L'uomo fu ucciso nel 1991 all'uscita dallo stadio Celeste per aver fatto i nomi di alcuni rapinatori che poi lo accusarono di complicità nel colpo.. Ma la famiglia non riesce ancora ad ottenere il riconoscimento di -vittima della mafia-
Il caso è tornato alla ribalta in queste ore.
L’associazione -Rita Atria- (intitolata alla ragazza che collaborò con il giudice Paolo Borsellino per svelare i segreti delle cosche e che si uccise una settimana dopo la strage di via D’Amelio), chiede al ministero degli Interni -di definire l’iter per il riconoscimento quale vittima di mafia della guardia giurata Ignazio Aloisi-. L’uomo fu ucciso a Messina per vendetta dopo aver accusato uno degli artefici della rapina del 3 settembre ’79 al furgone portavalori da lui condotto.
Dopo la morte il rapinatore e mandante dell’omicidio, Pasquale Castorina, cercò di infangare la memoria di Aloisi dichiarando in sede processuale che era stato il suo basista e non si era mostrato soddisfatto della spartizione del bottino. Il furgone trasportava valori della società dell’autostrada Messina-Palermo. Almeno due collaboratori di giustizia hanno dichiarato che Castorina avrebbe inventato tutto e che Aloisi fu ucciso per le sue testimonianze.
Il 27 novembre 2008 la Prefettura di Messina dà parere favorevole al ministero per il riconoscimento di Aloisi quale vittima di mafia.
Per quelle dichiarazioni false nell’aprile 2009 il pm formulò la richiesta di rinvio a giudizio contro Castorina, ma nel maggio successivo il gup dichiarò di -non doversi procedere nei confronti di Castorina per intervenuta prescrizione-.
-Riteniamo – dice l’associazione – che la famiglia Aloisi non debba aspettare ulteriormente per aver riconosciuto il diritto alla verità. In questi anni lo Stato ha permesso che un riconosciuto mafioso, sebbene collaboratore di giustizia, infangasse la memoria di un uomo onesto. Ci impegniamo ad inviare ogni settimana un fax di sollecito al ministero ed alla Prefettura di Messina-.
LA STORIA DELL’OMICIDIO ALOISI
Sono trascorsi poco più di 30 anni da quando l’esistenza della famiglia Aloisi è stata sconvolta per sempre. La guardia giurata Ignazio Aloisi subisce una rapina mentre si trova su un furgone portavalori. Ma nel giro di qualche anno Aloisi prima viene ucciso, poi viene trasformato da vittima in mafioso. Un vortice di pesantissime ed infamanti accuse che farebbe sprofondare chiunque nel baratro dello sconforto. Ma non la figlia Donatella che lottando giorno dopo giorno per 18 lunghissimi anni è riuscita a riabilitare la figura del padre e ad ottenere giustizia. Ora c’è da affrontare la lotta non meno complicata con la burocrazia per ottenere dal ministero il riconoscimento di “vittima di mafia”.
E’ il 3 settembre del 1979. Una banda di rapinatori, armati fino ai denti, segue gli spostamenti di un furgone portavalori della Società Autostrade. Hanno avuto l’imbeccata giusta e sanno che a bordo ci sono parecchi milioni di lire. Preparano tutto nei minimi particolari e decidono di entrare in azione allo svincolo di Messina Gazzi. I banditi, con un’azione repentina, bloccano il blindato. Aprono lo sportello e si fanno consegnare dalle guardie giurate le buste con il denaro. Poi fuggono a bordo di un’automobile. Un’azione rapidissima, essenziale, senza spargimento di sangue. Sembra il colpo perfetto ma non è così. La Procura apre un’inchiesta. Bisogna scoprire gli autori della rapina ed eventuali basisti che spesso si nascondono dietro queste genere di azioni. Per fortuna le due guardie giurate sin dal primo interrogatorio collaborano con gli inquirenti. Senza paura, senza reticenze raccontano tutto quello che hanno visto in quei concitati minuti. Il più preciso è Ignazio Aloisi. Fornisce agli investigatori la descrizione di uno dei malviventi. Lo fa talmente bene che pochi giorni dopo il rapinatore viene arrestato. Si tratta di Pasquale Castorina ed ha già parecchi precedenti alle spalle. Uno tosto che in seguito si è anche autoaccusato di qualche omicidio. I due si trovano uno di fronte all’altro. Aloisi non ha alcun tentennamento: “E’ lui”. Il rapinatore lo guarda fisso negli occhi e giura vendetta: “Quando uscirò dal carcere te la farò pagare”. Detto e fatto. Il giorno della prima udienza in Tribunale Aloisi esce da casa e qualcuno spara in aria un colpo di pistola. E’ la prima intimidazione. Ma, intanto, Castorina, viene condannato ad otto anni di reclusione per il colpo al furgone portavalori. Sembra la fine di un incubo per la guardia giurata ma l’inferno è lì a due passi. Sono trascorsi undici anni dal giorno della rapina ma l’odio covato nel chiuso di una cella non si è mai sopito. Il 27 gennaio del 1991 Aloisi si reca allo stadio “Celeste” per assistere alla partita del Messina con la figlia Donatella di 14 anni. All’uscita, mentre i due tornano a casa, vengono assaliti da una persona a volto coperto. L’uomo estrae una pistola e spara tre colpi contro la guardia giurata che muore sul colpo sotto gli occhi della figlia. Sembra un omicidio inspiegabile. Aloisi è una guardia giurata, non ha contatti con ambienti della criminalità e la sua vita privata è ineccepibile. Ma c’è nel suo passato quella testimonianza scomoda che indirizza le forze dell’ordine verso Castorina. Mandante ed esecutore materiale vengono arrestati e nel 1993 condannati a 26 anni di reclusione. Poi il colpo di scena. Castorina si pente ed ottiene uno sconto di pena. Ma non ha esaurito la dose letale di rancore verso la guardia giurata e qualche tempo dopo ritratta tutta la prima versione. Agli inquirenti racconta un’altra storia. Spiega che Aloisi era complice della rapina. Il basista che Polizia e Carabinieri cercavano era proprio lui. Ma erano sorti dei problemi per la spartizione del bottino. Aloisi si era lamentato della parte che gli era toccata ed aveva creato dei problemi. Così fu deciso di eliminarlo. Una versione alla quale inizialmente gli inquirenti credettero. Per loro le parole del mandante e dell’esecutore e la circostanza che abitavano nello stesso quartiere della guardia giurata erano sufficienti per accusarlo di concorso in rapina. Anni dopo però altri collaboratori di giustizia raccontarono la verità e la Procura riaprì il caso. I pentiti svelarono il progetto di Castorina per infangare la memoria di Aloisi e così a poco a poco, e grazie alla caparbietà della figlia Donatella, la sua immagine fu riabilitata. La famiglia inoltrò subito la richiesta per inserire Ignazio nella lista delle vittime della criminalità mafiosa ma la magistratura rispose che erano decorsi i tempi, che la domanda andava inoltrata prima. E’ Donatella ad insistere a riempire pagine di carta bollata, ad appigliarsi a qualsiasi cosa. Presenta l’istanza per altre cinque volte ma si sente rispondere dalla magistratura che l’omicidio non è imputabile alla mafia. Poi nel novembre 2008 la Prefettura di Messina sblocca l’iter e concede parere favorevole al Ministero dell’Interno per il riconoscimento di Aloisi quale vittima di mafia. Da allora sono trascorsi tredici mesi ma dal Ministero non è arrivata nessuna risposta. Diciotto anni dopo Ignazio Aloisi attende ancora giustizia.
