, che può rappresentare quella marcia in più…

”Io ho iniziato lavorando in nero. Grossi prezzi in termini di sacrifici da pagare, ma esperienze colossali”.

Può internet, essere una soluzione occupazionale per questo flusso che si specializza in ambito comunicazionale?

“Ancora sul piano giornalistico, internet non esprime dei valori concreti, non si può ad esempio creare un’azienda e pensare di guardagnarci. E’ però un mezzo molto suggestivo, dal quale ormai non si può prescindere”.

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