Continua la guerra alle statue: il caso Greta Thunberg a Winchester

Continua la guerra alle statue: il caso Greta Thunberg a Winchester

Giacomo Maria Arrigo

Continua la guerra alle statue: il caso Greta Thunberg a Winchester

martedì 06 Aprile 2021 - 10:41

Il caso segna un’ulteriore evoluzione della stessa mentalità iconoclasta: il problema non è (più) il razzismo ma la statua in sé. Un inutile orpello, un ingombrante pezzo di bronzo.

La vicenda della statua dedicata a Greta Thunberg è paradossale, ed è una manifestazione di una cultura che inghiotte persino se stessa, incapace di fare i conti con la storia e con l’identità, qualsiasi essa sia.

Da una settimana è stata inaugurata presso l’Università di Winchester, nel Regno Unito, una statua di bronzo a grandezza naturale che riproduce la giovane attivista svedese Greta Thunberg. Realizzata da Christine Charlesworth, la statua raffigura la giovane Greta che allunga la mano, quasi a voler incoraggiare lo spettatore ad unirsi nella battaglia per la difesa dell’ambiente. E questo, infatti, era lo spirito con il quale è stata costruita: la vicepreside Joy Carter ha dichiarato che l’opera simboleggia «l’impegno dell’ateneo nella lotta al cambiamento climatico».

Ma ci sono state, inaspettatamente, molte polemiche. E non dalla parte di chi può nutrire qualche dubbio verso la paladina dell’ambiente. La presidente dell’unione studentesca di Winchester, Megan Ball, interpellata dalla BBC ha subito messo in chiaro le cose: «Greta è un fantastico modello per tutti, avendo parlato in modo chiaro e forte di alcune questioni globali». Qual è il problema allora? È presto detto: la statua è costata circa 28 mila euro. E questa cifra è stata ritenuta inaccettabile.

«Chiediamo all’università di stanziare la stessa cifra in ulteriori servizi di supporto», ha aggiunto Ball. E ha definito la statua una «espressione di vanità». «Nell’anno del Covid», ha continuato, «molti di noi non hanno avuto accesso al campus, obbligati a seguire le lezioni in streaming, e hanno davvero bisogno di sostegno». Secondo l’unione studentesca, infatti, l’ultimo anno ha portato «esuberi nel personale, tagli alle biblioteche e altre limitazioni» e, nonostante tutto ciò, «agli iscritti sono state addebitate le tasse universitarie complete».

Subito la vicepreside Carter ha replicato: «Non sono stati usati fondi destinati al supporto per gli studenti». E quei soldi, inoltre, non avrebbero potuto essere destinati ad altro. Ed è ritornata sul significato della statua: «Speriamo che la statua contribuisca a ispirare la nostra comunità, ricordandoci che non importa cosa ci riserva la vita, noi possiamo ancora cambiare il mondo in meglio. Questo è un messaggio che vogliamo che arrivi a tutti i nostri studenti e tutti i giovani».

Una vicenda, quella della statua di Greta, che è significativa di un modo di sentire quanto mai diffuso. Un anno fa, in seguito alla morte di George Floyd, il movimento iconoclasta in America e in Europa demoliva le statue di illustri personaggi storici perché considerati razzisti. E adesso? Il caso di Winchester segna un’ulteriore evoluzione della stessa mentalità: il problema non è (più) il razzismo ma la statua in sé. Un inutile orpello, un ingombrante pezzo di bronzo. Segno – simbolo – di una identità, quantunque in itinere, ma pur sempre una identità. E questo, oggi, non sembra essere più accettabile.

Se la continuità storica con il passato deve essere spezzata, allora anche la continuità storica con il futuro può essere scomoda. Meglio troncarla di netto, e in anticipo. La statua, qualsiasi personaggio rappresenti, diventa allora segno di un’imposizione autoritaria di uno specifico modello culturale. E il fatto che tale modello sia oggi ritenuto positivo non significa affatto che domani continuerà ad esserlo. L’esito paradossale di un simile movimento iconoclasta è coerente con le sue premesse.

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