Gallerano Corrao, ovvero di un rimatore ficarrese del Cinquecento

Gallerano Corrao, ovvero di un rimatore ficarrese del Cinquecento

Vittorio Tumeo

Gallerano Corrao, ovvero di un rimatore ficarrese del Cinquecento

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giovedì 24 Febbraio 2022 - 08:00

Dello sconosciuto autore si conservano soltanto pochi versi di un poemetto dedicato a San Cono

Ficarra, come il nome lascia derivare, è stata, almeno in passato “terra delle piante di fico”, in ragione delle numerose ficaje diffuse su tutto il territorio. È lecito pensare quindi che un tempo il paese producesse frutti di fico in quantità tale da svilupparci sopra attività di commercio. Ma che i fichi fossero cari ai ficarresi ce lo dicono interessanti frammenti delle sestine in dialetto di un poeta ficarrese ignoto ai più vissuto nel Cinquecento, Giovan Domenico Gallerano Corrao, che tradusse in rima dal latino la Vita del Beato Cono. La famiglia Corrao, o Currao è attestata a Ficarra da molto tempo, ed è ancora presente. Dell’opera poetica di questo sconosciuto rimatore, Stampata in la Felice Cita di Palermo; per Mobile Gioan Mattheo di Mayda A di. V. Magio MDLVI (1566), si conservano alcuni stralci, che conosciamo grazie a Filippo Evola, che li ha pubblicati nella sua Storia tipografico-letteraria del secolo XVI in Sicilia (Palermo 1878), grazie a Giuseppe Pitrè, che le ha raccolte nelle Curiosità popolari tradizionali (Palermo 1885) e a Salvatore Salomone Marino, che ne accenna nelle sue Storie popolari in poesia siciliana messe a stampa dal sec. XV ai dì nostri (Palermo 1896). Il titolo originale era La Vita Miraculi et morti de lo beato Cono de Naso translata del latino in vulgare in Rima secundo la sua Legenda. Noli offendere Patriam Coni Quia ultor iniuriarum est.

La statua di San Cono a Naso (ME)

Il Pitré, che vide la stampa (“L’unico esemplare che se ne conosca è inserito in fine ad un volume manoscritto di Vite di Santi, segnato IX. B. 11 che si conserva nella Biblioteca Nazionale di Palermo”, cit.), ce la descrive come un libretto di sedici pagine scritto, ad eccezione del frontespizio, in caratteri gotici; era presente una xilografia del beato Cono inginocchiato verso a destra con le mani giunte in atto di preghiera innanzi al prospetto di una chiesa; sotto, lo stemma della città di Naso. In una delle prime pagine la scritta “Libera devotos Sancta Trias”, mentre seguivano una Laus Deo ed un Oremus. Sappiamo che il poemetto si compone di 135 sestine, dodici per pagina disposte su due colonne, con rime a schema ABABCC e comincia così: “Trinitas sancta ad esto singulari / paracletum emictere lustranti”. Il beato Cono è nativo e protettore della città di Naso, oriundo di famiglia patrizia, come comincia a poetare il cinquecentista ficarrese: “In una terra Nasu nominata / chi era un cavalieri generusu / d’una vita lucida appartata / di Diu amatore et multu timurusu / un gloriosu figlo generau, / chi poy per nomu, Conu lu chiamau”. Il poeta ci dice che compose la ystoria del Beato concittadino, “O conterraneu nostru singulari”, per gratitudine al miracolo del recuperato udito: “Accussi comu gratia mi hai datu /portari sta nauicula a lu portu /et la tua ystoria hauiri decantatu /tucto per gratia tua e lu to confortu /ti exortu et pregu cum vuchi spissi et forti /esto tutela mea in vita et morti. // “A tucti pregu cum intensu effectu /stu diri rudi voglanu acceptari /et si alcun locu li parra imperfectu /mi vogliano cum charitati perdonari /tucto per diri laudi a stu beatu /prauirmi la mia audita retornatu”.

L’autore non dimentica sé stesso, e si presenta, si fa conoscere, informandoci che egli, Giovan Domenico Gallerano Corrao, è nativo di Ficarra e scriveva questi versi ispirato dal Santo stesso:“Per Nasi civem Joanne vocatum / Dominicum gallerano et de currau / fuit chirographum ystud compilatum / como ipsum beatu Conu lo spirau / undi habitau: et fichi in pignu et arra / et oriundu fu di la Ficarra”. La traduzione in versi risale al 1549, quando regnava Carlo V Imperatore, Paolo III era il Pontefice e Cardona, Duca di Montalto, signoreggiava su Naso: “Et ipsu Sasu essendo dominato /per la gran casa Illustri de cardona /et di muntaltu Duca intitulatu /dela Real casa de Aragona /di prosapia vnisona: eradicata /procedino di parti Coronata. // Papa Paulo tertio dominanti / infra li milli chincuchentu e novi / quaranta supra iunti, ià regnanti / invictu Carlu imperaturi; trovi / chi cu provi sancti, et larmi a manu / la secta eradicau de Lutheranu”. Per ringraziare San Cono dell’ispirazione che lo ha irradiato, il rimatore di Ficarra ricorre ad un’immagine di notevole effetto, quella della dazione in pegno e in caparra dei fichi. È questo un preciso rimando alla Bibbia (Numeri 13, 14), all’episodio in cui Mosè invia dal deserto di Paran, su comando del Signore, esploratori scelti tra i capi israeliti verso la terra di Canaan, raccomandandogli di portare dei frutti dal paese che andranno a visitare. Alla fine del viaggio, giunti nella valle di Escol, tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva e presero anche melagrane e fichi in segno di pegno e di caparra, di prova, che mostrarono a Mosè ed Aronne una volta fatto ritorno. Nel tempo si sono susseguiti vari tentativi di spiegare il passo: Ugo di San Caro propone per il frutto del fico un’identificazione del concetto di diletto spirituale. La caparra invece sarebbe da intendersi col significato di deificazione dell’anima, che sta a indicare l’insieme dei doni ricevuti dal cristiano. Del pegno si pensò invece che fosse “una pregustazione, l’appetito della gloria, o del servizio divino”. Sembrerebbe che l’interpretazione del passo “et fichi in pignu et arra” sia quella, ad avviso di chi scrive, di una lode di ringraziamento che il Corrao rivolge al Santo basiliano vissuto a cavallo tra XII e XIII sec. patrono di Naso, per avergli, parafrasando il passo della Bibbia, fatto il dono del diletto spirituale, appunto l’ispirazione diretta di San Cono nella stesura delle sestine, considerato dal poeta come una benedizione che prelude ad un posto in Paradiso dopo il trapasso. Si tratta di una citazione di grande raffinatezza, propria di un uomo dotto pratico di letture elevate.

Vittorio Tumeo

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