Omayma, ergastolo al marito assassino. Dovrà risarcire anche il Centro Donne Antiviolenza

La più severa delle condanne: il carcere a vita, senza alcuna attenuante. E' questa la sentenza che la Corte d'Assise di Messina (presidente Trovato) ha stabilito per Fouzi Dridi, il tunisino reo confesso dell'omicidio di Omayma Benghaloum, uccisa dal marito in casa, il 4 settembre 2015, sotto gli occhi delle quattro figlie, tutte minorenni. L'Accusa aveva chiesto per l'uomo l'ergastolo con isolamento diurno per 10 mesi.

La Corte ha stabilito una provvisionale di 10 mila euro per ogni familiare costituito parte civile, e 2500 euro al Centro Donne Anti Violenza, rappresentato dall'avvocato Maria Giaquinta.

Il difensore dell'imputato, l'avvocato Alberto D'Audino, aveva cercato di ridimensionare la pena, malgrado la condanna fosse inevitabile, chiedendo l'esclusione dei futili mutivi e della crudeltà e insistendo sul fatto che la famiglia d'origine era di origine musulmana, quindi permeata da una cultura dove la donna ha un ruolo subalterno.

Invece Omayma, in Italia, faceva una vita attiva: lavorava come mediatrice culturale per la Questura di Messina, aiutando il personale durante i continui sbarchi di migranti, e stava crescendo le figlie secondo principi ben più liberali di quelli del marito.

Stamane, in udienza, l'uomo ha chiesto perdono ai familiari della trentatreenne. Ma non ha convinto i giudici.

Il processo ha ripercorso la tremenda vicenda, attraverso le testimonianze dei familiari, i documenti acquisiti e i racconti delle stesse figlie di Omayma. Poi l'aggianciante conferma della confessione del marito, durante la penultima udienza. Proprio durante quella testimonianza il tunisino ha ammesso di aver precedentemente maltrattato la moglie, più volte.

Il legale delle figlie, l'avvocato Maristella Bossa, durante il processo ha prodotto i certificati medici italiani che documentavano le lesioni inferte dal marito alla moglie, e che lei stessa aveva spedito in Tunisia, per evitare che l'uomo le distruggesse. Ha anche ripercorso quella orribile notte, nell'abitazione familiare di Sperone.

Proprio tra le quattro mura domestiche, al culmine dell'ennesima lite, Dridi ha afferrato un bastone ed ha percosso la moglie a morte. Poi è uscito e, con una figlia per mano, si è presentato in Questura e si è consegnato. Il tunisino è quindi stato condannato sia per l'omicidio che per i maltrattamenti in famiglia. Per lui si profila un futuro dietro le sbarre.

Le tre figlie, poco più che adolescenti, adesso si affacciano ad una vita nuova. Pur separate, pur se segnate da una tragedia che lascia segni incolmabili, ora sono sottratte al padre-padrone e non rischieranno mai di subire la stessa, tristissima, sorte della madre.

Le ragazze sono affidate ad una struttura d'accoglienza. Cresceranno in Italia. Il corpo di Omayma è invece tornato in Tunisia, dove è stato celebrato il suo funerale, in aeroporto, al rientro della salma.

"Il femminicidio di Omayma è stato l’ultimo atto di un comportamento maltrattante continuato e reiterato negli anni, posto in essere dal marito anche alla presenza delle 4 figlie tutte minorenni – commenta l'avvocato Carmen Currò del Cedav – In tale processo, la costituzione del Centro Donne Antiviolenza di Messina come parte civile ha costituito una novità nell’ambito giudiziario messinese.

Tale ammissione ha una fortissima valenza sociale: riconosce che il femminicidio, attuatosi in un contesto di violenza domestica continuata non rappresenta solo la lesione dei diritti di una donna, e quindi un fatto privato, ma costituisce una profonda ferita per tutta la società che deve considerarsi responsabile per la non eliminazione di quella cultura e di quegli stereotipi che ancora oggi minano l’autodeterminazione. La libertà, la vita delle donne e il sereno sviluppo dei bambini che assistono alle violenze e ne subiscono le conseguenze in termini psicologici. L’importante sentenza della Corte d’Assise di Messina costituirà certamente un precedente per altri giudici che in Italia, in questo periodo sono chiamati a decidere su altri casi – centinaia – di femminicidii, e che purtroppo nonostante le innumerevoli campagne di sensibilizzazione e l’impegno profuso dai centri donna antiviolenza non si riescono ad arginare. Occorre oggi più che mai un massiccio intervento della politica perché il Piano nazionale Antiviolenza venga seriamente attuato fornendo le risorse necessarie per poter aiutare concretamente le donne ad uscire vive dalla spirale della violenza".

Alessandra Serio