Le difficoltà dell'Opg di Barcellona: «Soffriamo carenza di risorse e di personale»

Le difficoltà dell’Opg di Barcellona: «Soffriamo carenza di risorse e di personale»

Le difficoltà dell’Opg di Barcellona: «Soffriamo carenza di risorse e di personale»

mercoledì 28 Maggio 2008 - 07:16

Intervista con il direttore dello storico istituto psichiatrico giudiziario Nunziante Rosania: «E' necessario un rapporto serrato con le istituzioni e soprattutto con la Regione Sicilia»

L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto è un istituto storico: nato nel 1925, è stata la prima struttura del Regno d’Italia. Una struttura che però oggi attraversa mille difficoltà, nonostante un’organizzazione considerata ottima, ma senza soldi, dice il detto, non si canta messa. Ci spiega qualcosa di più il direttore dell’istituto, Nunziante Rosania, in un’approfondita intervista.

«L’Opg di Barcellona e gli altri quattro in Italia che dipendono dal Ministero della Giustizia sono istituti dove si trova una popolazione di ricoverati piuttosto complessa. Abbiamo i soggetti ricoverati perché giudicati incapaci di intendere e di volere, nonché socialmente pericolosi, assolti dal reato ma ai quali si applicano comunque misure di sicurezza, cercando di creare le condizioni affinché vengano reinseriti nella società. Poi abbiamo i sottoposti a casa di cura e custodia, la cui infermità mentale è parziale. Per loro c’è un periodo di terapie limitato, e vengono messi in sicurezza da sei mesi a tre anni. E ancora, ci sono i detenuti, condannati da sani di mente per poi aver avuto problemi di tipo psichiatrico. Un tempo c’erano anche i mafiosi che cercavano di bypassare il sistema penale e che ora sono terribilmente malati».

A fronte di una gestione così complessa, l’istituto può godere di risorse e fondi sufficienti?

«Attraversiamo un periodo di grande difficoltà ormai da anni. Soffriamo una carenza di risorse economiche e di personale, tenendo conto anche dell’alta qualificazione richiesta. Tuttavia rispetto al passato, quando i soggetti entravano in istituto per rimanervi decenni, oggi abbiamo ridotto la permanenza media, trovando anche una sponda valida all’esterno».

Cosa si intende per sponda esterna?

«Facciamo riferimento per un verso alle famiglie, che però a volte sono del tutto rifiutanti, per un altro verso al rapporto con le comunità terapeutiche, con le strutture protette per il progressivo reinserimento. Una comunicazione con l’esterno che alcuni anni fa era estremamente difficile».

Tornando all’istituto, quanti sono i pazienti e quante le unità del personale?

«Oggi abbiamo 270 persone, a fronte di un numero di infermieri di poco inferiore alle 60 unità, tenendo conto dei vari turni. Poi c’è la polizia penitenziaria che ci da una mano, non solo per l’aspetto custodiale ma anche per il trattamento. Ma anche sul campo della formazione professionale ci vuole uno sforzo maggiore».

Attualmente da questo punto di vista qual è la situazione?

«Siamo lontani dai parametri del grado di efficacia richiesta. E’ intervenuta una normativa nuova per gli Opg in merito alla medicina penitenziaria, che rientrerà nel sistema sanitario nazionale. Tutto il carico assistenziale e terapeutico sarà in capo alle Asl di riferimento»

E questo sarà un bene per l’istituto?

«E’ un bene, ma sulle prime creerà sconcerto. Ci si dovrà attrezzare per superare questa situazione di incertezza e di separazione».

In questo contesto, come va considerata la specificità siciliana?

«La specificità siciliana è grande, e in virtù dello statuto speciale la normativa dovrà essere convertita prima di essere assorbita. Siamo in attesa del nuovo governo per capire qual è il nostro interlocutore e instaurare così un rapporto serrato».

Finora come è stato questo rapporto?

«Estremamente problematico e in larga misura negativo. La Regione si è defilata rispetto alle nostre problematiche».

Un’ultima domanda di carattere generale. Come si inseriscono gli Opg nel panorama della psichiatria moderna?

«Guardi, fare psichiatria è estremamente complicato, soprattutto perché oggi il centro di tutto è la riabilitazione. E’ questa la grande questione. I protocolli terapeutici, se ben fatti e affidati a personale capace, consentono grandi risultati, soprattutto con gli psicofarmaci di ultima generazione, sgravati degli effetti collaterali. Il problema è che sono molto costosi, non sempre ce li possiamo permettere. Altra questione è quella degli psicologi, non abbiamo psichiatri dipendenti né i cosiddetti animatori di comunità. Come vede, è sempre un problema di risorse».

Un cane che si morde la coda. Quale ruolo gioca in questo la politica?

«Un ruolo decisivo».

(foto Dino Sturiale)

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