L’opinione - A proposito del campo nomadi di San Raineri...

L’opinione – A proposito del campo nomadi di San Raineri…

L’opinione – A proposito del campo nomadi di San Raineri…

lunedì 01 Marzo 2010 - 06:32

Di seguito l'intervento dell'architetto Caterina Sartori

Il “caso” dello sgombero delle baracche di Maregrosso abitate da alcuni famiglie di romeni ha riacceso i riflettori su una vicenda, quella delle comunità di stranieri presenti in riva allo Stretto, già sollevata qualche giorno fa a seguito dell’ordinanza di sgombero del campo rom di San Raineri. Un’ipotesi che ha determinato la reazione di numerose associazioni messinesi intervenute per chiedere prima di tutto l’individuazione di una comunità alternativa a quella dell’accampamento presente in zona falcata. Sull’argomento riceviamo e pubblichiamo una riflessione dell’architetto Caterina Sartori, presidente dell’Istituto Mediterraneo di Bioarchitettura Biopaesaggio Ecodesign.

Il degrado e la colpevole indifferenza delle istituzioni locali riguardo alle condizioni di vita nelle quali sono stati lasciati per decenni i rom insediatisi nella Zona Falcata, non possono certo giustificare l’intervento di sbaraccamento che si sta ponendo in essere in queste ore.

Premesso che, le aree costiere, terre di confine, di sbarchi e di partenze, da sempre e dovunque, sono state oggetto di attenzione e di insediamenti di migranti più o meno stanziali, o più o meno migranti, e che ciò non ha comportato conflitti di sorta con le attività del porto ma anzi ha arricchito e articolato quelle realtà, ritengo comunque inammissibile e assolutamente intollerabile che lo smantellamento del campo della Zona Falcata venga realizzato prima di aver individuato e trasferito le persone in altra residenza, sia essa precaria o provvisoria.

Già in passato ebbi modo di esprimere il mio disappunto per la tentata “deportazione” dei rom, senza una adeguata pianificazione e programmazione e senza una valutazione delle loro primarie esigenze di vita. Da allora, e ancor prima, non ci si è posti l’esigenza di dare una risposta in termini di ospitalità a persone che, comunque, risiedono nel territorio della città e, dunque, la questione irrisolta si è riproposta come avviene ogni qualvolta i problemi non vengano governati ma elusi, magari con azioni di forza, come quella in corso.

La questione “rom” è una variabile urbana alla pari di altre e va affrontata in un contesto amministrativo composito, a diversi livelli. La complessità che dovrebbe governare la “quotidianità” della città contemporanea, non trova modi ed espressioni adeguate nella semplificazione delle problematiche, né tanto meno a colpi di caterpillar.

Occorre pertanto la capacità di affrontare con opportuna competenza e prudenza, le diverse questioni, cercando preliminarmente soluzioni alternative, studiando e scegliendo quelle opzioni che, alla fine, si traducano in un “governo” della città.

A tal proposito ritengo anche sia bene ricordare che, la multietnicità e la varietà, sono altrove riconosciute come una ricchezza tanto che, altre città hanno affrontato la questione con l’organizzazione di insediamenti attrezzati, con allacci ai servizi primari e servizi ulteriori finalizzati ad una integrazione tra la comunità e il resto della cittadinanza.

A Messina, demolite le baracche del porto, altre ne sorgeranno altrove perché altrove, da qualche parte, questa comunità dovrà trovare alloggio, né si può pensare di sparpagliarla nel territorio urbano, facendo perdere ai singoli, i vincoli sociali, e magari anche familiari.

Non è pensabile neppure che i rom di Messina e di altrove, abituati da generazioni a vivere secondo determinati schemi abitativi, possano essere ospitati in alloggi o appartamenti nell’ambito di condomini o addirittura in strutture di assistenza, ammesso che ve ne siano disponibili.

Vorrei appena ricordare che la città è di tutti, rom e non rom, a prescindere dall’etnia, dalla cultura, dalla lingua o dalla religione e, pertanto, non posso che associarmi alla Comunità di S. Egidio e a tutti quelli che hanno giustamente cercato di tutelare i diritti di coloro che, solo perché più deboli, non possono pagare per un sistema che non si dimostra migliore del degrado in cui loro stessi sono stati costretti a vivere sinora.

Del resto, anche gli insediamenti dei rom, la loro estensione, la loro ubicazione, il loro carattere abitativo, e il loro peso demografico, vorrei ricordare, costituiscono un problema urbanistico, oltre che umanitario e sociale, alla pari delle baraccopoli esistenti in tante altre zone della città, favelas in cui il riconoscimento di uno status da “protezione civile”, non sarebbe questione così peregrina.

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