Eluana, la politica, i giuristi, i maitres à penser, la gente

Eluana, la politica, i giuristi, i maitres à penser, la gente

Redazione

Eluana, la politica, i giuristi, i maitres à penser, la gente

giovedì 12 Febbraio 2009 - 07:26

Classe politica inadeguata

Politici e giuristi hanno, a mio parere, tristemente imbarbarito il caso di Eluana. I primi per la incorregibile attitudine mentale di interpretare ogni accadimento in chiave volgarmente strumentale, i secondi per la arrogante convinzione che il diritto – di cui si sentono le vestali – debba essere l’unico, supremo e incontestabile regolatore dei comportamenti umani.

Altro attore importante nella vicenda è stata la Chiesa cattolica che – pur con tutto il suo diritto-dovere di manifestare pubblicamente il suo credo – ha parlato troppo e a voce troppo alta, contribuendo a una contrapposizione che si sarebbe dovuta evolvere in tono più sommesso, approfondito e rispettoso.

Credo però sia un madornale errore attribuire l’origine del triste caso Englaro alla contrapposizione tra la visione laica e quella cristiano cattolica. Molto prima della venuta di Cristo, a Sparta, i bambini che nascevano disabili venivano soppressi con la motivazione di non essere -utili- allo Stato, anzi di rappresentare un peso.

Lo Stato veniva prima dell’individuo e ogni cosa era giudicata in tale ottica.

Nella vicina Atene ciò non accadeva.

E le leggi che venivano promulgate altro non facevano che interpretare le diverse culture ed essere strumento per l’affermazione dell’opinione prevelente.

Per restare nell’antica Grecia – madre straordinaria di ogni problema etico e filosofico del mondo occidentale -, una famosa tragedia di Sofocle, l’Antigone, evidenzia come la legge dello Stato possa – in alcuni casi – porsi in contrasto con la così detta -legge naturale-, insita nell’animo umano.

Antigone seppellisce il corpo del fratello, violando l’editto che vietava la sepoltura di coloro che avevano preso le armi contro la patria, come invece aveva fatto il fratello. E viene giustiziata.

Ciò accadeva e veniva dibattuto con veemente passione e straordinaria sottigliezza duemila e cinquecento anni fa, dando voce a una pluralità di soggetti (potere esecutivo, potere giudiziario e divinità con sentimenti umani) che nulla avevano a che fare con quelli attuali.

A dimostrazione che la radice del problema è etica e non religiosa.

Umana e non trascendente.

Affrontiamo ora il tema specifico, chiedendo perdono per un esame che si sforza di essere lucido e tenta di ridurre al minimo l’inevitabile impatto emotivo.

Eluana si trovava in uno -stato vegetativo persistente- quindi, per la legge italiana e per la comunità scientifica più qualificata a livello mondiale, non era -morta-. Non aveva affatto l’elettroencefalogramma piatto, condizione oggi necessaria per diagnosticare la morte. E spiace sentire un maitre à penser di grandi trascorsi come il prof. Giovanni Sartori affermare pubblicamente il contrario. Ma è solo una delle tante sciocchezze che abbiamo ascoltato in questi giorni.

Riporto la chiarissima e illuminante nota di Pino D’Angelo sull’argomento, pubblicata su questo giornale: -STATO VEGETATIVO (il caso di Eluana): Nello stato vegetativo persistente, spesso confuso con la morte cerebrale, le cellule cerebrali sono vive e mandano segnali elettrici evidenziati in modo chiaro dall’elettroencefalogramma. Queste caratteristiche si riflettono in diverse condizioni biologiche con precisi riscontri sul piano clinico: nello stato vegetativo persistente il paziente può respirare in modo autonomo; mantiene una vitalità circolatoria, respiratoria e metabolica e un controllo sulle cosiddette funzioni vegetative (esempio temperatura corporea, pressione arteriosa, diuresi). E le sue funzioni cerebrali mantengono una certa vitalità, sebbene ridotta.-

Ebbene, se Eluana non era morta, il toglierle l’alimentazione è stato un omicidio o, se vogliamo usare un termine più delicato, eutanasia. Senza avere paura delle parole. L’eutanasia è, infatti: -Il porre deliberatamente a termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia. Può essere ottenuta con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente il paziente in vita (eutanasia passiva) o attraverso la somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte (eutanasia attiva); si definisce volontaria se richiesta o autorizzata dal paziente- (dal Vocabolario della lingua italiana Treccani).

Inoltre, checché ne dicano i cultori del Diritto, gli Azzeccagarbugli di professione e gli improvvisatori della politica, la volontà di Eluana, al momento dell’interruzione dell’alimentazione, non era affatto certa, né in un senso né nell’altro.

In mancanza di una volontà manifestata nell’imminenza del fatto, è evidente che si è tratta di un caso di eutanasia non volontaria, più attiva che passiva, autorizzata dalla Corte d’Appello di Milano.

Più ativa che passiva in quanto, pur non essendo stati somministrati farmaci per accelerare la morte, togliere alimentazione e idratazione è moralmente equivalente, con l’aggravante della lunghezza dell’agonia.

Non si può affrontare un tema di questa rilevanza senza chiamare i fatti con il loro nome o utilizzando parole improprie solo per difendere la propria tesi.

Togliere un sondino di alimentazione o una flebo di idratazione a un malato equivale a non dare il latte a un neonato o il cibo a un tetraplegico o a un cerebroleso. Non chiamiamo questi gesti -assecondare la natura-, sennò non si sa dove si finisce.

Stabiliti – dal mio punto di vista, naturalmente – i precedenti punti debbo dire che, al di là di un’appartenenza religiosa esclusivamente personale, non trovo affatto eticamente scandaloso che vi siano persone che vogliano interrompere la vita di esseri umani nello stato di Eluana.

A patto, ripeto, che non pretendano di ingannare la gente – e, forse, se stessi – sostenendo che l’elettroencefalogramma era piatto, che si deve assecondare la natura o che era assodato che Eluana volesse morire.

In altri Paesi avviene da anni e non si può certo dubitare che l’iniziativa del povero padre derivi da biechi motivi d’interesse economico o simili.

Inoltre – è inutile perdervi tempo intorno – le probabilità di ripresa erano pressoché nulle e sperare solo nei miracoli non può trovare posto nel diritto positivo (le leggi degli uomini).

A questo punto, la Politica – nel pieno rispetto della sentenza di Milano e della separazione dei poteri – avrebbe dovuto affrontare con coraggio e serietà l’ammissibilità dell’eutanasia nel nostro Paese; proibirla o autorizzarla regolandone l’uso in base alle maggioranze parlamentari, espressione dei cittadini. Senza lasciare il peso delle decisioni alla Magistratura, per poi attaccarla quando si ritiene che sbagli.

Come, purtroppo accade.

Ma la nostra non è Politica bensì politica.

Il fatto poi che la sentenza fosse una forzatura sul piano giuridico, che contrastasse con il costume del nostro Paese e con la sua cultura e così via, ognuno ha il diritto di pensarlo; così come ognuno può credere che il -sentimento comune- della gente coincida con la -legge naturale- degli antichi Greci e con i -valori prepolitici- di Benedetto XVI. E’ un modo legittimo di porre il problema ma appartiene più alla sfera dell’interesse individuale che a quello pubblico. Le rispettive convinzioni faranno da guida nella ricerca della soluzione legislativa.

Che non accontenterà mai tutti, ma impedirà gli abusi.

Almeno si spera.

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