Hemingway raccontato da Anthony Burgess

Hemingway raccontato da Anthony Burgess

Pierluigi Siclari

Hemingway raccontato da Anthony Burgess

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domenica 10 Novembre 2019 - 07:59

In campo letterario è praticamente impossibile stabilire chi sia il migliore scrittore di un determinato periodo storico o di una certa corrente. Se si considera, però, la fama raggiunta, non solo come autore ma anche come personaggio, probabilmente nessuno ha raggiunto, nel Novecento, lo stesso livello di Ernest Hemingway.

Tutt’oggi, anche chi non ha mai letto una sua opera, avrà sentito parlare dello scrittore, del guerriero, del pescatore, dell’appassionato di corride, del cacciatore Ernest Hemingway. Numerosi sono i ritratti dedicati allo scrittore nato a Oak Park, Illinois, nel 1899, attraverso saggi, documentari e film.

L’importanza di chiamarsi Hemingway

L’importanza di chiamarsi Hemingway, pubblicato per la prima volta nel ’78, è un testo di Anthony Burgess, autore, tra gli altri, di Arancia meccanica. Quello di Burgess non è un saggio accademico, né un testo particolarmente corposo. Ciò che rende interessanti le sue circa duecento pagine – oltre ai numerosi contributi fotografici – è la prospettiva dell’autore.

Anthony Burgess

Burgess non è affascinato dal personaggio. Parlando dell’uomo, è più interessato alle sue paure e alle sue frustrazioni che all’aneddotica entrata ormai nel mito. Anche parlando dell’opera, Burgess è tutt’altro che tenero, pur non mancando – e non potrebbe essere altrimenti – di riconoscere la grandezza, o forse sarebbe meglio dire alcune grandezze, di Hemingway.

La copertina del libro

Gli inizi

Dopo aver accennato alle origini familiari, Burgess tratta dell’inizio dell’attività di Hemingway come giornalista.

Hemingway era già dominato da un proposito più semplice e più complicato allo stesso tempo: spostare la sede estetica della lingua dalla sua tradizionale ubicazione, la testa e il cuore, e ancorarla saldamente a nervi e muscoli. Questo rappresentava un’autentica rivoluzione che, per il momento, si dissimulava sotto il desiderio di lavorare bene nel semplice e popolare mezzo di comunicazione del giornalismo.

Il rapporto con la politica

Forse il principale motivo di ammirazione, per Burgess, è la scelta, sempre mantenuta, da parte di Hemingway, di non essere uno scrittore politico.

  Hemingway, nonostante La quinta colonna e Per chi suona la campana, che appartengono al periodo della guerra civile spagnola, quando ogni uomo giusto parteggiava per i lealisti, non diventò mai uno scrittore politico, e questo è un aspetto della sua potenza narrativa. Benché fosse stato in seguito preso di mira dalla sinistra americana come edonista neutrale, si attenne saldamente all’unico diritto e dovere dello scrittore: descrivere cose e persone così come sono, senza forzature ideologiche. Grazie a questo fatto, le analisi politiche che telegrafava allo Star erano abbastanza raffinate, talvolta anche profetiche. Per tutta la vita sarebbe stato in anticipo sui politicamente impegnati, nella capacità di vedere le forme emergenti di politiche e regimi.

Fedele alla causa repubblicana, Hemingway rimane un artista abbastanza oggettivo da delineare gli errori umani in quella che i propagandisti di sinistra volevano fosse rappresentata come un’epopea nobile e cavalleresca. Per chi suona la campana non è propaganda, ma arte, e come tutte le opere d’arte promuove un complesso, perfino ambivalente, attaccamento al proprio tema. Il libro ha insegnato a migliaia di persone ad amare o a odiare la Spagna, ma non avrebbe potuto lasciarle indifferenti alla terra, alla gente, alla storia.

Il cinema

Numerose opere di Hemingway sono state trasportate sul grande schermo. Burgess, naturalmente, non manca di analizzare il rapporto tra lo scrittore e il cinema, sia dal punto di vista economico che del gusto.

  Nessuna prova è più valida di una lunga serie di film mediocri ispirati alle sue opere, per dimostrare la natura essenzialmente <<letteraria>> del lavoro di Hemingway. Quella che a una lettura superficiale sembra una sceneggiatura disadorna con dei dialoghi vivaci, diventa un prodotto verbale altamente rifinito, in cui il senso è espresso interamente dai ritmi del linguaggio. I gangsters è l’unico film valido tra quelli tratti dalle opere di Hemingway, il solo che Hemingway guardasse: l’avrebbe fatto proiettare regolarmente a Cuba in casa sua, anche se di solito finiva per addormentarsi durante il secondo tempo.

Venezia

Sul finire degli anni ’40, Hemingway soggiornò a Venezia e conobbe Adriana Ivancich. Poco dopo iniziò a scrivere quello che sarebbe diventato Dì la dal fiume e tra gli alberi. Secondo Burgess l’opera è troppo sentimentale, e non usa bene le immagini, ma è anche un meraviglioso dipinto dell’ambiente che aveva colpito l’autore.

  D’altra parte, non conosco alcun romanzo moderno – con le possibili eccezioni di Ritorno a Brideshead di Waugh e di Seven Against Reeves di Aldington – che tributi un omaggio tanto eloquente a Venezia. È raro che Hemingway non si dimostri all’altezza quando evoca la pietra e le acque, la vista di Torcello e Murano dalla laguna, le mattinate fresche, i negozi e il mercato, i sapori della città. Lasciate soli i sensi di Hemingway, ed essi funzioneranno con acuta animalità, registrando odori, immagini e suoni con una precisione verbale che è un vero portento. Lasciate che partecipi la mente, il che significa filosofia trita e ritrita e, peggio di tutto, il vedere se stesso come un eroe tormentato, ed ecco che la prosa tentenna, crollano le immagini, il lettore arrossisce per l’imbarazzo o lo sforzo di trattenere il riso.

Il premio Nobel

Nel 1954 a Hemingway venne assegnato il Premio Nobel per Il vecchio e il mare, ma non poté raggiungere Stoccolma per la cerimonia ufficiale.

Quando gli fu conferito, trovò da ridire sulla citazione ufficiale del Nobel, che lo descriveva come uno scrittore che era uscito eroicamente da una prima fase <<brutale, cinica e insensibile>>, per emergere come una specie di capitano Marryat pieno di <<virile amore del pericolo e dell’avventura>>, con una <<padronanza straordinaria, creatrice di stile, dell’arte della narrativa moderna>>. Il riepilogo della sua carriera letteraria sembra, nel complesso, fuori luogo, e la definizione <<creatrice di stile>> suona come l’interpretazione cibernetica di una parola svedese che significa qualcosa di diverso (o che quantomeno significa qualcosa: <<creatrice di stile>> non vuol dire nulla). Hemingway fu lieto dell’assegno di 35000 dollari: adesso era ricco, aveva cominciato a recitare la parte di quello che versava in gravi condizioni economiche. Prese in considerazione l’idea di offrire la medaglia d’oro a Ezra Pound, meritevole di tutte le medaglie letterarie che fossero mai state coniate, ma alla fine la regalò al santuario della Virge de Cobre, santa patrona di Cuba.

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