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Il linguista: “Meloni vuol farsi chiamare il presidente? È come dire il cantante Mina”

MESSINA – “Da linguista, non riesco a comprendere l’ostinazione di Giorgia Meloni a volersi fare chiamare il presidente e non la presidente del Consiglio. Non è corretto sul piano della lingua ed equivale a dire il cantante Mina. E non, ovviamente, la cantante, come si pronuncia in italiano. Mi sembra una battaglia ideologica”. Fabio Rossi, professore ordinario di Linguistica italiana all’Università di Messina, allievo di un maestro come Luca Serianni, non riesce a capacitarsi: “Tante professioni, un tempo, erano appannaggio degli uomini. Oggi rifiutarsi di adattare le lingue alle istanze di genere è retrogrado. La lingua italiana prevede che i nomi mobili, anche quelli di professione, si flettano in base al genere, in linea con quanto la Crusca e la Treccani sostengono. Di conseguenza, l’insistenza su questo punto di Giorgia Meloni, peraltro la prima presidente del Consiglio nella storia della Repubblica italiana, assume un significato paradossale, in contrasto con la grammatica”.

Fabio Rossi

Che cosa replica il professore Rossi a chi sostiene che al femminile suoni male parlare di avvocata o di assessora? “In passato non si era abituati al fatto che le donne – sottolinea il linguista – potessero ricoprire determinati ruoli. Tutto qui. Ancora oggi c’è chi chiama ambasciatrice la moglie dell’ambasciatore! Ma anche i lessicografi del secolo scorso parlavano di assessora o di avvocata. Non è una novità. La seconda obiezione, cioè che parlare della presidente (o presidentessa) sarebbe sminuente per la funzione, che non ha sesso, risulta ancora più allarmante“.

“Perché l’uso del femminile dovrebbe essere sminuente?”

Perché questa seconda interpretazione appare più preoccupante? “Perché – risponde il professore Rossi – avalla una opacizzazione del femminile. Ma non viene il dubbio, a chi vuol farsi chiamare il presidente, che ciò significa ritenere che un genere vale più dell’altro? Perché una donna, se diventa presidente, dovrebbe sentirsi sminuita dal farsi chiamare al femminile? Di fatto, questa convinzione conferma una disparità di genere. Perché il femminile, in coerenza con la grammatica italiana, dovrebbe essere sminuente? Tra l’altro, presidente è una parola ambigenere” .

Ricorda il linguista: “Nella nuova versione della Treccani i ruoli declinati al femminile hanno avuto riconosciuta pari dignità e precedono quelli maschili, se l’alfabeto lo impone. Forse si vuole condurre una battaglia ideologica e perpetrare inconsciamente retaggi maschilisti. Ma sul piano delle regole linguistiche, sia chiaro, non è vero che la carica neutralizza il genere. Prima o poi, chi critica questa impostazione dovrà fare pace con la lingua italiana”.

“Ritorniamo ai fondamentali: la grammatica italiana”

Ma che cosa replica il professore Rossi a chi, tra lettori e lettrici, lo attacca pesantemente su questi temi? “Prima lezione di grammatica alle scuole elementari: esistono nomi che variano in base al genere e nomi che non variano. La penna, il banco, il quaderno, la pentola, ecc. non variano. Quelli che variano possono variare nella desinenza oppure solo nell’articolo. Direste mai di una donna che è uno scrittore o di una signora che è il preside o un cantante? Esattamente allo stesso modo accade per la giudice, la presidente, la sindaca. Fletterli al maschile, se sono riferiti a una donna, è un (grave) errore di grammatica. Come se si fosse definita la povera Elisabetta II il re, anziché la regina. Poi vi sono alcuni nomi di animale che non variano: la tigre maschio o femmina, il pavone maschio o femmina ecc.. È molto semplice, basta studiare o ripassare. Tutto il resto è ideologia. Se volete, posso suggerirvi la mia Grammatica Treccani in adozione alle scuole medie, ma ogni altra dignitosa grammatica scolastica vi dirà cose analoghe. Buono studio!”.