Il mistero dei privilegi dell'antico Senato

Il mistero dei privilegi dell’antico Senato

Daniele Ferrara

Il mistero dei privilegi dell’antico Senato

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giovedì 20 Giugno 2019 - 08:10

Oggi approfondiamo la questione dei privilegi concessi a Messina nel passato

Molti messinesi conoscono sicuramente la storiella del Privilegio di Arcadio – per intenderci, quella che ha dato luogo al GRAN MIRCI, il ringraziamento dell’Imperatore d’Oriente per l’aiuto prestato da Messina in battaglia contro invasori e usurpatori; invece pochissimi conoscono i due privilegi concessici dal Senato Romano nell’antichità e vantati per secoli dai Messinesi.

Riassumendo le circostanze del primo: i Mamertini, compagnia mercenaria italica sbandata dopo la morte di re Agatocle, avevano da poco preso il controllo di Messina facendone uno stato autonomo; il nuovo sovrano Ierone II per tentare di riguadagnarla giunse ad allearsi con i Cartaginesi e congiuntamente a essi attaccò i Mamertini, sconfiggendoli prima a Milazzo e poi spingendosi verso Messina, la quale chiese aiuto alla Repubblica Romana, ottenendo positiva risposta: questa è la premessa della Prima Guerra Punica ed è qui che le versioni della storia divergono. Stando al privilegio, i Mamertini sbaragliarono entrambi i nemici prima ancora che giungesse dall’Italia il console Appio Claudio Caudice, terrorizzandoli a tal punto che si ritirarono oltre Lentini e chiesero la pace sanzionandosi di propria iniziativa. Gli storici antichi invece si esprimono diversamente: furono i Romani e non i Mamertini – che forse li supportarono – a sconfiggere in battaglia il congiunto avversario, e conseguentemente re Ierone si ritirò a Siracusa e pensò meglio d’allearsi con Roma contro Cartagine; a quel punto, il casus belli del famoso conflitto era compiuto.

Occasione del secondo privilegio è una guerra servile, ossia uno di quei conflitti intestini da un centinaio d’anni dopo i fatti già narrati sconvolsero la Repubblica – due dei quali proprio in Sicilia –, con la ribellione degli schiavi ai padroni; Messina viene lodata dal Senato per avere tenuto sotto controllo i propri schiavi mentre quelli delle altre città si univano in un’armata per soggiogare la Sicilia, conservando a Roma un sicuro baluardo nell’isola per la sua pacificazione. Sembrano le circostanze esatte della Prima Guerra Servile, durante la quale il governo mamertino riuscì a ingraziarsi gli schiavi cittadini e ne prevenne la rivolta, e quando gl’insorti esterni assediarono la città essa resistette fino all’arrivo del console Lucio Calpurnio Pisone Frugi, che sgominò l’armata ribelle; il privilegio è concorde.

Entrambi i privilegi risultano decretati dai Padri (i Senatori), ciascuno approvato da un tribuno, e inseriti nei Fasti. In entrambi, Messina riceve importantissimi riconoscimenti (esposti più sotto). Ma sono autentici questi atti del Senato? No, e ora spiegheremo perché.

Il primo è datato al 483 a.U.c., diversi anni prima che la guerra punica cominciasse, con consoli A. Claudio Caudice e Q. Fabio Massimo che in realtà non ricoprirono mai la carica assieme (e nessuno dei due in quell’anno); il secondo è datato al 621 a.U.c., l’anno conclusivo della Prima Guerra Servile, con consoli S. Fulvio Flacco e Publio Calpurnio Pisone (Quinto, invero, confuso pure con il sopraddetto Lucio), di nuovo i nomi sbagliati, poiché costoro furono sì in carica assieme ma alcuni anni prima. A ciò si aggiunge che nel primo si afferma ch’era scoppiata la Prima delle guerre puniche; forse il Senato romano vedeva nel futuro e sapeva che ci sarebbero state altre guerre puniche? E come può il Senato romano avere redatto documenti con date sbagliate ma soprattutto citando i Consoli alla rinfusa? La risposta è chiara: questi documenti sono falsi, e se privilegi romani sono davvero esistiti le loro carte autentiche sono andate perdute.

A chi giovavano questi falsi? A Messina, ovviamente: dal primo, la città guadagnava il titolo di capitale di Sicilia (ma fu designata Marsala), la “potestà romana” (la condizione di città federata a Roma, vera) e un territorio che si estendeva da Lentini a Patti (che non esisteva ancora). Dal secondo: Messina guadagnava ingenti esenzioni fiscali. Non a caso, i due privilegi furono riconfermati da re Guglielmo II d’Altavilla nel 1182 d.C. su richiesta della città, ma pare che anche Guglielmo I e Ruggero II ne fossero al corrente.

Non sappiamo né quando né chi abbia falsato i documenti, probabilmente la stessa mano o una e un’altra che l’ha imitata, ma se vogliamo proprio trovare una bella qualità alla categoria del falsario messinese sicuramente c’è la determinazione di portare alla Città un vantaggio a qualsiasi costo; anche della credibilità.

Tuttavia il dubbio benefico ci rimane che certe carte senatorie possano essere esistite davvero e che l’autore dei due testi abbia semplicemente cercato, in buona fede, di ricostruirle. A questo punto, Messina ha davvero ricevuto lodi e privilegi?

Daniele Ferrara

Un commento

  1. Mi perdoni sig Ferrara. L’articolo poteva essere interessante , ma l’assenza di date di riferimento nella prima parte e l’uso della sigla a.U.c. (allievi ufficiali di complemento o annus Urbis conditae) aggiungono misteri ai misteri! Non sono uno storico ma un artigiano appassionato di storia di messina!

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