Che caos la vita nel 7 volte premio Oscar "Everything everywhere all at once"

Che caos la vita nel 7 volte premio Oscar “Everything everywhere all at once”

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Che caos la vita nel 7 volte premio Oscar “Everything everywhere all at once”

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lunedì 13 Marzo 2023 - 21:45

La recensione del film premiato dall'Academy e che sta facendo discutere. In primo piano la frenesia contemporanea stile internet

Da una studentessa universitaria, Maria Mondello, abbiamo ricevuto e pubblichiamo una riflessione sul film fresco di 7 statuette Oscar “Everything everywhere all at once” (“Tutto dappertutto, tutto in una volta”, foto dalla pagina Fb). Appare interessante che abbia convinto di più le nuove generazioni e meno critici e spettatori dai quaranta in su. Almeno così sembra nei commenti e negli articoli. In un confronto fra multiverso, frutto dell’opera cinematografica, e rete internet, emerge il caos d’immagini e situazioni che si vivono nella contemporaneità.

7 volte premio Oscar 2023

“Everything everywhere all at once”, diretto dai Daniels (Daniel Kwan e Daniel Scheinert), è probabilmente il film migliore dell’anno come concorda il premio vinto agli Oscar come miglior film 2023, per un totale di 7 premi tra 11 nomination. Il film racconta la storia di una famiglia di immigrati cinesi. C’è la protagonista Evelyn, moglie e madre, interpretata da Michelle Yeoh, vincitrice dell’Oscar come migliore attrice, l’infantile marito Waymond, interpretato da Ke Huy Quan, vincitore dell’Oscar come migliore attore non protagonista, e la ribelle figlia Joy, interpretata da Stephanie Hsu, sempre occupati con la gestione della loro lavanderia a gettoni e con le tasse. È proprio all’ufficio imposte, Incalzata dalle domande dell’impiegata, interpretata da Jamie Lee Curtis, vincitrice dell’Oscar come migliore attrice non protagonista, che Evelyn si ritrova improvvisamente davanti alla rivelazione del multiverso, con il Weymond di un’altra dimensione che la informa che sarà compito suo salvare gli infiniti mondi dalla grave minaccia di Jobu Tupaki.

Il parallelo tra multiverso e internet

L’Everything nel film è il confronto con tutte le possibilità, tutte le vite parallele, utile per il funzionamento e lo sviluppo dell’azione del film, ma che rivela nella protagonista Evelyn un velo di sconforto, di fallimento nel vedere che tra tutte le possibilità ha scelto quella più misera. Quello del libero arbitrio è un concetto discusso da secoli, come Kierkegaard dice: “Non c’è niente che spaventa di più l’uomo che prendere coscienza dell’immensità di cose che è capace di fare e diventare”. Ma mai è stato affrontato attraverso il multiverso, che i registi accostano con l’esperienza della rete: l’internet è il mezzo in cui letteralmente tutte le cose coesistono e come crescono quelli abituati a questo caos? “Volevamo che il massimalismo del film si connettesse con lo scorrere di una quantità infinita di roba” dicono i Daniels, ed è proprio così che ci sentiamo guardando il film.

L’esperienza del vedere tutto, dell’enorme quantità di prospettive, l’infinità di ogni cosa, ci condanna al nulla. Prevale il disincanto del mondo. Ci si scontra con la realizzazione che non solo abbiamo a che fare con sviluppi tecnologici che ci rendono più consapevoli delle potenzialità della vita, ma che tutto questo sta rimodellando l’esperienza di vivere nel mondo. Così si sente Jobu Tupaki, una figlia di internet, figlia di un peso messo sopra le sue spalle dai suoi antenati, figlia di quell’individualismo esasperato sconosciuto dalle generazioni precedenti. È in lei che con i suoi costumi stravaganti, le sue battutine e nel personaggio che forse troviamo più strano, si cela tutta la sua speranza di non sentire tutto questo peso attraverso il nichilismo perché in una generazione che chiede ai suoi figli di diventare qualcuno manca il desiderio di farlo.

Un film sul caos della vita e sull’importanza di vivere il presente

Ma probabilmente essere nichilisti è la cosa migliore che ci possa succedere, perché è solo così che possiamo riconoscere l’importanza di darci delle possibilità, liberarci dell’enorme peso del trovare un significato, di cercare realizzare le aspettative sociali: proprio perché la vita non ha realmente un senso, il senso deve essere umanamente inventato, attraverso la scoperta dei nostri personalissimi valori. E così come in un altro bellissimo film sulle vite parallele, “Mr Nobody,” si arriva a questa conclusione: “Negli scacchi si chiama Zugzwang: quando l’unica mossa che è possibile fare è non muoversi”. Il messaggio che Everything everywhere all at once ci vuole trasmettere è l’insensatezza della vita e l’importanza del presente nel rapporto con gli altri, con sé stessi, l’importanza di ascoltarsi, di capirsi, di emozionarsi.

Ed è solo alla fine nel confronto con la figlia che Evelyn lo riconosce: dobbiamo lasciarci andare per ritrovarci, riconnetterci, perché è proprio questo che il film vuole farci sentire, vuole farci sentire presenti in questo continuo caos, e non farci rifugiare in qualcosa che non esiste. Tutta la complessità del film non racchiude che questo, le scene girate con le prospettive di tanti registi, il massimalismo, il caos, il poter classificare questo film come film d’azione, di fantascienza, drammatico, comedy, di arti marziali, questo mucchio di cose tutte assieme racchiudono un concetto così semplice, ma che senza l’esperienza del complesso non potrebbe essere compreso. Alla fine di tutto possiamo solo dire che Everything Everywhere All At Once è la storia di una famiglia.

Maria Mondello

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