Per i giudici il giovane, all'epoca dei fatti minorenne, sarebbe stato incapace d'intendere e di volere
Assolto perché incapace d’intendere e di volere. Così si sono pronunciati oggi i giudici della Corte d’appello dei Minori nei confronti del giovane, all’epoca dei fatti minorenne, che doveva rispondere dell’omicidio del tassista Giovanni Napoli. L’uomo fu ucciso con quattro coltellate, il 15 gennaio 2001, nella sua abitazione di via della Zecca, dopo un violento litigio seguito ad un rapporto omosessuale. Il rappresentante della pubblica accusa aveva chiesto per l’imputato la condanna a 15 anni.
Ma il legale del minore, l’avvocato Giovanni Mannuccia, aveva chiesto per il giovane l’incapacità di intendere e di volere, esibendo una perizia psichiatrica. Un nuovo esame, disposto dai giudici d’appello, aveva confermato la diagnosi. Così oggi la Corte d’Appello dei Minori ha riformato la sentenza di primo grado ed ha assolto il ragazzo, dichiarandolo non imputabile al momento del fatto perché incapace di intendere e di volere. Giovanni Napoli era molto conosciuto in città per la sua attività di tassista ma anche per il suo carattere estroverso. Sembra che circondasse di ragazzi e che a volte li portasse a casa sua. Quel giorno invitò nel suo appartamento un sedicenne, che lavorava come fruttivendolo, e che già altre volta aveva frequentato l’appartamento. A lui gli agenti della squadra Mobile, dopo il ritrovamento del cadavere sfigurato dalle coltellate al torace ed al collo, arrivarono grazie ad un suo certificato di residenza trovato nell’abitazione del tassista. Dopo un lungo interrogatorio il sedicenne crollò e disse di aver colpito Napoli dopo un litigio in quanto non voleva aumentargli il compenso di 5000 lire a prestazione come invece avevano pattuito.
