“I cambi di stagione”: un magistrale dramma romantico

“I cambi di stagione”: un magistrale dramma romantico

Tosi Siragusa

“I cambi di stagione”: un magistrale dramma romantico

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sabato 24 Febbraio 2024 - 12:00

Al Vittorio Emanuele di Messina, una felice produzione di Nutrimenti Terrestri con Alveario e Marchetti, regia di Calogero

MESSINA – “I cambi di stagione“: una felice produzione “Nutrimenti Terrestri”. Per la prima volta nei teatri italiani, il decorso anno al Brancati di Catania, e nella stessa veste riproposto a Messina, segnatamente al Vittorio Emanuele dal 23 al 25 febbraio 2024 per la stagione corrente, con l’esordiente alla regia Francesco Calogero e gli interpreti di eccellenza Antonio Alveario e Maurizio Marchetti.

Un bellissimo dramma romantico sul potere rigenerante dell’amore

La messinesità che amiamo, insomma, insieme in una pièce d’eccezione che, con ambientazione in un cimitero ebraico e poi in un parco, scava, scandaglia e scova “gli altarini” intorno all’esistenza di una donna come tante, appena passata a miglior vita, che è la vera protagonista, presente ininterrottamente in scena unicamente attraverso le sofferte rievocazioni di chi l’ha amata, i suoi uomini, il marito Davide impetuoso, razionale e premuroso, e “ l’altro”, Edoardo assai più mite, idealista e colto, con un ruolo altrettanto di rilievo nella vita della defunta.

La donna del mistero è concepita quasi quale“arlesienne” – personaggio continuamente citato e mai in scena – non del tutto, però, in ragione delle visualizzazioni di sue immagini botticelliane riprodotte lungo un sentiero rettilineo, a simboleggiare lo scorrere imperituro del tempo.

Se per il vedovo e il resto del mondo Lei era Maria Flora, per l’altro semplicemente Flo … e la differenziazione acquisisce una portata significante, a sottolineare che non solo di appellativi differenti si stia discutendo, ma di due speculari maniere di vederla, di coglierne le caratteristiche, che probabilmente l’amata ha riservato a ciascuno di loro. Nel confronto imbarazzante generato da quell’incontro-scontro, dapprima proprio al funerale, ove avvengono formali presentazioni, in seguito nel parco-giardino e di nuovo al camposanto alla cerimonia di commemorazione della lapide, i due uomini, oramai avanti con gli anni, troveranno infine una sorta di comune convergenza nella dedizione ad una donna uguale, ma diversa. E ciò oltre le differenze che li connotano, per indole, estrazione sociale e religione. Non mancano punte esilaranti nonostante i frangenti tragici, e mano a mano riemerge, attraverso le confessioni reciproche, ciascun oggetto di desiderio, che è Altro per chi a quella rappresentazione è stato estraneo.

Il rapporto amoroso clandestino, peraltro assai rodato, non è stato di certo occasionale, e si può collocare su un binario parallelo rispetto a quello ortodosso di coniugio: era infatti germinato dal passato regolare fidanzamento, interrotto per volere dei genitori di Maria Flora, ebrei, mal disposti nei riguardi di un genero cattolico e peraltro di origini tedesche ed era stato soppiantato dall’altro, che al parentado appariva più solido e rassicurante; aveva poi preso una strana piega, continuando, da amore segreto – con verosimiglianza platonico “tout court” – a far parte della vita della donna, attraverso situazioni cd. stagionali, che ne avevano contrassegnato la stabilità dell’andamento, con quelle modalità singolari … E così, pur avendo ciascuno una vita rituale altrove e con altri, Flo e l’amato,poi prematuramente rimasto vedovo di Elena dalla rossa chioma, ai cambi di stagione, dunque quattro volte l’anno, si erano incontrati a pranzo, per proseguire quella relazione fatta di confidenze e intimità dalle quali il mondo era escluso…e avevano discusso perfino di politica e lirica,come raccontato allo sbigottito Davide(mentre riecheggiano le melodie e il canto di Mimì de “Che gelida manina”,Edoardo prova un acuto dolore).

La rivelazione di tali segreti, sconosciuti al consorte ufficiale, ovviamente provoca un caleidoscopio di reazioni, verosimilmente per lo più spiacevoli e soprattutto di estraneità, come se la morta della narrazione fosse altra, ed altra era in effetti nel rapporto con l’amante.

Di contro, quest’ultimo ne può approfondire l’altra essenza, la Flo che si trasmutava in Maria Flora…. entità a lui sconosciuta,alla quale, come si scopre, il marito peraltro aveva propinato un tradimento per tre anni. Come se la protagonista si fosse consentita di disvelare a sé i più reconditi anfratti della sua essenza, costruendo due vite e ad ognuno dei soggetti d’affezione avesse riservato solo una porzione di sé, senza mai effettuare una vera scelta, o, melius, scegliendo di non volere rinunciare a nessuno dei due.

Trattasi della traduzione italiana e del libero adattamento, davvero magistrali, di F. Calogero – per la prima volta prestato al teatro dai set cinematografici – della Commedia drammatica inglese Mr Halpern & Mr Johnson del 1983, scritta quale TV play da Lionel Goldstein, con suo adattamento per il palcoscenico del 1995. La genesi dello script trae origine, come pare, dalle confessioni del Suo commercialista, sulla tormentata vicenda amorosa con una donna ebrea, che non aveva potuto prendere in isposa. La versione definitiva aveva avuto rappresentazione in tutto il mondo dal 2004, ma non nel nostro Paese.

La regia di Calogero, con la collaborazione di Laura Giacobbe, ancora, si è dipanata con misura ed eleganza, senza inciampo alcuno, dirigendo magistralmente i due attori di casa nostra, già interpreti d’eccezione in ambito cinematografico, teatrale e televisivo, in un duetto raffinato, ove ciascun interprete, A. Alveario/Halpern, il fabbricante di scatole di cartone, che indossa la kippah, e M. Marchetti/Johnson, il commercialista -entrambi in pensione- ha incarnato con sapiente resa ogni ventaglio di sfumature del proprio personaggio, coinvolgendo appieno il pubblico che ha affollato il V.E., giustamente non lesinando le manifestazioni di gradimento. Di valore altresì la partecipazione di Tania Luhauskay a mezzo di immagini rappresentative di Maria Flora-Flo e della amante di Davide.

I costumi appropriati di Cinzia Preitano, le scene di Mariella Bellantone, ben caratterizzate- raffiguranti un camposanto, con vetrate sui toni dell’azzurro, con ai lati rispettivamente la bara funebre e il sepolcro, di poi un parco comunale, con al centro un viale alberato e la presenza di una serra, con rimandi al nome ed all’apprezzamento verso i fiori della defunta, ma anche alla sensazione per il marito di esser vissuto entro una gabbia di vetro, e, infine,nuovamente, la cornice, ma innevata, del cimitero – le luci di Renzo di Chio, sempre dosate alla perfezione, unitamente alla visual art di Giovanni Bombaci, attraverso cui il regista ha innestato, con ottimo amalgama, elementi prettamente di derivazione dal cinema, Suo impegno di elezione, hanno ancora conferito valore aggiunto alla splendida piece, che, sicuramente, resterà nella memoria degli spettatori lungamente. Ciò anche per l’intrigante vicenda dell’iscrizione funebre e per il colpo di scena, che ancora una volta ribalta i ruoli fra i due contendenti, nello stimolante duello verbale, senza vincitori, nè vinti, se si eccettua la defunta e la sua capacità, vittoriosa, di rimanere fedele a se stessa, senza tradire le sue più intime pulsioni.

Residuano tanti interrogativi… quando possa dirsi realmente occorso un tradimento verso il partner, e come si commisuri l’amore, ma vi è una sola certezza…la forza rigenerativa del vero sentimento. E ciò è reso tangibile dall’immagine finale dei due contendenti, unificati in un armonico abbraccio, mentre le note soavi di “Amore che vieni, amore che vai” suggellano la ricomposizione del conflitto nel nome della morta che, ci piace pensare,nella sua dimensione altra, se la rida di gusto.

Foto di scena di Giuseppe Contarini.

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